Stati e Mercati

Questa sezione accoglie discussioni e segnalazioni su articoli usciti dai vari mezzi di informazione

Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 29/05/2012, 7:20

fonte http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-05-27/buone-intenzioni-portano-euro-134607.shtml?uuid=Ab0JzFjF

discreta analisi pessima conclusione...
Le buone intenzioni portano l'euro all'inferno
di Guido Rossi, 27 maggio 2012

«Se era necessaria una prova della validità della massima che le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni, la crisi economica in Europa l'ha fornita». La frase non è mia, ma di Amartya Sen in un articolo sul «New York Times» del 23 maggio, nel quale sottolinea poi che l'aspetto più inquietante dell'attuale malessere europeo è la sostituzione degli impegni democratici con i dettati finanziari da parte dei leader dell'Unione europea e della Banca centrale europea e indirettamente dalle agenzie di rating, i cui giudizi sono notoriamente inaffidabili. Con questa diagnosi è difficile non essere d'accordo e, non è un caso allora che tutta la politica europea risulti vaga e inconcludente nei fatti, ma martellante e precisa nei continui annunci mediatici, su una crescita che non arriva, su una giustizia sociale che sembra l'ultima delle preoccupazioni della maggioranza dei leader europei e su una Grecia che debba essere salvata e rimanere nell'euro oppure no. Il deficit decisionale della politica europea si ripercuote anche in Italia, dove leader vecchi e finti nuovi cercano di confondere la volontà popolare con l'idea di un capo che tutto decide per il bene comune, persino aldilà e al di sopra di chi è stato eletto dal popolo.

Questa è una vera minaccia per la democrazia che, per sua natura, come aveva già sottolineato Hans Kelsen, non tollera i capi. Lo ricorda straordinariamente nel suo ultimo libro Luigi Ferrajoli (Poteri selvaggi, Laterza, 2011, pagg. 25), il quale poi aggiunge che sempre i capi, tanto più se abbietti o mediocri, sono soggetti a continue autocelebrazioni, come esseri eccezionali e diretti interpreti degli interessi popolari.
Per la verità l'idea è antica e addirittura risale alla Repubblica di Platone (III, 397 D), il quale scrive che «se si presentasse alla nostra città (…) chi in virtù della sua abilità sapesse recitare tutte le parti e imitare ogni modello, non mancheremmo certo di venerarlo come un uomo divino e meraviglioso, e ricco di fascino. E, tuttavia, gli diremmo anche che non c'è posto nel nostro Stato per un uomo come lui, né che ci potrebbe essere e lo dirotteremmo verso altre città, non prima di avergli versato sul capo essenze profumate e di averlo bendato con nastri di lana». Purtroppo Platone è lontano.

Sembra allora inquietante che i leader europei, escludendo qualunque discussione aperta con i cittadini, abbiano questa settimana ancora fallito nelle ambiziose iniziative necessarie per uscire dalla crisi e, per quello che riguarda il problema europeo di maggior rilievo, si siano da un giorno all'altro contraddetti; ciò risulta in modo particolare a proposito del salvataggio della Grecia e del fallimento totale della politica di austerità, con pericolosi disagi nella vita dei cittadini e un loro allontanamento dal mondo della politica, che li sovrasta in una sorta di nuvola surreale.
Non ci confortano per nulla le dichiarazioni ufficiali di responsabili delle finanze europee che stanno preparando i piani per un'uscita della Grecia dall'euro o i proclami della Banca centrale tedesca che rassicura che le conseguenze dell'uscita della Grecia dall'euro sarebbero facilmente controllabili. La situazione pare invece profondamente diversa. Il primo disastroso effetto che cade nella totale indifferenza sarebbe quello che coinvolge l'euro, per sua natura moneta irrevocabile e non una sorta di porta girevole dalla quale si possa entrare ed uscire a piacimento, che in questo caso si affosserebbe velocemente.
È allora chiaro che questo pericolo di cataclisma finanziario non riguarda solo l'Europa, ma preoccupa, e non poco, anche gli Stati Uniti, come ha dimostrato l'interesse e la spinta alla soluzione del problema da parte del Presidente Obama, e fors'anche la Cina, le cui economie in questo momento stanno anch'esse pericolosamente rallentando. Che il rischio di una scomparsa dell'euro provochi una depressione globale è fin troppo ovvio se si considera che è la moneta della seconda più grande economia mondiale, con il maggior sistema bancario. Naturalmente la situazione colpirebbe immediatamente, oltre che la Grecia, il fondamentale sistema bancario in Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia e una grossa caduta del prodotto interno lordo anche in Germania, dove l'interesse da pagare sul debito pubblico non potrebbe certo essere più vicino allo zero. E probabilmente una depressione negli Stati Uniti d'America e in Giappone sarebbe inevitabile.
La soluzione immediata, in attesa che i leader occidentali riescano finalmente ad occuparsi della giustizia sociale in Europa e nei loro Paesi, risulta ormai solo quella di evitare il fallimento dello Stato greco e provvedere a concedere nuovi prestiti allo stesso, interrompendo la selvaggia e depressiva politica di austerità e di rigore che non solo ha ridotto la Grecia alla povertà ma, cosa ancor più grave, ha messo la finanza a governare gli Stati, tutelando con politiche discriminanti solo la grande finanza speculativa e creditrice, in violazione di ogni giuridica garanzia e tutela dei debitori, costretti a impoverirsi, solo per far fare utili alle banche creditrici. Se si vuol salvare la democrazia europea, la tutela dei debitori deve essere garantita.
...se vuoi ottenere qualcosa di diverso devi cominciare ad agire diversamente.
ChristianTambasco
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Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 29/05/2012, 7:31

fonte http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-05-23/leuro-attende-verdetto-213226.shtml?uuid=AbEx5EhF

Come non uscirne...tante chiacchiere una conclusione e sempre la stessa
L’euro attende il suo verdetto

di Peter Boone e Simon Johnson, 4 maggio 2012

La creazione dell’euro appena un decennio fa rappresentava un esperimento coraggioso e straordinario. Oggi, l’esito – se l’euro sopravvivrà e se gli europei faranno bene a mantenerlo – è fortemente in discussione. Ma se l’Eurozona dovesse sopravvivere, prometterebbe grandi vantaggi ai Paesi membri, e forse al mondo intero.

L’euro è una valuta fissa tra gli Stati membri: i Paesi che vi aderiscono hanno chiuso a chiave il tasso di cambio iniziale rispetto alle valute preesistenti e hanno poi gettato quelle chiavi in un vasto prato. Al momento un numero crescente di europei sta perlustrando l’area alla disperata ricerca di quelle chiavi.


L’euro condivide importanti caratteristiche con le versioni del vecchio gold standard (o sistema monetario aureo), in base al quale i Paesi fissavano il tasso di cambio per tutte le coppie di valute rispetto al valore dell’oro. Oggi alcuni sono dell’idea che il gold standard sia stato sinonimo di stabilità economica e finanziaria. Ma questo è in totale contraddizione con i dati storici: l’era del gold standard è ricca di cicli di boom-bust alimentati dagli eccessivi indebitamenti da parte di governi, imprese, privati.

Esistono tre differenze tra l’euro e il gold standard, nessuna delle quali sembra particolarmente rassicurante al momento.

Innanzitutto, il presupposto centrale del gold standard era la quantità limitata di oro nel mondo; non se ne può creare o scoprire altro, almeno non rapidamente. La Banca centrale europea può invece creare più euro se lo desidera. I Paesi non possono restare senza liquidità, dal momento che la Bce può sempre fornire altro denaro.

Ma i governi e gli investitori lo sanno, e il risultato è un rapporto debito/Pil di gran lunga più elevato rispetto a quanto sarebbe stato possibile con il gold standard. L’Eurozona nel suo complesso registra un rapporto debito/Pil del 90%, decisamente elevato rispetto a qualsiasi standard.

Tali livelli di debito sono sostenibili fintanto che gli investitori continueranno a dare per scontato che un altro salvataggio è proprio dietro l’angolo. Ma se la Bce minaccia di tagliare gli alimenti – ad esempio, perché un governo non soddisfa quella che i tedeschi considerano una buona policy economica – tutto il castello di carte potrebbe crollare.

In secondo luogo, i mercati finanziari sono diventati enormi rispetto a qualsiasi cosa vista con il gold standard. Le banche europee potevano crescere in gran parte perché si presumeva che i rispettivi governi le sostenessero. Ora non solo queste banche sono ampie rispetto ad alcune economie nazionali, ma la qualità del credito pubblico viene messa in discussione in tutta la periferia dell’Eurozona – inclusa l’Italia. Il termine risk-free asset è diventato un ossimoro nell’Europa contemporanea.

Le banche europee operano su una gran quantità di debiti e su una scarsa dose di capitale azionistico – il buffer essenziale contro le potenziali perdite. Qualsiasi shock al debito sovrano o un’eventuale contrazione delle economie locali saranno trasmessi mediante un sistema bancario iperindebitato e sottocapitalizzato agli altri Paesi europei e probabilmente ad altre aree, inclusi gli Stati Uniti.

Infine, per quanto riguarda la disciplina prevista dal gold standard, i Paesi che vi aderivano sospendevano regolarmente la convertibilità – e quindi la valuta domestica non poteva più essere convertita liberamente in oro. Ma gli europei di oggi non hanno una valuta domestica, ma solo l’euro. Se un Paese, ad esempio la Grecia, lasciasse l’euro, tutti i contratti in quei Paesi andrebbero riscritti. L’interruzione, soprattutto dei crediti, sarebbe profonda.

Il corretto funzionamento del gold standard richiedeva un elevato grado di flessibilità nei salari e nei prezzi. Se i tassi di cambio non riuscissero a deprezzarsi, i salari e i prezzi devono subire una flessione quando un Paese incorre in un deficit insostenibile delle partite correnti. Ma, come attesta ora l’Europa periferica, si tratta di una forma difficile, dolorosa e politicamente impopolare di aggiustamento economico. C’è da aspettarsi che nei mesi e negli anni a venire aumentino i contraccolpi.

L’attenzione oggi è rivolta alla periferia europea e a quanto possa essere difficile per quest’area attuare un programma di aggiustamento e ritornare alla crescita, a causa della combinazione di elevato debito pubblico e misure di austerità reali o percepite. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: il capitale fluisce in Germania, considerato un porto sicuro regionale, rendendo il credito più facilmente reperibile in questo Paese. La dinamica del processo di aggiustamento all’interno dell’Eurozona aggrava gli squilibri interni. E intanto la Germania diventa sempre più competitiva, a differenza della periferia.

Le recenti elezioni greche hanno portato più partiti radicali al foro. Alexis Tsipras, il capo della Coalizione della sinistra radicale fa una corretta osservazione: la svalutazione interna – tagliando salari e prezzi – sta fallendo come strategia. La sua alternativa sembra essere quella di abbandonare l’euro. Se la Grecia non riuscirà a fare meglio di così, sostiene, allora dovrebbe abbandonare.

Ma tutto ciò non riguarda più solo la Grecia. Anche l’Italia, la Spagna, il Portogallo e persino l’Irlanda stanno affrontando le stesse problematiche, ma sono solo all’inizio del colpo di coda. La disoccupazione sta crescendo, le loro economie non stanno acquisendo competitività e i tassi di interesse sul debito continuano a salire. Questi Paesi potrebbero alla fine decidere di lasciare l’euro. E, anche se non facessero questa scelta, il solo timore di questi abbandoni potrebbe facilmente rivelarsi profetico.

Il sistema euro è stato progettato per garantire prosperità e stabilità ad ogni Paese. Ha sicuramente mancato l’obiettivo per alcuni Paesi, e potrebbe fallire per molti altri. Il malgoverno dei politici europei ha causato danni che dureranno per decenni.

Forse un’unione fiscale più solida, un ministero centrale delle finanze e la condivisione del debito potrebbero ridurre le difficoltà e gli squilibri al punto tale da consentire all’euro di sopravvivere. Forse l’aggiustamento inizierà a funzionare appena in tempo.

