L'ACCADEMIA fa esercizi...

Questa sezione accoglie discussioni e segnalazioni su articoli usciti dai vari mezzi di informazione

L'ACCADEMIA fa esercizi...

Messaggioda domenico.damico » 29/02/2012, 15:07

Paul Krugman in questo articolo attribuisce la colpa della situazione europea all'euro e alle regole di gestione del debito pubblico che l'Unione Europea si è data.
La moneta sembra responsabile di tutto, a leggere il premio Nobel americano e per dirla in poche parole.
Quindi non siamo molto lontani dalla realtà, a quanto sembra, quando sosteniamo che la moneta-debito genera effetti deleteri per tutto il corpo sociale e civili.
Una piccola nota a margine:
non si riesce mai a capire per quale motivo, se devo proprio sciegliermi una moneta, debba scegliere una moneta debito e non una moneta libera dal debito e dagli interessi.
A questa domanda nessuno è in grado di dare una risposta logica.


La vera malattia che piega l´Europa
di PAUL KRUGMAN
da La Repubblica del 29 febbraio 2012

La situazione in Portogallo è terribile, ora che la disoccupazione vola addirittura oltre il 13 per cento. Ma va anche peggio in Grecia, Irlanda e probabilmente Spagna. Nel suo complesso tutta l´Europa pare scivolare nuovamente nella recessione. Perché l´Europa è diventata il malato dell´economia mondiale?
La risposta è nota a tutti. Purtroppo, però, buona parte di ciò che si sa non è attendibile, e le false voci sui guai europei stanno snaturando il nostro dibattito economico. È assai probabile che chi legge un articolo d´opinione riguardante l´Europa – oppure, troppo spesso, una presunta cronaca giornalistica degli avvenimenti – possa imbattersi in una di due possibili interpretazioni, alle quali penso in termini di variante repubblicana e variante tedesca. In verità, nessuna delle due rispecchia la realtà.
Secondo la versione repubblicana di come stanno le cose – uno dei temi centrali sui quali batte la campagna elettorale di Mitt Romney –, l´Europa si trova nei guai perché ha esagerato nell´aiutare i meno abbienti e i disgraziati, e staremmo quindi assistendo all´agonia del welfare state. Questa versione dei fatti, a proposito, è una delle costanti preferite della destra: già nel 1991, quando la Svezia si angosciò per una crisi delle banche innescata dalla deregulation (vi suona familiare?), il Cato Institute pubblicò un trionfante articolo su come ciò che stava accadendo di fatto confermasse il fallimento dell´intero modello del welfare state.
Vi ho già detto che la Svezia – che ha ancora oggi un generoso welfare – è al momento una delle migliori performer e ha una crescita economica più dinamica di qualsiasi altra ricca nazione? Ma procediamo con sistematicità: pensiamo alle 15 nazioni europee che usano l´euro (lasciando in disparte Malta e Cipro) e proviamo a classificarle in rapporto alla percentuale di Pil che hanno speso in programmi di assistenza sociale prima della crisi. Le nazioni Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) che oggi sono nei guai spiccano davvero in tale classifica per il fatto di avere uno stato assistenziale insolitamente generoso? Niente affatto. Soltanto l´Italia rientra nelle prime cinque posizioni della classifica, ma anche così il suo welfare state è inferiore a quello della Germania. Ne consegue che i problemi non sono stati causati da grandi welfare.
Passiamo ora alla versione tedesca, secondo la quale tutto dipende dall´irresponsabilità fiscale. Questa opinione pare adattarsi alla Grecia, ma a nessun altro Paese. L´Italia ha avuto deficit negli anni antecedenti alla crisi, ma erano di poco superiori a quelli tedeschi (l´enorme indebitamento dell´Italia è un´eredità delle irresponsabili politiche di molti anni fa). I deficit del Portogallo erano significativamente inferiori, mentre Spagna e Irlanda in realtà avevano plusvalenze.
Ah: non dimentichiamo che Paesi non appartenenti alla zona euro sembrano proprio in grado di avere grandi deficit e sostenere un forte indebitamento senza affrontare alcuna crisi. Gran Bretagna e Stati Uniti possono prendere in prestito capitali a un tasso di interesse che si aggira intorno al 2 per cento. Il Giappone – di gran lunga più indebitato di qualsiasi Paese europeo, Grecia inclusa – paga soltanto l´1 per cento. In altre parole, il processo di ellenizzazione del nostro dibattito economico – secondo il quale tra uno o due anni soltanto ci troveremo nella stessa situazione della Grecia – è del tutto sbagliato.
Che cosa affligge, dunque, l´Europa? La verità è che la questione è in buona parte legata alla moneta. Introducendo una valuta unica senza aver preventivamente creato le istituzioni necessarie a farla funzionare a dovere, l´Europa in realtà ha ricreato i difetti del gold standard, inadeguatezze che rivestirono un ruolo di primo piano nel provocare e far perdurare la Grande Depressione.
Andando più nello specifico, la creazione dell´euro ha alimentato un falso senso di sicurezza tra gli investitori privati che ha dato briglia sciolta a enormi e insostenibili flussi di capitali nelle nazioni di tutta la periferia europea. In conseguenza di questi flussi, le spese e i prezzi sono aumentati, la produzione ha perso in competitività e le nazioni che nel 1999 avevano a stento raggiunto un equilibrio tra importazioni ed esportazioni hanno iniziato invece a incorrere in ingenti deficit commerciali. Poi la musica si è interrotta.
Se le nazioni della periferia europea avessero ancora le loro valute potrebbero ricorrere alla svalutazione – e sicuramente lo farebbero – per ripristinare quanto prima la propria competitività. Ma non le hanno più, e ciò significa che sono destinate a un lungo periodo di disoccupazione di massa e a una lenta e faticosa deflazione. Le loro crisi debitorie sono per lo più un effetto collaterale di questa triste prospettiva, perché le economie depresse portano a deficit di budget e la deflazione aumenta l´incidenza del debito.
Diciamo pure che comprendere la natura dei guai europei offre agli europei stessi benefici soltanto assai limitati. Alle nazioni colpite, in particolare, non resta granché al di là di scelte difficili: o soffrono le pene della deflazione oppure prendono la drastica decisione di abbandonare l´euro, il che non sarà praticabile da un punto di vista politico fino a quando – o a meno che – ogni altra cosa non avrà fallito (punto verso il quale pare che si stia avvicinando la Grecia). La Germania potrebbe dare una mano facendo dietrofront rispetto alle sue stesse politiche di austerità e accettando un´inflazione più alta, ma non lo farà.
Per il resto di noi, tuttavia, capire bene come stanno le cose in Europa fa una bella differenza, in quanto circolano su di essa false teorie utilizzate per spingere avanti politiche che potrebbero rivelarsi aggressive, distruttive o entrambe le cose. La prossima volta che sentirete qualcuno invocare l´esempio dell´Europa per chiedere di far piazza pulita delle nostre reti di sicurezza sociale o per tagliare la spesa a fronte di un´economia gravemente depressa, ricordate di tenere bene a mente che non ha idea alcuna di ciò di cui sta parlando.