Si sente rumoreggiare nella camera di consiglio. A breve il verdetto.
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Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 31/05/2012, 8:28

di seguito una sequenza di 3 articoli interessanti quanto preoccupanti che ci illustrano come siamo passati da una crisi originata dall'applicazione di pura ingegneria finanziaria da parte del sistema bancario-finanziario e permessa dalla leva finanziaria, agli Stati che diventano un ingombro con i loro debiti pubblici, che non si può pensare di affidare il salvataggio delle banche agli stati che indebitandosi per questo potrebbero vincolare le banche stesse ad acquistare debito pubblico che comunque, male che va potrebbero usare come collaterale per finanziarsi dalla BCE a costi ridicoli.

Insomma come ai vecchi tempi i soprusi del Re vengono ingigantiti ed evidenziati e le truffe di un sistema come quello bancario, minimizzati se non addirittura istituzionalizzati. Le banche ora sono le vittime, vittime di una repressione finanziaria (così la chiama veron), vittime dei debiti sovrani, vittime di questo scialacquare degli Stati peccato che se ci andiamo a vedere i rapporti debito/PIL di Italia, Spagna, Grecia, Francia, Inghilterra, etc... nel periodo pre-crisi (2007) vediamo che sono tutti inferiori di circa 20/25 punti percentuali rispetto alle stime del 2011.

Personalmente non amo questo tipo di sovrano (lo Stato come lo conosciamo oggi), ma non amo nemmeno la de-responsabilizzazione o lo spostamento di focus su un criminale oramai noto da secoli come il sistema bancario-finanziario e questi articoli che ci vogliono dire che serve escludere sempre più gli Stati nella possibilità di imporre vincoli, mai nella possibilità di intervenire con le loro garanzie, mi fanno orrore e disgusto.

Ci chiedono sempre più coesione mista a subordinazione cosicché il fine non potrà prescindere dallo status quo dei poteri costituiti altrimenti il rischio è che la società tutta venga trascinata nel baratro vittime e carnefici tutti giù e allora?! salviamo Barabba e..zitti!


http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-24/banche-schiacciate-gelosie-nazionali-063558.shtml?uuid=Ab29RMhF


Le banche schiacciate dalle gelosie nazionali
di Marco Onado, 24 maggio 2012

Non c'è più tempo da perdere. Le banche europee si trovano sempre più schiacciate fra la recessione economica e gli spread che non accennano a scendere. L'effetto netto è che il temuto processo di ridimensionamento dei bilanci bancari, con l'inevitabile credit crunch per imprese e famiglie, si sta manifestando in modo ancora più grave di quanto temuto.

La causa fondamentale è la debolezza delle risposte che finora la politica europea ha saputo individuare. Non si tratta peraltro di una scoperta di questi giorni: il Fondo monetario internazionale, nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato oltre un mese fa, aveva documentato con dovizia di dati che le politiche europee sbandierate come decisive non avrebbero potuto avere effetti permanenti e che la terapia d'emergenza della Bce aveva, come ha sempre detto Mario Draghi, evitato il disastro immediato, non necessariamente riportato la situazione alla normalità.
L'effetto dell'intervento della Bce è ormai svanito, gli spread sono risaliti e le banche si trovano in crescente difficoltà: nel mirino ci sono oggi le banche spagnole, che non a caso hanno perso dall'inizio dell'anno una gran parte del loro valore di Borsa: si va da un minimo di -22% per Santander a -54% per Banesto.


La scorsa settimana si è diffusa anche la notizia di un deflusso di depositi per un miliardo di euro da Bankia, una banca grande solo per dimensione, perché nata mettendo insieme la debolezza di molte casse regionali, tutte colpite dalla crisi immobiliare. Si tratta, si badi, di uno scenario che le banche greche subiscono da tempo: negli ultimi due anni hanno subito un'emorragia di depositi di oltre 70 miliardi di euro, di cui 9 da inizio anno.
È troppo presto per parlare di una corsa agli sportelli a livello europeo, ma certo è preoccupante che mentre i dati aggregati mostrano una crescita dei depositi del 3% circa, la Spagna faccia già registrare un deflusso netto e sinistri segnali si avvertano anche in Irlanda, Portogallo e Belgio. Le grandi banche europee hanno ampie risorse di liquidità: secondo Goldman Sachs, le prime nove hanno riserve per oltre mille miliardi di euro, pari a circa il 28% dei depositi. Ma quel confortevole cuscino può assorbire facilmente le pressioni su un singolo istituto, assai meno quelle che coinvolgono un intero sistema.
Quando i depositanti abbandonano le banche, può subentrare solo la banca centrale. Ma nel caso greco la Bce ha già chiuso il rubinetto e ha annunciato che, in mancanza del piano di ricapitalizzazione previsto, il credito alle banche greche verrà concesso solo nella forma dell'Ela (Emergency liquidity assistance) che viene erogato dalle banche centrali nazionali e non da Francoforte. Implicitamente, si è così proclamato che le banche greche sono in stato di insolvenza, almeno fino a quando il governo non avrà ricapitalizzato le banche, ammesso che abbia le risorse per farlo.

In questa situazione, rischia di ripetersi per il sistema bancario europeo lo stesso meccanismo di contagio già sperimentato da oltre due anni per il debito pubblico. Dal Paese più debole, la Grecia, la malattia si estende a macchia d'olio a quelli contigui. Molti Paesi si sono comportati come don Ferrante, che negava l'esistenza della peste e quindi si riteneva immune dal morbo. Lo stesso processo può ripetersi per il sistema bancario, a cominciare da quello spagnolo, che all'inizio della crisi appariva robusto, ma oggi ha un deficit di capitale stimato in almeno 50 miliardi, ha bisogno di aumentare gli accantonamenti sui prestiti al settore edilizio e vede la sfiducia serpeggiare fra i depositanti.
La crisi sta distruggendo giorno dopo giorno il mercato unico dei servizi bancari, cioè quello che il rapporto Monti di due anni fa aveva indicato come uno dei principali risultati del processo di integrazione e come uno dei punti da rafforzare per il futuro. La direzione è stata invece esattamente opposta. Una recente ricerca di UniCredit dimostra che le condizioni del credito fra Paesi periferici e centrali sono sempre più divergenti: le imprese italiane ad esempio pagano tassi di interessi superiori di oltre 1,5 punti rispetto ai loro concorrenti tedeschi e fronteggiano una stretta molto più severa. Altre ricerche mostrano che i tassi retail dei singoli Paesi rispondono ormai in modo diverso agli stimoli della politica monetaria.
Se il sistema finanziario europeo si frammenta e ripiega verso i vecchi confini nazionali, viene meno una delle ragion d'essere dell'unione monetaria e il circolo vizioso fra debito pubblico e sistema bancario diventa sempre più difficile da spezzare. Occorrono finalmente risposte coraggiose, tempestive e unitarie. Le soluzioni sono ormai note da tempo e tutte passano per un maggior livello di integrazione europea.

Alla vecchia idea di quei sovversivi dei consulenti di Angela Merkel di mettere a fattor comune una parte del debito pubblico, si aggiungono oggi analoghe proposte per il sistema bancario: dall'assicurazione dei depositi, all'intervento del fondo europeo, ai meccanismi di intervento nei casi di squilibri più profondi. Si tratta di soluzioni che comportano un livello europeo di vigilanza e dunque un fiero colpo alle gelosie nazionali finora dominanti.
Non è certo la fantasia tecnica che fa difetto, ma la capacità politica dei governi europei di trovare una soluzione definitiva. È tempo però di riconoscere che la situazione continua a peggiorare e oggi trincerarsi dietro la (limitata) potenza di fuoco del Fondo europeo o un incremento del fondo di dotazione della Banca europea degli investimenti, rischia di trasformarsi in un'ulteriore, cocente delusione.





http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-05-29/fondo-garantire-depositi-063805.shtml?uuid=AbFBh0jF


Fondo Ue per garantire i depositi
di Nicolas Véron, 29 maggio 2012
Il sistema bancario europeo era intrinsecamente fragile già prima della crisi greca: lo aveva rivelato con chiarezza lo shock dei mutui subprime e della Lehman nel 2007-2008, e da quel momento, nonostante i reiterati stress test, il problema non è mai stato affrontato adeguatamente. Nelle ultime settimane, diversi politici e funzionari di primo piano hanno parlato in modo più esplicito della necessità di una "unione bancaria", vale a dire un quadro di riferimento federale per le politiche bancarie.

Fra questi, Christine Lagarde, direttrice generale del Fondo monetario internazionale, che il 17 aprile ha dichiarato: «Per spezzare il circolo vizioso tra Stati sovrani e banche serve una maggiore condivisione del rischio a livello transnazionale nel settore bancario. Nel breve termine sarebbe utile un fondo, comune a tutta l'Eurozona, in grado di rilevare direttamente quote azionarie delle banche. Guardando più in prospettiva, l'unione monetaria dovrà essere supportata da un'integrazione finanziaria più spinta, che secondo la nostra analisi dovrebbe assumere la forma di una supervisione comune, con un'autorità di risoluzione unica per il settore bancario, un meccanismo di emergenza comune e un unico fondo di garanzia dei depositi».


Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha fatto eco alle dichiarazioni della Lagarde il 25 aprile, quando, parlando di fronte al Parlamento europeo, ha dichiarato che considerava «evidente che la stabilità finanziaria dev'essere una responsabilità comune nel quadro di un'unione monetaria» e che «per garantire il buon funzionamento dell'Unione economica e monetaria è necessario rafforzare la supervisione e i meccanismi di risoluzione per il settore bancario a livello europeo».

Molti esperti ora concordano sul fatto che un'unione bancaria, insieme a un qualche tipo di unione delle politiche di spesa e di bilancio, rappresenti una condizione necessaria per un'unione monetaria sostenibile e per risolvere l'attuale crisi dell'Eurozona. Ma nonostante la creazione di un'Autorità bancaria europea, lo scorso anno, le misure intraprese sono state modeste. La Spagna è un ottimo esempio: il Governo di Madrid avrebbe potuto chiedere al Fondo europeo per la stabilità finanziaria un prestito finalizzato specificamente alla ricapitalizzazione delle sue banche, ma ha preferito fare da sola con la nazionalizzazione del traballante colosso Bankia e una nuova tornata di svalutazioni contabili legate al mercato immobiliare, che hanno suscitato forte scetticismo sui mercati.

L'integrazione delle politiche bancarie è complicata per diversi motivi. Il Regno Unito, principale snodo finanziario europeo, non fa parte dell'euro e si oppone a ogni cessione di sovranità nel campo della supervisione del settore. Alcuni Stati membri continuano a sostenere i colossi nazionali o a difendere i legami tra banche locali e comunità politiche, legami che di fatto rendono le banche strumenti delle politiche industriali dello Stato. Un altro ostacolo al cambiamento è il fatto che i Governi, oberati di debiti, possono esercitare pressioni sulle banche nazionali per spingerle ad acquistare i loro titoli di Stato (è la cosiddetta repressione finanziaria). Naturalmente un'unione bancaria potrebbe comportare aspetti controversi relativi alla condivisione del rischio o ai trasferimenti tra nazione e nazione.

Tutti questi fattori impediscono all'Europa di costruire in tempi rapidi un'architettura coerente per la sua unione bancaria. I leader europei, se da un lato sono più che disposti a discutere su come prevenire crisi future, dall'altro spesso chiudono gli occhi sulla crisi in corso. La loro retorica tende a evocare un mondo immaginario in cui la finanza è stabile, gli incentivi economici sono in linea con le responsabilità sociali e i sentimenti morali e le autorità pubbliche hanno una perfetta comprensione del sistema finanziario. Questi voli di fantasia sono un lusso che ormai non ci possiamo quasi più permettere, specialmente di fronte all'urgente necessità di gestire la crisi e garantire la sopravvivenza dell'Eurozona.

Tre priorità sono evidenti. La prima è che la condivisione del rischio fra le banche dev'essere la più ampia possibile. È irragionevole che i Governi europei rimborsino tutti i creditori delle banche che falliscono, compresi i creditori chirografari in tutti i casi registrati fino a oggi (tranne due banche in Danimarca e alcuni istituti di credito piccolissimi in altri Paesi) e i creditori subordinati in quasi tutti i casi registrati nell'Europa continentale.
Negli Stati Uniti, invece, i processi di ristrutturazione hanno costretto quasi sempre i creditori a farsi carico di perdite pesanti, tranne una manciata di casi rilevanti come la Bear Stearns, la Fannie Mae, la Freddie Mac, l'Aig e le case automobilistiche.

L'Europa dovrebbe optare per un approccio che consenta di evitare gli incentivi perversi che hanno tenuto i contribuenti ostaggio dei creditori delle banche fallite. Ci sono molte complesse questioni legali e finanziarie in gioco, ma la scelta è politica.

La seconda priorità è la necessità di dotarsi di una capacità operativa di ristrutturare le banche senza fare affidamento su autorità nazionali che sono venute meno ai doveri di supervisione. Serve una task force temporanea ed efficiente di professionisti delle ristrutturazioni, in grado di intervenire in tempi rapidi per conto di tutta l'Eurozona, e di gestire i legacy assets (le attività "tossiche" rimaste nei bilanci della banca). Questi strumenti attualmente non esistono. Precedenti significativi sono l'Autorità di supporto per il settore bancario istituita in Svezia nel 1992, o - in contesto differente - la Treuhandalstalt creata in Germania dopo la riunificazione.

La terza priorità, la più urgente, è impedire che si scatenino assalti agli sportelli. Il modo migliore per riuscirci è che il Fesf, o l'organismo che ne prenderà il posto, garantisca tutti i sistemi nazionali di garanzia dei depositi nei Paesi dell'Eurozona. Questa "riassicurazione dei depositi" consoliderebbe l'integrità dell'Eurozona e rafforzerebbe da subito la fiducia nelle sue banche. Ovviamente alla fine bisognerebbe predisporre delle strutture di supervisione forti a livello europeo, per prevenire il rischio di azzardo morale.

Ci vorrà altro tempo per combinare tutti questi tasselli differenti in un coerente quadro di politiche per il settore bancario europeo. Ma ora non è il momento per lavorare di fino: quello che serve sono impegni da parte delle autorità, in tempi rapidi e con coraggio.



http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-05-30/bruxelles-rischia-disintegrazione-finanziaria-133742.shtml?uuid=Abg08kkF&cmpid=nl_7%2Boggi_sole24ore_com


Bruxelles: rischio disintegrazione finanziaria, occorre un'unione bancaria
di Enrico Marro, 30 maggio 2012
Nel giorno del flop dell'asta BTp e degli spread di nuovo alle stelle, la Commissione europea chiede che il Fondo anti-crisi ricapitalizzi direttamente le banche. E le Borse fanno immediatamente uno strappo al rialzo, pur restando negative. Attualmente l'European Stability Mechanism, che entrerà in funzione da luglio, può prestare solo ai governi che lo richiedono i quali poi destinano i fondi alla ricapitalizzazione delle banche. Nel rapporto di stabilità sull'Eurozona, la Commissione europea indica che si tratta di una possibilità da auspicare «per spezzare il legame tra banche e debito sovrano».

Bruxelles segnala come le attività finanziarie transfrontaliere e le banche si stiano ritirando «entro i confini nazionali». Le banche hanno cominciato a disinvestire gli asset non-core che spesso includono asset non Ue.

Per contrastare questa tendenza alla «disintegrazione finanziaria, è necessario un coordinamento maggiore a livello europeo nella supervisione e nel quadro di gestione delle crisi», è necessaria una integrazione «più stretta tra i paesi Eurozona nelle strutture e nelle pratiche di vigilanza, nella gestione delle crisi cross-border e nella condivisione degli oneri (burden sharing) procedendo verso un'unione bancaria che sarebbe un importante elemento per completare l'attuale struttura dell'unione monetaria».

Un atto di coraggio, insomma, per spezzare il legame perverso crisi bancarie-debito sovrano. Un altro atto di coraggio per far compiere un salto politico all'Unione monetaria: procedere subito verso una «unione bancaria» che significa, in sostanza, schema europeo di garanzia dei depositi bancari, possibilità che il Fondo anti-crisi intervenga direttamente per ricapitalizzare le banche (cosa che oggi puo' avvenire solo attraverso prestiti agli Stati che si sottopongono a stretti programmi di salvataggio), sorveglianza finanziaria ancora più stretta, più centralizzata.

Ma c'è di più: con una presa d'atto di realismo Bruxelles annuncia di essere pronta a dare un anno di tempo in più alla Spagna per portare il deficit in zona sicurezza. È forse il solo paese Ue che l'anno prossimo sarà ancora in recessione, quindi non ci sono molte alternative. Si potrà dire che la proposta della Commissione è tardiva e certamente lo è, che in fondo tutto questo non rappresenta una vera novità perché se ne discute apertamente da diverse settimane anche tra le capitali. Ma una volta che Bruxelles si è pronunciata, tocca ai governi decidere. Non è possibile perdere ancora del tempo prezioso.

In serata il ministro delle finanze francese, Pierre Moscovici, ha definito «interessante» il progetto di unione bancaria all'interno della zona euro, come suggerito dalla Commissione europea. Moscovici ha discusso l'idea con il primo ministro lussemburghese e con il presidente dell'Eurogruppo. Un'unione bancaria europea darebbe maggiore supporto alle banche regionali con fondi europei, consentendo loro di affrontare il terribile impatto della crisi del debito sovrano, ha detto il ministro francese che, nel corso di una conferenza stampa congiunta con Jean-Claude Juncker, ha spiegato che l'idea è stata discussa dai paesi membri europei e funzionari dell'Ue, tra cui Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea.
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Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 20/06/2012, 11:45

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-06-19/crisi-nasce-squilibri-204157.shtml


Ma la crisi nasce dagli squilibri Usa
di Mario Margiocco, 20 giugno 2012

È difficile attribuire più responsabilità agli Stati Uniti invece che all'Europa. Gli Stati Uniti hanno senz'altro la primogenitura di questa crisi. L'Europa potrebbe regalare al mondo la fase due, come accadde nel 1929-1931 quando la grande gelata della Borsa americana riattraversò l'Atlantico con il grande fallimento del Creditanstalt viennese dei Rothschild. E rischia di farlo perché se allora era troppo disunita, ancora oggi non è unita abbastanza.
Dalla nazione leader non arrivano per l'Europa solo buoni consigli e giuste pressioni. Ma un eccesso di pessimismo, a macchie ben visibili di schadenfreude, di compiaciuta scoperta di un altro peccatore. E un tentativo di scaricare sull'area euro una responsabilità che è assolutamente condivisa, e con il carico maggiore, diciamo 60 a 40, sulla coscienza americana. Il clima della corsa per la Casa Bianca non aiuta.
Le due crisi sono simili come genesi. La bolla immobiliare in America, la bolla del debito pubblico in Europa. Negli Stati Uniti furono abolite tutte le regole per le banche, tra il 1999 e il 2004, mantenendo però la garanzia federale al sistema, e il ruolo della finanza pubblica per alimentare il mercato dei mutui. Una festa, una manna, una follia. Nell'Europa dell'euro si pensò che la nuova stabilità monetaria e il crollo per vari Paesi del costo del debito aprissero, ugualmente, una nuova era. Chi faceva troppi debiti, o chi non rientrava (l'Italia) da quelli eccessivi pregressi, replicava su altri terreni l'errore dei subprime e di tutti i mutui facili.
L'Europa ha varie responsabilità, fra le prime quella di aver consentito alle banche di acquistare debito sovrano a go-go, considerandolo inaffondabile, così come inaffondabili sembravano i mutui americani. Le due crisi sono simili e si sommano. In più molte banche europee hanno creduto alla "nuova finanza" americana, e si sono ampiamente scottate con i suoi prodotti.
Ma è stata comunque l'Europa di Bruxelles, a inizio 2004, a lanciare un allarme su che cosa stavano facendo le banche d'affari di Wall Street, Goldman, Lehman, Bear Sterns, Merrill Lynch, Morgan Stanley, troppo facili ai debiti. La risposta americana, in una riunione tristemente famosa della Sec, l'autorità di Borsa, il 28 aprile 2004, fu quella di sostituire regole-colabrodo con l'obbligo ancor più colabrodo di comunicare le esposizioni alla Sec stessa, dove nessuno controllava, in omaggio alla teoria della razionalità dei mercati, che se facevano, sapevano quanto facevano.
L'Europa reagiva male anche quando la Fed di New York con Tim Geithner e il Tesoro con Henry Paulson lasciavano fallire Lehman. Perché, se poi hanno salvato tutti? Sono rimaste famose le telefonate di Christine Lagarde, allora al Tesoro francese, a Paulson.
L'Europa non ha apprezzato la politica americana di paper over, di far finta che tutto o molto sia risolto sul fronte bancario e finanziario. Non lo è, visto che le due megafinanziarie immobiliari Fannie e Freddie, al cuore della crisi, sono nel limbo, più di sei mila miliardi garantiti dal debito federale. E non apprezza, l'Europa, di essere sul banco degli accusati per un debito sovrano che nell'area euro non arriva al 90% del Pil mentre quello di Washington, aggiungendo Fannie, Freddie e altro dovuto ma ignorato dalla contabilità schizza dal 102% ufficiale e supera il 140 per cento.
Gli Stati Uniti, che hanno un solo Governo e non 17 premier e parlamenti e sono pur sempre gli Stati Uniti, si stanno indebitando nell'ordine dei 100 miliardi di dollari al mese in più, mese dopo mese, battendo con Obama, causa crisi, ogni record storico.
Non è semplice quindi ascoltare i consigli americani per una dozzina e mezza di nazioni in lenta marcia verso un'unione, e che si sono fatte cogliere in mezzo al guado dal grande guaio bancario, del debito e della moneta incompiuta. Consigli diventanti pressanti non solo con l'avanzare della crisi europea, ma anche della campagna elettorale americana, che nel settembre 2011 muoveva i primi passi. In quel momento i repubblicani cominciavano ad additare il «fallimentare modello europeo» accusando Obama di volerlo replicare. E in quel momento, un Obama preoccupato per l'Europa, ma ancor più per la sua candidatura, incominciava a parlare dei rischi di contagio. E ancor più lo ha fatto quando, con aprile, la ripresina americana ha virato verso la recessione. «Non credo che i problemi europei siano i soli problemi americani», ha varie volte ripetuto da allora il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble.
Quello che più dispiace agli europei, pur oberati da infiniti problemi, molte responsabilità, ma non ancora arresi, sono frasi del tipo «un collasso dell'Eurozona sarebbe un disastro economico che potrebbe definire i contorni della nostra era». Vero. Ma a scriverlo, ieri sul Washington Post, è l'ex ministro di Clinton ed ex consigliere-principe di Obama, Lawrence Summers, l'uomo che se avesse capito prima qualcosa e creduto meno alle illusioni finanziarie avrebbe contribuito a evitare a tutti molti guai. I contorni della nostra era, per ora, sono definiti in finanza e nel mondo bancario - i casi Mf Global e le perdite londinesi di JPMorgan insegnano - dalla latitanza di quella che è stata la grande leadership americana di tre generazioni e più.
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Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 09/07/2012, 15:01

di seguito ripropongo due, a mio avviso, interessanti interviste a Joseph Stiglitz, a distanza di due anni l'una (2010) dall'altra (2012):

fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/201002articoli/51924girata.asp

Intervista del febbraio 2010
Stiglitz: "Fanno soldi sul disastro che loro hanno creato"
Il Nobel per l'Economia: paradosso assurdo,
colpa degli speculatori che prendono di mira i governi più deboli


di STEFANO LEPRI, ROMA 05 febbraio 2010

«E' un paradosso assurdo, da voi in Europa - si infervora Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia 2001 - una ironia della storia. Non lo vede? I governi hanno contratto molti debiti per salvare il sistema finanziario, le banche centrali tengono i tassi bassi per aiutarlo a riprendersi oltre che per favorire la ripresa. E la grande finanza che cosa fa? Usa i bassi tassi di interesse per speculare contro i governi indebitati. Riescono a far denaro sul disastro che loro stessi hanno creato».