Traduzione di Anna Bissanti
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Re: L'ACCADEMIA fa esercizi...

Messaggioda ChristianTambasco » 19/11/2012, 10:36

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-11-03/sono-bolle-monetarie-denaro-090632.shtml?uuid=Ab03ndzG

Krugman ci rivela la convenzione monetaria...
Non ci sono bolle monetarie: il denaro è «convenzione»

di Paul Krugman, 03 novembre 2012

Noah Smith recentemente è andato a rovistare in una polemica antikrugmaniana scovando una perla rara: la tesi che la moneta è una bolla.«La moneta non vale niente di più della carta su cui è stampata?» ha scritto Smith, assistente di Finanza allo Stony Brook College, il 21 ottobre: «È una domanda profonda e interessante. Ma la mia risposta è: no».

Smith ha ragione, ma la mia spiegazione del perché non è così è leggermente diversa, e ha implicazioni un po' più ampie. Per iniziare: di che parliamo quando parliamo di bolle? Parliamo di persone che basano le loro decisioni su previsioni future basate su esperienze recenti, ma che non hanno speranze di concretizzarsi. Per esempio, la gente compra case perché si aspetta che i prezzi continueranno a crescere. Le bolle non coinvolgono necessariamente i prezzi. Può esserci un boom edilizio locale trainato da una crescita rapida della popolazione e dell'occupazione in una certa area, dove il motore principale di questa rapida crescita è… il boom edilizio locale, che alla fine crollerà su se stesso quando si sarà arrivati a un numero di case sufficiente. Il punto, che siano coinvolti o meno i prezzi, è che le aspettative degli individui si sommano fino a raggiungere l'impossibilità complessiva. Assomiglia molto a quello che succede nelle truffe piramidali, dove le persone fanno affidamento sull'incremento costante dei sottoscrittori: questi meccanismi finiscono in un disastro quando il bacino di creduloni potenziali si esaurisce.