Che può succedere ora?
«Aspetti. Non è finita qui. I governi varano misure di austerità per ridurre l’indebitamento. I mercati decidono che non sono sufficienti e speculano al ribasso sui loro titoli. Così i governi sono costretti a misure di austerità aggiuntive. La gente comune perde ancora di più, la grande finanza guadagna ancora di più. La morale della favola è: colpevoli premiati, innocenti puniti».

Come si può rimediare?
«Tre punti. Primo: niente denaro alla speculazione. Negli Stati Uniti come in Europa, bisogna fare nuove regole per le banche. Devono finanziare le imprese produttive, non gli hedge funds. Bisogna impedirgli di speculare».

Una parola. Se è il governo a dirigere il credito, il rischio è di distribuirlo ancora peggio.
«Non credo. Secondo me si può e si deve intervenire. Punto secondo: bisogna imporre tasse molto alte sui guadagni di capitale. Oggi è più vantaggioso speculare che lavorare per vivere. Deve tornare ad essere il contrario».

E poi?
«Punto terzo: in Europa dovete appoggiare i governi in difficoltà».

Si rischia di premiare i politici che governano male.
«No. La prova la dà la Spagna. Oggi è in difficoltà senza aver fatto errori. Il governo aveva un bilancio in attivo fino all’altr’anno; la Banca centrale ha sorvegliato le banche molto bene, tanto che viene citata ad esempio nel mondo. Che colpa hanno? Certo, anche loro hanno visto crescere la bolla, nel mercato immobiliare, e non l’hanno fermata. Ma è l’errore che hanno fatto tutti. Era nello spirito dei tempi. Lo ispirava l’ideologia neo-liberista che ha dominato per molti anni».

In Grecia però hanno sbagliato. Hanno anche truccato i conti.
«Non l’attuale governo, il precedente. Sono stati colpiti dalla crisi della navigazione commerciale, settore importante per loro, e dal calo del turismo. Insomma, perché dobbiamo costringere la gente a fare ancora più sacrifici, se non ha colpa?».

Il debito c’è. Prima o poi gli Stati dovranno ripagarlo.
«Ma perché mai dobbiamo dare retta ai mercati? I mercati non si comportano in maniera razionale, lo abbiamo visto nel modo in cui si è prodotta la crisi. Allora perché mai dovrebbero avere ragione, nel chiedere ancora più sacrifici ai cittadini di quei paesi? In più, anche se la avessero, si comportano in maniera troppo erratica. E per finire, qui è in corso un attacco speculativo: non è che se uno fa bene non lo colpiscono, è che se ti possono far fuori ti fanno fuori».

Come possiamo fare, in Europa?
«Dovete costruire dei meccanismi di solidarietà fra Stati. L’Unione deva avere più risorse a disposizione. Si spendono un sacco di soldi per la politica agricola comune, che è uno spreco, mentre...»

Si potrebbero emettere dei titoli europei, gli Eurobonds.
«Certo. E poi occorre tassare le attività nocive. Soprattutto due: la finanza e le emissioni di anidride carbonica. Anche negli Stati Uniti».

Obama riuscirà a imporsi alle banche?
«Sarà una lunga battaglia. Ma la rabbia della gente è forte, e il presidente lo sa. I banchieri hanno contro tutto il resto della popolazione».

Il Congresso è riluttante.
«Spero che non si debba arrivare ad un’altra crisi, prima di riuscire a mettere la finanza sotto controllo. Sarebbe davvero triste. Pensi a quanto danno hanno causato. Lo sa che secondo le rpevisioni del Cbo, l’Ufficio bilancio del Congresso, la disoccupazione comincerà a diminuire sono a metà del decennio? Queste sono cose che restano a lungo nella memoria della gente».



fonte: http://www.linkiesta.it/stiglitz#ixzz208I78Nvu


Intervista aprile 2012
Il Nobel Stiglitz:“L’austerity sarà un disastro per l’Europa”
Martin Eiermann/The European.de, 24 aprile 2012

L’austerità di per sé «sarebbe sicuramente un disastro» e «le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa» dice il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz per il quale è impossibile che tutto il Continente possa diventare come la Germania. Ma è il modello economico globale che non funziona: «Non importa se poche persone al vertice sono strapagate - quando la maggioranza dei cittadini non si è arricchita, il sistema economico non funziona».

Le politiche di recessione ci stanno portando verso una doppia recessione, mette in guardia l’economista statunitense Joseph Stiglitz. Si è incontrato con il giornale tedesco The European, partner de Linkiesta, per discutere il nuovo pensiero economico e l’influenza del denaro nella politica.

The European: Quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, si sente rassicurato dal modo in cui gli economisti hanno provato a comprenderla, e dal modo in cui le loro analisi sono state recepite dai politici?
Stiglitz: Mi lasci analizzare questo tema in modo leggermente diverso. Gli economisti accademici hanno giocato un ruolo importante nel causare la crisi. I loro modelli erano eccessivamente semplificati, distorti, e trascuravano gli aspetti più importanti. Questi modelli sbagliati hanno incoraggiato i politici a credere che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi. Prima della crisi, se io fossi stato un economista di strette vedute, sarei stato molto compiaciuto dal vedere quanto impatto avessero gli accademici sulla politica. Ma sfortunatamente questo è stato un danno per il mondo. Dopo la crisi avresti sperato che il pensiero accademico fosse cambiato, e che i politici fossero cambiati con esso, diventando più scettici e cauti. Ti saresti aspettato che, dopo tutte le previsioni sbagliate del passato, i politici avrebbero chiesto agli accademici di ripensare alle loro teorie. In generale sono deluso sotto tutti i punti di vista.

The European: gli economisti hanno visto i difetti dei loro modelli teorici ma non hanno provveduto a liberarsene o a migliorarli?
Stiglitz: nel mondo accademico, quelli che credevano nel libero mercato prima della crisi ci credono ancora. Pochi hanno cambiato idea, e voglio riconoscergli il merito di avere detto: “Ci eravamo sbagliati. Avevamo sottostimato questo o quell’aspetto dei nostri modelli”. Ma i più hanno dato una risposta differente. I sostenitori del libero mercato non hanno rivisto i propri convincimenti.

The European: Guardiamo al lungo periodo. Lei pensa che la crisi avrà effetti sulle future generazioni di economisti e politici, ad esempio cambiando il modo di pensare ai fondamenti dell’economia?
Stiglitz: Io penso che sia in atto un reale cambiamento tra i giovani. I miei studenti giovani, in stragrande maggioranza, non capiscono come le persone abbiano potuto riporre fiducia nei vecchi modelli. Questo è un bene. Ma d’altro canto, molti di loro dicono che se vuoi diventare un economista, devi ancora avere a che fare coi “vecchi” convinti delle loro teorie sbagliate, che insegnano tali teorie, e si aspettano che tu le condivida. Così i giovani decidono di non entrare in quelle branche dell’economia. Ma ciò che mi ha ancora più deluso è la politica americana. Ben Bernanke fa un discorso e sostiene che non c’è niente di sbagliato nella teoria economica, i problemi sono solo alcuni dettagli in fase di attuazione. In realtà ci sono molti errori nella teoria e nell’ossatura di base delle politiche che da essa sono state derivate. Ma se nella tua mentalità non c’è niente che non vada, non chiederai nuovi modelli. Questa è una grande delusione.

The European: Sembra che ci fosse del disaccordo tra i consiglieri economici di Obama circa il modo migliore di agire. E in Europa, principi economici fondamentali come l’attenzione smodata alla crescita del Pil, sono finalmente sotto attacco.
Stiglitz: Alcuni politici americani hanno riconosciuto il pericolo del principio “troppo grande per fallire”, ma sono una minoranza. In Europa, le cose vanno un po’ meglio da un punto di vista del dibattito teorico. Economisti influenti, come Derek Turner e Mervyn King hanno riconosciuto che c’è qualcosa di sbagliato. La Commissione Vickers (in Inghilterra, ndr) ha riesaminato con attenzione le politiche economiche. Noi non abbiamo niente di simile negli Stati Uniti. In Germania e in Francia sono in discussione la tassa sulle transazioni finanziarie e i limiti alle remunerazioni dei vertici aziendali. Sarkozy dice che il capitalismo non ha funzionato, Merkel che siamo stati salvati dal modello sociale europeo – e sono entrambi politici conservatori! I banchieri questo non lo capiscono, il che spiega perché ancora vediamo il vertice della Banca Centrale Europa, Mario Draghi, spiegare che si deve rinunciare al sistema di welfare mentre la Merkel sostiene l’esatto opposto: che il modello sociale ci sta salvando dopo che le banche centrali hanno fallito nel fare il loro ruolo di regolatori e hanno usato le loro politiche per cambiare la natura delle nostre società.

The European: Le sue convinzioni personali come sono state influenzate dalla crisi?
Stiglitz: Non penso che ci sia stato un cambiamento fondamentale nel mio pensiero. La crisi ha rafforzato alcune cose che dicevo in precedenza e mi ha mostrato quanto fossero importanti. Nel 2003 scrissi riguardo ai rischi dell’interdipendenza, là dove il collasso di una banca può portare al collasso di altre banche e aumentare la fragilità di tutto il sistema bancario. Io sapevo che era importante, ma l’idea non ebbe successo all’epoca. Lo stesso anno analizzammo il problema dei conflitti di interesse nella finanza. Solo ora vediamo quanto fossero importanti quei problemi. Io sostenevo che il vero problema nell’economia monetaria è il credito, non le scorte di moneta. Ora tutti ammettono che è stato il collasso del sistema di credito a far cadere le banche. Insomma, la crisi ha confermato e rinforzato molti aspetti delle teorie che avevo esplorato in precedenza. Un argomento che ora considero molto più importante di quanto non facessi in passato è la questione degli interventi e il ruolo dei sistemi di cambio, come l’euro, nel prevenire interventi economici. Un problema collegato è il legame tra interventi strutturali e attività macroeconomica. Gli sviluppi della crisi mi hanno portato a pensare maggiormente a questi temi.

The European: La tassa sulle transazioni finanziarie sembra essere morta di una morte politica in Europa. Ora le politiche economiche europee sembrano ampiamente dominate dalla logica dell’austerità, e dal costringere gli altri Paesi europei a diventare più simili alla Germania.
Stiglitz: l’austerità di per sé sarebbe sicuramente un disastro. Sta portando a una doppia recessione che potrebbe essere abbastanza grave. Probabilmente peggiorerà la crisi dell’euro. Le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa. Ma il problema più ampio riguardo il “modello tedesco”. Ci sono diversi aspetti – tra questo il modello sociale – che consentono alla Germania di superare una forte caduta del Pil offrendo alti livelli di protezione sociale. Il modello tedesco dei corsi di formazione professionale è molto efficace. Ma ci sono altre caratteristiche che non sono altrettanto positive. La Germania ha un’economia basata sulle esportazioni, ma questo non può valere per altri Paesi. Se alcuni Stati hanno dei surplus nelle esportazioni, costringono altri Stati ad avere dei deficit nelle esportazioni. La Germania ha adottato delle politiche che gli altri Stati non possono imitare, e ha provato ad applicarle all’Europa in un modo che incrementa i problemi europei. Il fatto che alcuni aspetti del modello tedesco siano buoni non significa che tutti i suoi aspetti possano essere applicati in giro per l’Europa.

The European: E non significa che la crescita economica soddisfi i criteri di equità sociale.
Stiglitz: Sì, c’è un altro elemento che bisogna prendere in considerazione. Cosa sta succedendo alla maggior parte dei cittadini in ogni nazione? Se si guarda all’America, si deve ammettere che abbiamo fallito. La maggior parte degli americani oggi è più povera di 15 anni fa. Un lavoratore a tempo pieno negli Usa è più povero oggi che 44 anni fa. Questo è sbalorditivo – mezzo secolo di stagnazione. Il sistema economico non è distributivo. Non importa se poche persone al vertice sono strapagate - quando la maggioranza dei cittadini non si è arricchita, il sistema economico non funziona. Dobbiamo chiederci se il sistema tedesco sia distributivo o meno. Non ho studiato tutti i dati, ma la mia impressione è che non lo sia.