La moneta a corso forzoso è una bolla di questo tipo? Assolutamente no. È vero che le banconote non possiedono nessun valore intrinseco (tranne quello di poter essere usate per pagare le tasse, che non è di poco conto): pertanto, se io sono disposto ad accettarle è solo perché sono convinto di poterle a mia volta dare a qualcun altro. Ma nulla impedisce che questo processo di circolazione della moneta vada avanti all'infinito.

Cos'è allora la moneta a corso forzoso? È un «espediente sociale», per citare l'economista Paul Samuelson. È una convenzione, che funziona fintanto che il futuro è come il passato. Ovviamente queste convenzioni possono venir meno, ma lo stesso può succedere con cose come i diritti di proprietà. Anzi, si potrebbe sostenere che quasi tutti i beni in un'economia moderna devono il proprio valore alle convenzioni sociali: le banconote possono perdere il loro valore, ma lo stesso può succedere a ogni tipo di titolo e contratto cartaceo, che vale qualcosa, in definitiva, solo perché la legge dice che è così (e le leggi possono essere abrogate). Una volta che ci si rende conto che una convenzione sociale non è assolutamente la stessa cosa di una bolla, molte convinzioni errate analoghe vengono smontate.

Prendiamo la tesi, spesso ripetuta a destra, secondo cui il sistema previdenziale sarebbe una truffa piramidale, perché si regge su asset reali molto limitati. È vero che il sistema previdenziale è un meccanismo in cui ogni generazione paga le pensioni della generazione precedente, con l'aspettativa di ricevere lo stesso trattamento dalla generazione successiva. Ma anche questo, come la circolazione della moneta, è un processo che può andare avanti all'infinito: non c'è nulla di insostenibile (sì, c'è il problema dell'evoluzione demografica, ma attiene al livello di tasse e pensioni, non alla natura di fondo del meccanismo). Insomma, la previdenza non è una truffa piramidale. Ultima considerazione: l'idea che il valore di una moneta debba basarsi su un "fondamentale", anche se è un caposaldo delle teorie economiche di destra, ha forti somiglianze con la teoria del valore-lavoro di Marx. In entrambi i casi non si tiene conto del fatto che il valore è una qualità emergente, non un'essenza: la moneta possiede un valore di mercato basato sul ruolo che ha nella nostra economia. Punto e basta.
...se vuoi ottenere qualcosa di diverso devi cominciare ad agire diversamente.
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Re: L'ACCADEMIA fa esercizi...

Messaggioda domenico.damico » 19/11/2012, 11:41

Mancano le conclusioni: se la moneta è convenzione legale e della comunità,
perché è gestita da SPA e loro rappresentanti istituzionali (Banche cenntrali) in totale conflitto d'interesse con la comunità stessa?

Proverò a scrivere a Krugman su questo punto.
A differenza di molti professoroni/soloni italiani, i prof. americani hanno almeno un pregio:
quello di rispondere alle e-mail.
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L'ACCADEMIA e la realtà...

Messaggioda domenico.damico » 20/12/2012, 16:44


La "rivoluzione monetaria" che Ben Bernake sta guidando dagli Stati Uniti ha radici profonde. Tutti gli attuali capi delle principali banche centrali del mondo sono neokeynesiani, formatisi al Mit di Boston: non credono che i mercati siano in grado di regolarsi da soli e di ritrovare l’equilibrio dopo gli shock recessivi.

di Federico Rampini, da Repubblica, 13 dicembre 2012


Avanti tutta, col piede sull’acceleratore: finché la disoccupazione Usa non scende sotto il 6,5%. La Federal Reserve prosegue con il tasso zero e il pompaggio di liquidità per alimentare la ripresa. La banca centrale americana annuncia che non darà tregua nella sua battaglia contro la disoccupazione. Finché non sarà scesa drasticamente, è escluso un rialzo del costo del denaro. E soprattutto, Ben Bernanke continua la sua strategia di massicci acquisti di titoli pubblici sul mercato (o semi-pubblici come le obbligazioni emesse dagli istituti di credito immobiliare). Sono operazioni da 85 miliardi di dollari al mese: un’inondazione, equivale a stampar moneta in dimensioni inusitate.

“Quantitative easing”, è il termine tecnico che descrive queste operazioni. Non sono diverse, nella sostanza, dal paracadute che il presidente della Bce Mario Draghi ha aperto per proteggere l’eurozona. Anche lì, si tratta pur sempre della leva monetaria: la Bce compra bond, il che equivale a stampare euro. Anche se la Fed è stata la prima a esplorare questa strategia, ed è la più generosa nell’uso della “pompa” di liquidità, l’elenco degli emuli è lungo. Dalla banca centrale inglese a quella giapponese, stanno facendo la stessa cosa tutte le autorità monetarie dei paesi ancora alle prese con la recessione, o convalescenti e ancora afflitte da elevata disoccupazione. In totale dall’inizio della crisi le banche centrali hanno “creato moneta” per 11.000 miliardi di dollari. Uno tsunami di dollari, euro, yen, sterline, che ha inondato i mercati. É un “esperimento senza precedenti”, così lo descrive il Wall Street Journal, ricordando che questa mobilitazione fa dei banchieri centrali gli attori più esposti nella strategia anti-crisi: anche in supplenza dei governi. Non mancano le critiche, o gli avvertimenti paurosi: da una parte c’è chi sostiene che ancora la politica monetaria non fa abbastanza; sul fronte opposto cresce il partito di quelli che intravedono all’orizzonte una nuova bolla speculativa alimentata proprio dal denaro facile.

Gli uomini che stanno conducendo “l’esperimento” hanno un segreto in comune. Oggi s’incontrano ogni due mesi a Basilea, in Svizzera, presso la sede della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), per dei summit a porte chiuse dove la riservatezza è d’obbligo. Ma per molti di loro questi vertici svizzeri sono l’equivalente di una rimpatriata: tanti anni fa, si erano già conosciuti e frequentati altrove, molto a lungo. Come in un giallo di Agatha Christie dove personaggi apparentemente scollegati fra loro rivelano a poco a poco dei punti di contatto nel loro passato remoto, un dettagliato retroscena del Wall Street Journal “riconduce” gli attori del dramma ad un unico luogo. É il Massachusetts Institute of Technology (Mit), la prestigiosa università contigua e rivale di Harvard, alla periferia di Boston. Ben cinque capi delle banche centrali si formarono lì in epoche ravvicinate, si conobbero, lavorarono assieme da giovani. Il club segreto degli ex-Mit annovera i due pesi massimi, Bernanke e Draghi; il loro collega inglese Mervyn King e il suo vice; quello israeliano Stanley Fischer che è anche uno stimato economista spesso ospite di summit come il World Economic Forum.

La lista continua, è sorprendentemente lunga. Al circolo del Mit appartiene un altro dirigente di spicco della Federal Reserve americana, il governatore Jeremy Stein; più i quattro direttori generali di altrettante divisioni della Fed. Il chief economist del Fondo monetario internazionale, l’autorevole Olivier Blanchard (francese), appartiene allo stesso clan. Del circolo esclusivo fanno parte i banchieri centrali di India, Australia, Cile, Cipro. Non è un’esperienza accademica “generica” quella che li accomuna. Per molti di loro il Mit fu il momento per conoscersi bene, confrontare idee, discutere teorie che sarebbero tornate utili decenni dopo. Bernanke e Draghi presero il Ph.D. (dottorato di ricerca) negli stessi anni, con Fischer come tutore-consigliere. Bernanke e King in seguito insegnarono insieme, fino a condividere lo stesso ufficio, sempre al Mit.

Nessuna teoria del complotto, per carità. É vero, tutti questi banchieri centrali possono riconoscersi nelle teorie neo-keynesiane; non credono cioè che i mercati siano in grado di regolarsi da soli e di ritrovare l’equilibrio dopo gli shock recessivi. Non sono degli ideologhi, però. Nessuno di loro risulta aderente alla Modern Monetary Theory, quella nuova corrente di pensiero che vede proprio nella leva monetaria la terapia indispensabile da manovrare nella crisi attuale. Di fatto, anche se non la professano, i banchieri centrali hanno cominciato a operare proprio in quella direzione.

Ciò che fanno non sta scritto nei manuali: non in queste proporzioni gigantesche. In realtà, i manuali li stanno riscrivendo proprio loro. Le critiche a cui si espongono sono virulente. Bernanke, per esempio, è stato accusato più volte dalle nazioni emergenti, che dietro l’espansione monetaria vedono una strategia del “dollaro debole” ai loro danni. Li difende proprio uno dei massimi dirigenti della Bri di Basilea, Jaime Caruana, secondo il quale “le banche centrali sono costrette ad essere le autorità di ultima istanza”, perché le politiche economiche dei governi sono state fin qui insufficienti.