The European: Cosa risponderebbe a chi ragionasse così: I cambiamenti demografici e la fine dell’età industriale hanno reso il welfare state insostenibile da un punto di vista finanziario. Non possiamo sperare di abbattere il debito senza ridurre i costi del welfare nel lungo termine.
Stiglitz: Che è un’assurdità. La domanda di protezione sociale non ha nulla a che fare con la struttura della produzione. Ha a che fare con la coesione sociale o la solidarietà. Questo è il motivo per cui sono così critico con la tesi di Draghi alla Bce, per cui la protezione sociale andrebbe smantellata. Non ci sono basi su cui fondare un simile ragionamento. Gli Stati che meglio stanno facendo in Europa sono quelli scandinavi. La Danimarca è differente dalla Svezia, che è differente dalla Norvegia – ma tutti hanno una forte protezione sociale e tutti stanno crescendo. La tesi per cui la risposta alla crisi attuale passa da un allenamento della protezione sociale è davvero un argomento dell1% che dice; “Dobbiamo prendere una fetta più grossa della torta”. Ma se la maggioranza delle persone non trae benefici dalla torta dell’economia, il sistema è fallimentare. Io non voglio più parlare del Pil, voglio parlare di quel che sta succedendo alla maggioranza dei cittadini.

The European: la sinistra è in grado di articolare queste critiche?
Stiglitz: Paul Krugman è stato molto duro nell’articolare le critiche alle tesi pro-austerità. L’attacco più forte è stato fatto, ma non sono sicuro che sia stato pienamente recepito. La domanda problematica ora è come valutare un sistema economico. Non è ancora stata articolata appieno, ma penso che vinceremo questa battaglia. Anche la destra sta iniziando ad essere d’accordo sul fatto che il Pil non sia un buon misuratore del progresso economico. La nozione di benessere della maggioranza dei cittadini è per lo più una stupidata.

The European: Mi sembra che il grosso della discussione sia ancora incentrato sulle misurazioni statistiche – se non misuriamo il Pil, stiamo misurando qualcos’altro, come la felicità o le differenze di reddito. Ma c’è un elemento, stando a queste discussioni, che non può essere posto in termini numerici – qualcosa riguardo i valori che implicitamente inseriamo nel nostro sistema economico?
Stiglitz: Nel lungo termine, dovremo avere queste discussioni etiche. Ma io parto da una base molto più limitata. Sappiamo che il reddito non rispecchia molte cose a cui attribuiamo valore. Ma anche con un indicatore imperfetto come il reddito, dovrebbe comunque importarci di quel che succede alla maggioranza dei cittadini. È bello che Bill Gates se la passi bene. Ma se tutti i soldi sono andati a Bill Gates, non si può pensare che il sistema sia efficace.

The European: Se la sinistra non è stata in grado di articolare fino in fondo questa idea, la società civile è in grado di colmare la lacuna?
Stiglitz: Sì, il movimento Occupy è stato molto efficace nel portare queste idee nel cuore della discussione politica. Ho scritto un articolo per Vanity Fair nel 2011 - “Of the 1%, by the 1%, for the 1%” – che ha davvero coinvolto personalmente molte persone, perché parlava delle nostre inquietudini. Le proteste come quella di Occupy Wall Street sono efficaci solo quando portano allo scoperto queste preoccupazioni condivise. C’era un articolo che descriveva le tattiche ruvide della politica a Oakland. Avevano intervistato molte persone, inclusi ufficiali di polizia che dicevano: “Sono d’accordo coi manifestanti”. Se chiedevi alle persone cosa pensassero del messaggio di Occupy, la schiacciante maggioranza delle risposte era di supporto, e la maggior preoccupazione che il movimento Occupy non fosse abbastanza efficace nel farlo circolare.

The European: Come possiamo passare dal parlare dell’ineguaglianza economica a un cambiamento tangibile? Come lei ha detto in precedenza, lo studio teorico dei problemi economici spesso non si è tradotta in politiche concrete.
Stiglitz: Se le mie previsioni sulle conseguenze dell’austerità sono corrette, si vedrà una nuova ondata di movimenti di protesta. Abbiamo avuto la crisi nel 2008. Siamo adesso nel quinto anno della crisi, e non l’abbiamo ancora risolta. Non c’è nemmeno una luce infondo al tunnel. Quando si arriva a una tale conclusione, il discorso è destinato a cambiare.

The European: la situazione deve peggiorare drasticamente prima di migliorare?
Stiglitz: Temo di sì.

The European: Lei di recente ha scritto della “irreversibile decadenza” del Midwest americano. Questa crisi è un segno che gli Stati Uniti hanno iniziato un declino economico irreversibile, anche se nel frattempo consideriamo il Paese un potente attore politico?
Stiglitz: stiamo affrontando una transizione molto complicate da un’economia manifatturiera ad una dei servizi. Abbiamo fallito nel gestire la transizione dolcemente. Se non correggiamo l’errore, pagheremo un prezzo molto alto. Già ora l’americano medio sta soffrendo per la fallita transizione. La mia preoccupazione è che ci siamo infilati in un’economia ostile e in una politica ostile. Molta diseguaglianza in America è causata dalle rendite di posizione: monopoli, spesa militare, approvvigionamenti, industrie minerarie, farmaci. Abbiamo alcuni settori economici che vanno molto bene, ma abbiamo anche molti parassiti. La visione ottimistica è che l’economia può tornare a crescere se ci liberiamo dei parassiti e ci concentriamo sui settori produttivi. Ma in ogni malattia c’è sempre il rischio che i parassiti divorino le parti sane del corpi. Non si sa ancora come andrà a finire.

The European: Abbiamo almeno compreso la malattia abbastanza bene da prescrivere una corretta terapia? Specialmente riguardo alle politiche e alla crisi dell’euro, la sensazione è che si stia brancolando nel buio.
Stiglitz: Penso che il problema non sia una mancanza di comprensione da parte di freddi scienziati sociali. Conosciamo il dilemma di base, e sappiamo quali sono gli effetti delle campagne di raccolta fondi sui politici. Quindi ci troviamo di fronte a un circolo vizioso: siccome i soldi sono importanti in politica, questo porta al risultato che i soldi sono importanti anche nella società, il che aumenta l’importanza dei soldi in politica. Si hanno più brogli e disillusioni con la politica parlamentare.

The European: I politici sono diventati troppo concentrati sui risultati e non sono abbastanza sensibili ai processi che hanno portato a quei risultati? La pietra angolare della democrazia sembra essere la partecipazione, non l’efficacia di questa o quella politica.
Stiglitz: Mettiamola così. Alcuni ci criticano dicendo che ci siamo concentrati eccessivamente sulle ineguaglianze e al contrario non siamo abbastanza preoccupati per le opportunità. Ma negli Stati Uniti siamo sia la nazione con le più grandi diseguaglianze, sia quella con le maggiori opportunità. La maggior parte degli americani capisce che le scorrettezze nei procedimenti politici si traducono in scorrettezza nei loro esiti. Ma non sappiamo come spezzare questo sistema. La nostra Corte Suprema è stata nominata da interessi economici e – senza sorprese – la conclusione è che gli interessi economici hanno una influenza illimitata sulla politica. In poche parole, l’influenza del denaro aumenta sempre di più, con conseguenze negative per l’economia e la società.

The European: Da dove può partire il cambiamento? Dal parlamento? Dalle università? Dalle strade?
Stiglitz: Può partire sia dalle strade, ma anche da una piccola parte del mondo accademico. Quando dico che il comportamento più diffuso nelle professioni economiche mi ha deluso, bisogna specificare meglio questo pensiero. Devo dire che ci sono stati anche gruppi che hanno fatto valere il nuovo pensiero economico e il cambiamento sui vecchi modelli.

The European: Ha scritto che cambiamento significa rispondere alle cattive idee non con il rifiuto ma con idee migliori. Su che cosa si può fare leva per portare il nuovo pensiero economico nel regno della politica?
Stiglitz: La diagnosi è che la politica è alla radice del problema, ovvero il posto in cui le regole del gioco vengono stabilite, quello in cui noi decidiamo sulle politiche che favoriscono i ricchi e che hanno permesso alla finanza di accumulare potere economico e politico. Il primo passo è rappresentato dalle riforme politiche, a partire da una campagna di cambiamento delle leggi della finanza. Bisogna far sì che la finanza diventi più semplice per gli elettori – soprattutto se si pensa, ad esempio, che in Australia il voto è obbligatorio. Bisogna occuparsi del problema dei brogli elettorali, che fanno sì che il tuo voto non conti. Se il voto non conta, questo significa che gli interessi monetari stanno imponendo la loro agenda. Occorre metter fine all’ostruzionismo, che è passato dall’essere una tattica parlamentare raramente usata a un comportamento regolare della politica. L’ostruzionismo toglie potere agli americani. Persino se hai un voto maggioritario, non puoi vincere.

The European: Stiamo assistendo a sei mesi di campagna presidenziale. Il ruolo del denaro è stato abbracciato da entrambi i partiti. La campagna di riforma della finanza di cui parla sembra difficile da attuarsi.
Stiglitz: Persino i Repubblicani sono diventati più attenti al potere del denaro, osservando come questo sia stato in grado di influenzare e distorcere le primarie. I risultati non sono quelli che il partito repubblicano si aspettava. Il disastro sta diventando sempre più chiaro e non ci saranno rimedi semplici e immediati. La vittoria di qualcuno dipenderà dal denaro. Occorre un terzo partito forte o una società civile solida che possa fare le riforme.
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Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 23/07/2012, 9:16

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbsunECG

la mano che da sta sempre sopra alla mano che riceve...
L'emergenza spread detta i tempi alle Camere
Roberto Turno, 23 luglio 2012

Il Senato che fin da oggi va a tutta spending review, la Camera che si concentra sul decreto per la crescita. Sono questi i due capitoli decisivi e pressoché unici di una settimana parlamentare che si apre ancora una volta all'insegna dell'emergenza dettata dai mercati e dalle turbolenze finanziarie. Un'emergenza che condiziona l'agenda dei lavori parlamentari, imponendo al Governo e a tutte le forze politiche di stringere i tempi e di accelerare il varo di tutti i provvedimenti che possano in qualche modo rappresentare un biglietto da visita positivo davanti ai mercati per il nostro Paese. Se mai bastasse davvero.
Il segnale più evidente della situazione che sta avvolgendo l'area euro con pesanti riflessi sul nostro Paese, è il cammino che attende il Dl 95 di revisione della spesa pubblica che da oggi sarà all'esame della commissione Bilancio del Senato. Con la novità che gran parte dei 2mila emendamenti sono destinati a cadere dopo la decisione del Pd di ritirare i suoi per concentrarsi su poche e selezionate grandi questioni. Una scelta fatta proprio sull'onda dell'andamento dello spread e della gravità della situazione economica, che fin da oggi, avrà effetti sull'iter del decreto. Il calendario prevede tre giorni d'esame (fino a mercoledì) in commissione anche in attesa degli emendamenti dei relatori e del Governo, e poi lo sbarco in aula da giovedì con immediato voto di fiducia nella stessa giornata in un testo che includerà anche il Dl 87 sulle dismissioni. Quindi il passaggio del testimone alla Camera che a sua volta, in poche battute, provvederà alla conversione in legge entro la settimana successiva.
Un vero e proprio percorso di guerra, senza spazio alle riflessioni e alle modifiche, in soli 30 giorni e non nei 60 canonici di vita dei decreti legge. Tutto questo mentre la Camera da questa mattina esamina in aula il Dl 83 sulla crescita da inviare poi al Senato. I decreti su terremoto in Emilia, sicurezza e proroghe sanitarie completano il quadro dei lavori parlamentari della settimana. Dove solo le riforme istituzionali costituiscono un'eccezione ai decreti: peccato che ormai siano fallite dopo il blitz di Pdl e Lega, che nonostante tutto hanno ottenuto di impegnare su di esse l'aula del Senato per due giorni, da domani a mercoledì.


un percorso di resa altro che di guerra, come ti fanno correre se vogliono, il ricatto del mercato.
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Voci dalla Germania

Messaggioda domenico.damico » 23/07/2012, 11:38

Interessante questo blog:

http://vocidallagermania.blogspot.it/

In particolare, questa intervista, pubblicata da Der Spiegel, e tradotta dal blog in italiano:


SCUSATECI...

Scusateci se l'Europa vi ha imposto la destrutturazione del mercato del lavoro, lo smantellamento dello stato sociale, il pareggio di bilancio, i decennali al 6%, etc etc. ma a volte ci possiamo sbagliare. Contrordine: il rigorismo è un'illusione e aggrava solo i problemi.
Peter Bofinger, consigliere del governo di Berlino, intervistato da Der Spiegel.

Nonostante le riforme, in Italia la crisi economica è sempre piu' profonda. L'economista Bofinger ritiene che il paese sia vittima di un errore sistemico. La tesi del governo Merkel, secondo cui un forte risparmio avrebbe risolto i problemi, è un illusione, ci dice Bofinger in un'intervista.

L'Italia è da anni in un circolo vizioso fatto di alto indebitamento e di una economia che cresce molto lentamente. La crisi negli altri paesi Euro ha solo peggiorato i problemi italiani, e il debito è cresciuto piu' velocemente di quanto atteso. Il recente downgrade di Moody's ha fatto salire ulteriormente il nervosismo. Peter Bofinger, economista e consigliere del governo, pensa che il paese sia vittima del panico degli investitori.

Spiegel: Herr Bofinger: Moody's ha appena ridotto il rating italiano. Hanno ragione?

Bofinger: Dipende dalla prospettiva. Secondo Moody's l'Italia soffre sempre di piu' dell'effetto contagio da Grecia e Spagna. L'Italia è finita in un circolo vizioso: il governo sta risparmiando e il paese è scivolato in una recessione. Questo rende sempre piu' difficile il raggiungimento degli obiettivi di bilancio. Gli investitori sono nervosi e gli interessi sul debito salgono. Ma così gli investitori diventano ancora piu' nervosi, a un certo punto le agenzie di rating devono reagire al trend negativo.

Spiegel: Significa che gli alti tassi sul debito pubblico non sono giustificati?

Bofinger: Rispetto ad altri paesi sono troppo alti. Il deficit di bilancio è il secondo piu' basso dopo quello della Germania. Il deficit britannico è 4 volte quello italiano, tuttavia gli interessi sul debito pubblico sono solo al 2%, mentre l'Italia deve pagare il 6%.

Spiegel: A cosa è dovuto?

Bofinger: E' abbastanza facile da spiegare: la Gran Bretagna è indebitata in Sterline e ha una banca centrale che è disposta ad acquistare titoli di stato in maniera illimitata. L'Italia a causa della sua appartenenza all'unione monetaria non lo puo fare. E' in una situazione fondamentalmente diversa, che anche con le drastiche misure di risparmio e con le riforme strutturali del governo Monti non potrà essere cambiata. Il problema è sintomatico della crisi Euro. Il governo tedesco fino ad ora ha sostenuto che i governi dei paesi in crisi devono risparmiare in maniera ferrea: i mercati avrebbero riconosciuto lo sforzo e fatto scendere il tasso di interesse. E' una illusione. Anche se gli stati della zona Euro risparmiano, avviano le riforme strutturali e fanno quanto viene loro richiesto, restano a rischio fallimento.

Spiegel: Questo significa che l'Italia pur combattendo contro la crisi - dovrà inevitabilmente richiedere gli aiuti finanziari europei?

Bofinger: Io spero che questo sia evitato. Il fatto è: per gli stati è sempre piu' difficile, con il potere di cui dispongono, far scendere i tassi attraverso misure di risparmio e tenere sotto controllo l'indebitamento. La Crisi Euro è un problema sistemico, che può essere affrontato solo con un'azione congiunta di tutti gli stati membri. Il Sachverständigenrat (consiglieri governativi in materia economica) propone il modello del patto per il rimborso del debito (Schuldentilgungspakts), che combina una responsabilità condivisa solo su una parte del debito, con condizioni molto rigide e un calendario di rimborso obbligatorio.

Spiegel: Il governo Monti tiene aperta l'opzione degli aiuti europei. Che cosa succederebbe, se l'Italia dovesse andare sotto la copertura del fondo salva stati?

Bofinger: Sarebbe l'ora della verità per l'unione monetaria. Fino al 2014 il paese deve chiedere in prestito ai mercati 750 miliardi di Euro - molto di piu' di quanto sia ancora disponibile nel fondo EFSF e ESM. Ci sono solo due possibilità: i fondi per il salvataggio non vengono ulteriormente estesi, e questo corrisponde alla fine dell'Euro. Oppure l'Europa si mette d'accordo su nuovi meccanismi per la condivisione delle garanzie sul debito, come ad esempio il fondo per il rimborso del debito (Schuldentilgungspakt).

Spiegel: Il governo tedesco si oppone agli Euro-bond. Teme che i paesi europei piu' deboli utilizzino le garanzie comuni per fare debito facile a basso costo.

Bofinger: Questo rischio è evitabile se la garanzia condivisa sul debito potrà coesistere con i controlli europei sulla politica di bilancio dei paesi indebitati. Se noi vogliamo stabilizzare l'Euro, non potremo evitare una piu' forte integrazione della politica fiscale in Europa. Se per fare questo si aumentassero i poteri del Parlamento europeo, sarebbe un contributo importante per una maggiore democrazia in Europa.

Spiegel: Sarà sufficiente il tempo per attuare decisioni politiche cosi' importanti?

Bofinger: La crisi ci offre un'opportunità per realizzare riforme ambiziose in tempi brevi. Questa possibilità l'Europa la deve utilizzare, ora.

Spiegel: Con queste decisioni lampo la democrazia viene calpestata.

Bofinger: Non potrà accadere. Certe decisioni politiche così importanti non potranno essere introdotte senza il sostegno della popolazione. Avremo bisogno di un referendum popolare.

Spiegel: Sarebbe estremamente difficile. Se i cittadini della zona Euro dovessero votare contro le obbligazioni comuni, sarebbe la fine dell'unione monetaria.

Bofinger: Si tratta di una scelta fra una unione monetaria 2.0 e il ritorno al D-Mark. L'unione monetaria 2.0 assicura che i paesi si possano difendere dagli attacchi speculativi, e richiede piu' disciplina nei bilanci dei paesi in crisi attraverso maggiori poteri di intervento. Non offre naturalmente nessuna sicurezza assoluta. Chi voterà per il ritorno al D-Mark, deve essere consapevole, che il destino della nostra economia sarebbe nella mani dei nevrotici mercati valutari.

Fonte: http://vocidallagermania.blogspot.it/20 ... ateci.html


COMMENTO:

Nessuno riesce nemmeno a ipotizzare qualcosa di diverso da:

1) EURO con rigore;
2) EURO senza rigore;
3) RITORNO ALLA MONETA NAZIONALE.

Qualcuno timidamente comincia ad avanzare qualche idea di mix tra queste cose, tipo mini-dracma per usi interni e euro per usi esterni (vedi: http://www.linkiesta.it/grecia-euro-geu ... ank-dracma), ma si rimane ovviamente nel campo del debito.

Ovviamente se quest'ultima ipotesi fosse realizzata con moneta di proprietà, sarebbe tutt'altra cosa: costituirebbe un primo enorme passo verso una radicale riforma monetaria, che si dimostra sempre di più come la più imporatante, decisiva e ineludibile riforma da mettere in campo (o almeno da cominciare a discutere).
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
domenico.damico
 
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SUL FONDO SALVA STATI

Messaggioda domenico.damico » 27/09/2012, 15:38

Una descrizione abbastanza veritiera di come funziona il Fondo "Salva" Stati o ESM.
Anche se mi viene da dire: ma tutti questi blogger, questi attivisti dove erano 2/3/6 anni or sono quando già era tutto chiarissmo? Dove erano quando Auriti faceva le sue denunce 20 ANNI FA?
Di Grillo sappiamo che dopo aver collaborato con Auriti ha sempre evitato l'argomento; ora parla di debito, ma senza affondare nella direzione che lui invece ben conosce.
Ora tutti scandalizzati, senza però realmente affrontare la profondità della questione:
la NATURA STESSA DELLA MONETA; non si scappa.
IL DEBITO è inconciliabile con la DEMOCRAZIA, quella vera e diretta, con una giusta distribuzione delle risorse.
Se poi ci vogliamo prendere in giro e darci le pacche sulle spalle, e ci accontentiamo di una farsa democratica...
e tutto un altro discorso.


Fonte: http://www.byoblu.com/post/2012/09/26/I ... TUTTI.aspx

IL MES PER TUTTI
.....
Oggi sono qui per parlarvi di MES, cos’è il MES? Probabilmente molti di voi non lo conosceranno e è un fatto, come direbbe Di Pietro, di una gravità inaudita, perché è un meccanismo, il MES è un trattato, che istituisce un’organizzazione finanziaria che influisce pesantemente sulle nostre sorti economiche, ma andiamo con ordine.
Circa un anno e mezzo fa, quando la crisi in Italia doveva ancora esplodere nella sua fase più purulenta, qualcuno in Europa decise che era ora di fornire l’Europa di un ennesimo strumento finanziario, atto a proteggere l’architettura dell’Unione Europea da una possibile crisi del debito sovrano e si pensò di, all’epoca c’era l’Fsf di aumentare lo scudo di sicurezza, si chiamava Fondo salva stati con una nuova organizzazione, un’istituzione finanziaria che si chiamava MES, MES sta in italiano per meccanismo europeo di stabilità, altrimenti conosciuto nel resto d’Europa come Esm (European stablity meccanism), uno dice: un fondo, qualcosa a cui chiedere aiuto in caso di necessità, innanzitutto bisogna intendersi su una cosa, cosa significa chiedere aiuto per l’Unione Europea? Non certo attingere a un fondo di solidarietà tale e quale potrebbe accadere se uno istituisce una mensa per i poveri che non possono pagare, no.