(13 dicembre 2012)

fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... i-del-mit/
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KRUGMAN E SKYNET

Messaggioda domenico.damico » 06/01/2013, 10:37

Dai robot una nuova rivoluzione industriale

Ci ho messo un po' per elaborare l'ultimo e stimolante saggio di Bob Gordon (professore di economia alla Northwestern University) dove si ipotizza che i giorni gloriosi della crescita economica sarebbero ormai alle nostre spalle. Non è molto diverso dalle cose che diceva prima e in passato ho trovato molto convincenti le sue teorie. Oggi però mi sono convinto che il suo pessimismo tecnologico è sbagliato.

Gordon, sostiene che finora le rivoluzioni industriali sono state tre, ognuna fondata su un diverso insieme di tecnologie. «L'analisi del mio studio collega periodi di crescita lenta e rapida alla distribuzione temporale delle tre rivoluzioni industriali: la prima, dal 1750 al 1830; la seconda, dal 1870 al 1900; la terza (computer, web, telefoni cellulari), dal 1960 a oggi». Gordon afferma che la seconda rivoluzione industriale

di Paul Krugman - Il Sole 24 Ore - leggi su http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AbY9WUHH
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Ancora Krugman...

Messaggioda domenico.damico » 24/03/2013, 9:57

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Re: L'ACCADEMIA fa esercizi...

Messaggioda domenico.damico » 10/07/2013, 17:03

Il prof. Becchetti... ai miei tempi faceva le esercitazioni di microeconomia, ora ha la cattedra da ordinario a Tor Vergata.

Questo passaggio è interessante:

La vera questione dunque non è quella della liceità o meno del signoraggio ma del potere enorme che le Banche Centrali oggi hanno e della loro “autoreferenzialità tecnocratica”. Ribalterei però il problema sul lato dei cittadini a questo punto: l’opinione pubblica è in grado di formarsi un’opinione matura e competente sulle complessità della politica monetaria? Dobbiamo pertanto a mio avviso procedere in due direzioni: da una parte comportamenti e scelte delle Banche Centrali devono diventare sempre più trasparenti ed essere comunicati all’opinione pubblica; dall’altra l’opinione pubblica deve fare uno sforzo importante di formazione se vuole poter avere maggior voce in queste scelte. Si tratta in altri termini di decidere se far circolare più o meno moneta nel sistema e attraverso quali meccanismi. Potremmo porci il problema in un prossimo futuro, se le Banche Centrali manterranno l’indipendenza dalla politica, se i banchieri centrali non debbano essere eletti da una cittadinanza matura e capace di entrare nel merito delle questioni finanziarie.

A cui rispondo:

Caro prof. Becchetti, noi attivisti monetari siamo impegnati sul campo da anni in questo (gravoso) compito, cercando di disvelare meccanismi coperti dalla disinformazione di sistema o dalla complessità di tanta accademia.

Rispetto al nobile auspicio da lei espresso (persone più informate), per esempio, cosa si propone di fare?


http://www.aleteia.org/it/economia/inte ... vo-2434002
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Re: L'ACCADEMIA fa esercizi...

Messaggioda Vito Zuccato » 10/07/2013, 22:59

Ma con chi ti vai a ri-impelagare? :P

Leonardo Becchetti è un indigesto concentrato di banalità, ipocrisia perbenista puzzona e falsità economica GIÀ nel suo campo accademico.

A suo tempo venne a più riprese ripreso (gioco di parole) da Enrico Grosso per conto del Primit, i cui filmati sono stati più che sufficienti a descriverne la posizione scientifica (?):
- http://www.youtube.com/watch?v=yrO2VYwtp1s
- http://www.youtube.com/watch?v=I-aDlqJqJz8

Nel secondo video parte pure con il vomitevole "gne gne gne" da poppante, perché poverino gli caricavano apposta su YouCorn vari filmati con i suoi appiccicosi arrotolamenti sul signoracciebbangarie... :( :lol:


Piuttosto di Becchetti, meglio l'Antipapa fiorentino dantesco erasmiano [magari è il vero Papa?]:

Immagine
Neanche ci pensano (poracci) a togliere ↑↑↑ tutti quegli inutili zeri ciampian-craxiani...
E nemmeno il guru dell'Antipapa ha fornito tal consiglio...

:) :lol:
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Re: L'ACCADEMIA fa esercizi...

Messaggioda domenico.damico » 11/07/2013, 8:50

La serie della banconota da 10mila lire inizia anche con un bel...

UF©

in linea con la noia stizzita del personaggio...
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