La quota di contribuzione
Chiedere aiuto per l’Unione Europea significa un programma di pesanti condizionalità e di espropri, non solo, significa anche un programma di indebitamento ulteriore, perché il circuito economico - finanziario che si è venuto creando da questo Keynes, che poi lo vedremo è stato messo fuori legge
è che per risolvere una questione finanziariamente compromessa, ci si compromette ulteriormente, all’infinito. Le pesanti condizionalità, abbiamo l’esempio della Grecia, non sono mica una passeggiata. Pensate che in Grecia il FMI, esiste un allegato da tutti consultabile, ha imposto la privatizzazione e quindi la cessione al mercato, di tutti i più grandi asset del paese, per esempio gli aeroporti, le poste, etc., autostrade, si potrebbe andare avanti ma avete già capito. Quindi bisognerebbe chiedersi innanzitutto se aiuto non faccia rima con conquista che è conquista di guerra, un bottino, che è l’assonanza che più facilmente, l’immagine che più facilmente mi viene in testa, però loro sono convinti, istituiscono il Mes, quindi cosa dice questo Mes? Il MES parte con un capitale che adesso è di circa 700 miliardi di Euro e che suddivide questo capitale in quote tra i vari paesi membri che vi aderiscono, al momento i paesi membri che vi aderiscono sono quelli della zona Euro, sono 17 paesi, tra i quali anche noi. La quota di contribuzione a questi 700 miliardi di Euro italiana è del 17,9% e questo, facendo i conti, implica un esborso di 125 miliardi di Euro. Di questi 125 miliardi di Euro bisogna corrispondere inizialmente solo una parte, questa parte corrisponde al 20%, il 20% di 125 fa più o meno 15, sono 2,8 quasi 3 miliardi all’anno per 5 anni. Innanzitutto bisognerebbe chiedersi da dove arrivano questi 125 miliardi e inizialmente questi 15 perché è chiaro che in un paese pesantemente colpito dalla disoccupazione, dalla carenza endemica di risorse liquide nella tesoreria, tanto che non abbiamo neanche i soldi per pagare i danni del terremoto in Emilia Romagna, si chiedevano 2 miliardi, non sono saltati fuori, però abbiamo i soldi per pagare il fallimento delle banche come Monte dei Paschi di Siena, in un paese del genere dove si prendono i soldi? Semplice, ci si indebita ulteriormente sul mercato, sta proprio scritto nel Disegno di Legge N. 3240 Comunicato alla Presidenza il 3 aprile 2012, quindi questi soldi se si prendono sul mercato si prendono a debito, ma se si prendono a debito, si prendono corrispondendo degli interessi. Quindi cominciamo il nostro processo di salvataggio indebitandoci ulteriormente e pagando interessi elevati, ma uno dice: va beh, conferiamo questi 15 miliardi e poi quando succede che abbiamo bisogno, magari ci tornano indietro, come tornano indietro questi soldi? Nel caso in cui un paese membro abbia necessità di essere salvato e quindi ne faccia esplicita richiesta, dopo un’attenta valutazione che implica il coinvolgimento della Commissione europea, della BCE e del FMI, i quali tutti e tre letti insieme si chiamano Troica e dopo l’approvazione di un piano di condizionalità, altrimenti detto memorandum di intesa e noi abbiamo l’esempio dei memorandum di intesa, come dicevo prima c’è quello della Grecia, a questo punto si decide che i soldi possono venire prestati, voi pagate un’assicurazione perché poi la polizza nel caso in cui avvenga un sinistro si copre dalla necessità di un maggiore esborso, in questo caso voi pagate una polizza per poter chiedere dei prestiti, dico: se questi soldi me li dovete poi prestare in un certo senso facciamo prima che quando ne ho veramente di bisogno te li chiedo, non c’è bisogno che mi indebito da subito per 125 miliardi, soltanto per avere la possibilità e il permesso di poterteli chiedere in prestito dopo, quando ce li prestano, ce li prestano a debito ovviamente, a debito con interesse.
Chi di voi ha mai condotto una famiglia? Visto che in Parlamento usano spesso questa metafora della buona famiglia, chi ha mai condotto una famiglia sa benissimo che per far fronte ai debiti pregressi non funziona il discorso di indebitarsi ulteriormente, perché così oltre pagare quelli vecchi, devi pagare quelli nuovi, semmai bisogna procedere a un piano di dilazionamenti in cui si concorda una certa tempistica e nel frattempo ci si fa un mazzo così a lavorare e a cercare di tirare su i soldi, questa è l’unica maniera di uscire da una crisi sana, altrimenti diventa strozzinaggio, altrimenti diventano estorsori, gente che ti spacca le gambe, in questa direzione ci stiamo avviando un po’ con l’Unione Europea, un piano di strozzinaggio progressivo che indebita pesantemente gli stati e questo indebitamento progressivo degli stati, come si traduce poi? L’estorsione, l’attività di strozzinaggio come si esplica in questa metafora applicata agli stati? Se sei un privato cittadino ti spezzo le gambe, se sei uno Stato ti costringo a cedere parti della tua sovranità, questo non rappresenta un problema per un uomo che ha sempre pensato, come il Presidente del Consiglio Mario Monti che la cessione di parte della sovranità fosse non soltanto ammissibile, c’è un suo celebre discorso dove lui dice che i popoli sono pronti a affrontare cessioni di parti della sovranità, soltanto quando c’è una crisi, una crisi conclamata in atto, per cui il non cedere parte di sovranità avrebbe conseguenze peggiori rispetto che non cederle e nel momento in cui c’è questa crisi si cedono parte di sovranità per conferirle in un’unica entità centrale, perché se cedi delle parti di sovranità qualcuno le prende e questo qualcuno è l’Europa unita che nell’idea di Mario Monti e nell’idea del suo curriculum che ha sempre mirato a questo obiettivo, se voi andate a vedere la carica principale della Commissione trilaterale, qual è il suo obiettivo, vedete che è convinto devotamente dedicato alla costruzione dell’integrazione totale politica, economica europea, in questo discorso dice che le crisi servono a questo e che dopo che passa la crisi, comunque non è reversibile perché tu hai messo in atto, in esercizio delle nuove leggi, delle nuove parti di Costituzione per cui il processo non si può riavvolgere semplicemente perché la crisi è passata, ormai le hai cedute e te le tieni e del resto in un celebre discorso al Parlamento lui ha espressamente sottolineato come la nostra Costituzione sia fondata sulla cessione di parti di sovranità, io pensavo che la nostra Costituzione fosse fondata sul lavoro come dice l’Art. 1, invece secondo Monti è fondata sulla cessione della sovranità.
Attenzione, c’è un articolo della Costituzione che dice che l’Italia può cedere parti di sovranità ma purché queste parti di sovranità siano cedute in maniera paritetica con gli altri stati che partecipano a questa cessione, quindi non siamo soltanto noi a cedere parti di sovranità ma devono cedere anche gli altri nella stessa misura, poi vedremo se questo sta accadendo oppure no.

Le cessioni di sovranità
Il MES chiede in cambio cessioni di parti della sovranità, in cosa consistono? Consistono nella firma di pesanti condizionalità, di memorandum di intesa a opera della Troica (Commissione Europea, BCE e FMI)

Il MES chiede in cambio cessioni di parti della sovranità, in cosa consistono? Consistono nella firma di pesanti condizionalità, di memorandum di intesa a opera della Troica (Commissione Europea, BCE e FMI) e nel controllo stretto delle politiche economiche del paese, di quello che fa il Parlamento, per cui nel momento in cui si accede a questi prestiti non si è più liberi di affrontare le politiche economiche che si ritengono necessarie per il benessere dei cittadini, guardate che il concetto di benessere dei popoli non è un concetto così peregrino, certe se parlate con uno che ha a cuore solo e soltanto il libero mercato vi guarderà strabuzzando un po’ gli occhi, però in realtà il concetto, anche stesso di felicità è stato messo in opera direttamente anche nella costruzione degli Stati Uniti d’Europa, loro parlavano proprio di diritto alla felicità e del resto esiste una sentenza della società delle nazioni che è una specie di antesignana dell’O.N.U. voluta dal Presidente Wilson subito dopo la Prima Guerra Mondiale per evitare il degrado della situazione politica internazionale che avrebbe potuto condurre a nuove guerre.
Poi c’è questa sentenza che sancì nel 1938 il diritto per un popolo, nel momento in cui il ripianamento dei suoi debiti avrebbe significato un’eccessiva perdita di benessere che il benessere si traduce proprio nella possibilità di mangiare, di poter vivere decentemente, decorosamente, con dignità, avrebbe potuto rappresentare l’infelicità estrema di un popolo, bene questo popolo aveva il diritto morale di non ripianare quel debito, perché prima ancora dei soldi, il primato che si sanciva con quella sentenza è quello, conta alla fine, conta il popolo, non vogliamo usare il concetto di popolo , il concetto di nazione, richiamano cose che danno fastidio, conta la gente, contiamo noi!
Se si deve affamare, assetare, dissanguare un intero paese, un’intera nazione, uno Stato, chiamatelo come volete questo non è possibile oltre un certo livello non è possibile! Questo non significa che l’Europa non sia una cosa buona e giusta, significa semplicemente che gli strumenti che sono messi in campo per ottenerla in questo momento, sono strumento abbastanza ricattatori, non esiste la ricerca del consenso popolare, non esiste una cosa chiamata popolo europeo, esistono tanti popoli, tante lingue, tante differenze che si sono sempre espressi contro qualsiasi richiesta che contemplasse l’istituzione della costituzione europea, mi viene in mente l’esempio dei francesi che l’hanno respinto per poi ritrovarselo di nuovo nella finestra grazie al trattato di Lisbona, mi vengono in mente gli esempi dell’Irlanda che hanno dovuto ripetere il referendum fino a quando poi non hanno detto di sì, mi viene in mente l’esempio olandese, come dice Nigel Farage del resto in Europa i referendum sono solo due risposte possibili: sì e sì per favore! Fino a che non si ottiene una di queste due risposte i referendum si ripetono.
Ma torniamo al Mes, oltre ai 125 miliardi di indebitamento, oltre all’indebitamento ulteriore che accadrebbe nel caso in cui uno stato membro si trovasse nelle condizioni di dover chiedere l’aiuto c’è un altro aspetto fortemente inquietante, ovvero il MES è strutturato come? Ci sono 17 supergovernatori, questi 17 supergovernatori sono costituiti idealmente dai Ministri delle economie di ogni singolo stato membro che aderisce, quindi per l’Italia fino a poco tempo fa si sarebbe parlato di Mario Monti che possono a loro volta nominare un loro vice che li rappresenta, questi 17 supergovernatori, perché si chiamano super? Principalmente perché hanno dei poteri illimitati, innanzitutto possono cambiare il trattato a loro piacimento, tu ratifichi un trattato, come paese, gli dai mandato a un organismo, un’istituzione esterna al paese a porti delle condizionalità, a agire indebitandoti o influendo comunque sulle tue politiche economiche e questo trattato una volta che gliel’hai dato, può essere modificato a piacere, per cui tra due anni, i 17 si mettono d’accordo con maggioranza qualificata e cambiano il trattato e tu hai ratificato un mostro che si evolve nel tempo e non sai bene dove andrà a finire .

Le esigenze di capitale
Una delle cose per esempio che si possono cambiare a piacimento è la capitalizzazione, adesso ci sono 700 miliardi dentro questo fondo e sappiamo che ogni stato membro deve contribuire
per quanto la sua quota di partecipazione gli indica e noi abbiamo visto che siamo il 17,9, ma un domani e attenzione che questo lavoro di riqualificazione può essere effettuato comunque e sempre e comunque almeno una volta ogni 5 anni, un domani che ci fosse l’esigenza di dovere modificare questa quota parte per riadattarla alle mutate esigenze, il Consiglio dei 17 supergovernatori potrà decidere di cambiare le esigenze di capitale all’interno del fondo e quindi passare da 700 miliardi a 1400? A 2100? E cosa succede? Succede che nel momento in cui il MES impone una ricapitalizzazione, chi è che deve metterci questi soldi? Gli stati membri, ma allora supponiamo che tra un anno i 17 supergovernatori, decidano di aumentare da 700 a 1400 miliardi, noi ci troveremmo indebitati non più di 125 miliardi, ma di 250 etc., in un progressivo indebitamento di cui si conosce l’inizio ma non si conosce la fine, già questo dovrebbe indurci a una forte, fortissima cautela perché non ci stiamo indebitando per 125 miliardi, ci stiamo indebitando all’infinito, è come consegnare a un aguzzino un libretto di assegni virtualmente infinito, che non finiscono mai, tutti in bianco e firmati.
Attenzione perché questi soldi che dovessero essere decisi dal board dirigenziale del Mes, questi soldi aggiuntivi, dovranno essere corrisposti irrevocabilmente e incondizionatamente, attenzione a queste due parole “irrevocabilmente” e “incondizionatamente” non si può dire di no, non solo bisogna darli, ma bisogna darli esattamente come te li chiedono, nei tempi e nei modi in cui il MES deciderà, attenzione perché tra l’altro è interessante notare come il Mes, dice: dove li prendono questi soldi? Dagli stati membri, non solo perché all’Art. 17 si dice che il MES sarà abilitato a contrarre prestiti sui mercati finanziari, da banche, istituzioni o altre persone o istituzioni, quindi significa che virtualmente vogliamo indebitarci con la Cina? Benissimo, vogliamo indebitarci con Goldman Sachs? Benissimo, sappiate che a quel punto Goldman Sachs, la Cina e quant’altro saranno osservatori e interlocutori privilegiati nel processo di definizione del memorandum delle famose condizionalità che saranno imposte al paese che chiede i prestiti, se questo vi sembra corretto, cioè che le politiche monetarie di un paese che pur sta chiedendo un aiuto, un aiuto per non scegliere strade diverse come le famose politiche keynesiane che il Premier David Cameron ha stabilito che sono state vietate per legge addirittura, se uno chiede un aiuto con questo meccanismo un po’ perverso, si ritrova poi Goldman Sachs per dirne una, quindi queste cessioni di sovranità poi non si fanno soltanto nei confronti di un’unità centrale europea, ma più che altro nei confronti delle istituzioni finanziarie più accreditate, ma persino persone, persone individuali come sta scritto qui nell’Art. 17, altre cose che è interessante notare è che tutte le operazioni di questa istituzione finanziaria che dovrebbe essere un’istituzione, siccome i 17 supergovernatori sono i Ministri dell’economia dei vari paesi, un’istituzione in fondo abilitata democraticamente, dovrebbe afferire in ultima analisi, al bene dei cittadini al controllo dei cittadini, bene ma questi 17 supergovernatori saranno completamente non soltanto immuni da qualsiasi procedimento giudiziario, nel caso in cui si scopre che magari abbiano attinto a fondi che non erano puliti, con operazioni internazionali che magari si configurano come riciclaggio che questi soldi poi quando arrivano anche dai privati… Quindi nel soltanto saranno completamente immuni e non si potranno quindi citare in giudizio per il loro operato mai, ma le sedi, i documenti, i verbali, le minute, qualsiasi documento prodotto dal MES all’interno del MES e che abbia una relazione con il Mes, sarà completamente inviolabile, per cui questi governatori che adesso si comincia a capire perché si chiamano super, godranno di una totale, sostanziale impunità e della totale inviolabilità dei loro documenti, per cui non si potrà più andare dal Ministro dell’economia e dire: scusi mi faccia vedere il personal computer, magari scoppia uno scandalo nazionale perché lui dirà, qua dentro ci sono delle cose che afferiscono al Mes, tra l’altro il MES avrà sede nei vari paesi in un luogo che sarà in tutto e per tutto simile a un’ambasciata perché non sarà soggetto a nessun tipo di autorizzazione, nessuna autorità, forze dell’ ordine o autorità giudiziarie, nessuno potrà entrare in queste "premises" come si dice in Inglese, non potranno essere soggette a perquisizione, non potranno essere soggetti a licenze o a qualsiasi altro tipo di regolamentazione che sia necessaria sui vari territori, non dovranno pagare le tasse, pagare nessun di contributi, sono come uno Stato, come un Vaticano, un’ambasciata americana quindi avete capito bene, non si possono controllare, non si possono chiamare in giudizio, non si può fare niente, però bontà loro, loro dicono che avranno un Collegio di revisori esterni e lo dicono all’Art. 29, dicono: i conti del MES sono oggetto di revisione da parte di revisori esterni, indipendenti, però poi aggiungono: approvati dal Consiglio dei governatori, quindi li devo far controllare da qualcuno che però devo approvare io, ma non è finita, lo chiamavano Fondo Salva stati e uno si immagina che servano a salvare gli stati, ma a un certo punto nella primavera di quest’anno insomma cominciano a riflettere, ragionare se non sia il caso di salvarci anche le banche, con il fondo salva stati, pagato dagli stati e così dopo una riunione dell’Ecofin, la riunione dei Ministri dell’economia, si comincia a discutere sull’opportunità di salvare le banche che non soltanto sono state ricapitalizzate con i mille miliardi dell’operazione famosa definita dalla BCE, mille miliardi che hanno incamerato, potevano restituire all’1%, non tutti mille miliardi per le banche italiane, per tutte le banche, ma con i quali hanno acquistato titoli di Stato, i titoli di Stato all’epoca in Italia avevano rendimenti, siccome lo spread era alto, elevatissimi, certamente non dell’1%, parliamo del 5/6/7%, hanno acquistato titoli perlopiù a 3 anni, loro dicono per salvare l’Italia e se volevano salvare l’Italia prendevano i soldi all’1% della BCE e acquistavano titoli di Stato all’1%, invece li hanno acquistati al tasso di strozzinaggio che allora i mercati stavano imponendo al nostro paese, non mi sembra un buon modo per salvare il nostro paese, la realtà è che dovevano ricapitalizzarsi dopo le decisioni nefaste assunte dell’Eba , la European banking authority cioè l’autorità centrale bancaria europea che ha sede a Londra e che, quando si era ancora all’epoca dei famosi risolini tra la Merkel e Sarcozy aveva deciso che le banche valevano tanto quanto valevano i loro titoli di Stato sul valore che avevano sul mercato secondario in quel preciso momento.

Le banche del Sud europa
Ma siccome in quel momento i titoli dei paesi del sud Europa: Spagna, Italia, Grecia avevano un tasso di interesse elevatissimo sul mercato secondario e quindi valevano di meno, era evidente che le banche dei singoli paesi,
le banche spagnole, le banche italiane che avevano prevalentemente in pancia i propri titoli del proprio Stato, avevano improvvisamente un ammanco di bilancio enorme perché valevano improvvisamente di meno senza avere fatto niente, anche se quei titoli sarebbero stati rimborsati al valore prestabilito quando erano stati acquistati, quindi comunque quei soldi virtualmente c’erano, ma improvvisamente questa decisione della Eba faceva sì che le banche italiane non valessero più una mazza e avessero bisogno di ricapitalizzarsi e così c’era questo grande problema, una crisi bancaria, nata dalla crisi delle banche d’America, trasferita in Europa e che continuava a essere una crisi bancaria, una crisi bancaria pagata dai cittadini e siccome non si voleva far capire che comunque queste benedette banche avremmo dovuto pagarcele da soli, cosa si inventano? La BCE dà questi mille miliardi a un tasso privilegiato dell’1 %, uno dice: questi mille miliardi li devi restituire tra tre anni pagandoci l’1 % di interessi, non mi fate fare il conto di quanto è l’1% di mille miliardi, non voglio saperlo, però è insufficiente perché alla fine sono poche decine di milioni di Euro, allora cosa si inventano? Dicono bene: noi con questi mille miliardi compriamo i titoli di Stato, i titoli di Stato in questo momento hanno un tasso di interesse elevatissimo, tra tre anni li rivendiamo o anche prima come vedremo tra poco e ci facciamo un bel po’ di soldi che serviranno a ricapitalizzarci, ma questi soldi per ricapitalizzare le banche, chi li ha messi alla fine? Li ha messi la BCE? No, perché la BCE poi se li riprende li abbiamo messi noi, non solo, ma adesso Mario Draghi se ne esce con la pensata di aiutare gli stati comprando i titoli di Stato sul mercato secondario e quali titoli di Stato vuole comprare? Vuole comprare quelli fino a 3 anni, uno dice: se vuoi aiutare lo spread ti compri quelli a 10 anni perché quelli a 10 anni sono quelli che determinano lo spread, la differenza dei suoi rendimenti tra i titoli italiani e i titoli equivalenti su 10 anni tedeschi.
No, si compra quelli a 3 anni perché così la scusa ufficiale è: influiranno un po’ a cascata sui rendimenti dei titoli decennali, peccato che i titoli a 3 anni erano proprio quelli che in gran parte le banche, parliamo di quelle italiane, avevano acquistato con i famosi miliardi presi all’1% dalla BCE, quindi le banche hanno preso soldi dalla BCE, hanno comprato i titoli di stato italiani, che noi dovremo ripagare con le nostre tasse, quindi sono soldi nostri e questi soldi che dovrebbero aspettare che ne so, 3 anni per avere, glieli restituisce Draghi immediatamente facendo questa operazione su un mercato secondario e così abbiamo ricapitalizzato le banche, chi paga? Paga Pantalone tra 3 anni, non contenti come abbiamo visto decidono che il MES avrà anche finalità di salvataggio delle banche, degli istituti finanziari e questi soldi per salvare le banche e gli istituti finanziari chi li deve mettere? Pantalone, sempre noi perché il MES lo paghiamo noi con 125 miliardi iniziali che una quota di indebitamento progressiva.
Ma sentite cosa ha il coraggio di dire Mario Draghi in una conferenza stampa tenutasi alla BCE più o meno intorno al 6 giugno di quest’anno, a una giornalista che gli chiede circa questa ipotesi di utilizzare il MES per pagare la crisi delle banche, lui risponde che lì la Sm consentirebbe la ricapitalizzazione delle banche senza aumentare il debito degli stati, come se il debito degli stati non avesse nessuna parte nelle quote che il MES utilizza per salvare le banche, ma abbiamo visto che il MES parte proprio con la dotazione di 125 miliardi italiani e che probabilmente questi 125 miliardi, una volta ratificato potranno diventare 300/500/1000, questi sono i soldi del Mes!

Balle su balle
Balle su balle ma non c’è nessuno che glielo fa notare. Ma la cosa ancora più buffa è che noi abbiamo visto come il MES in sostanza significhi “cessione di sovranità nazionale”
perché nel momento in cui tu chiedi un aiuto e devi sottostare a delle condizionalità e al controllo in Parlamento delle politiche economiche perché siano attinenti a queste condizionalità, rispettoso delle condizionalità, è ovvio che tu, la tua sovranità che per definizione è proprio quella di decidere autonomamente, soprattutto in Parlamento le leggi, quelle poi in materia economica sono le più importanti, è ovvio che tu questa sovranità la perdi.
E siccome questo stesso principio, qualcuno ha osato proporlo anche per il salvataggio delle banche, quando si è detto: usiamo il MES per salvare le banche è stato detto: sì va bene, però a questo punto ci vogliono anche delle condizionalità e quali sono le condizionalità per le banche? Ah beh, certo mica puoi entrare nei consigli di amministrazione e decidere le politiche che devono fare, questo non ci sogneremo mai, ma sono avere delle quote, diventare azionisti di quelle banche, una specie di semieuropeizzazione, qua cosa per Draghi è un grave problema perché si lancia in una giusta riflessione, dice: ma allora la questione diventa vogliamo davvero un MES che diventi azionista delle banche che ricapitalizza? Subito dopo specifica: abbiamo disegnato il trattato con l’obiettivo di diventare un’azionista delle banche dell’Unione Europea? Quindi per Draghi il MES che avrebbe nei confronti delle banche la stessa finalità che ha nei confronti degli Stati, quella del salvataggio, se chiede in cambio del salvataggio delle stati, una quota delle azioni di quello Stato sottoforma di cessione di sovranità, non c’è nessun problema, se però chiede delle azioni delle banche che intende salvare, allora ragazzi si impone una pesante riflessione collettiva, è davvero quello che vogliamo? Però se i cittadini dicono: scusate ma è davvero quello che vogliamo che il MES possa salvarci ma acquisendo quote della nostra sovranità? Allora tu sei un antieueuropeista, sei un euroscettico, vuoi pilotare questa nazione sugli scogli della crisi, sei un populista, è meglio se ti fai da parte e fai fare a noi e mentre nel silenzio generale degli intellettuali, dei giornalisti, degli opinionisti, dei media l’Italia si avvia verso l’approvazione del MES seguendo il Disegno di Legge di Mario Monti, in altri paesi il dibattito comincia a esplodere, perché se ne accorgono anche loro, perché a maggio arriva una lettera di alcune personalità austriache, professioni e docenti a tutte le istituzioni di Vienna, ve ne voglio leggere soltanto un pezzettino “in qualità di cittadini responsabili i sottoscritti hanno letto la bozza del MES con la necessaria diligenza e accuratezza, abbiamo pervenuti alla conclusione che questa bozza non deve essere accettata, coloro che la firmeranno, devono essere giudicati avendo agito con dolo eventuale se le prevedibili conseguenze si manifestano, non solo l’accordo contraddice le più elementari convenzioni dell’Unione Europea, che costituiscono le basi per l’ingresso e per la permanenza dell’Europa unita in qualità di membri, ma viola anche la costituzione federale austriaca, poiché trasferisce le prerogative del diritto di ogni democrazia, per esempio la sovranità finanziaria a un’istituzione al di fuori del suo controllo, se questo trattato sarà ratificato, tutti gli stati membri dell’Unione Europea saranno diretti da un’oligarchia finanziaria anonima, priva di legittimazione democratica, per dirla con schiettezza è una delega a instaurare una schiavitù anonima e finanziaria sotto al pretesto della solidarietà, in particolare l’impegno a obbligarsi in favore del settore finanziario, sovraccaricherà le capacità delle economie nazionali e la disponibilità dei cittadini a subire ulteriori sacrifici finanziari. L’obbligazione incondizionata e irrevocabile al pagamento iniziale e a quelli aggiuntivi, testimoniano di questa riduzione in catene a favore dei grandi possessori di capitali, attraverso l’obbligazione a agire in accordo con il FMI si stabilisce l’influenza indiretta degli USA, ovvero la compartecipazione decisionale di quelli che hanno prodotto e che ancora mettono in scena la crisi finanziaria. I privilegi e le immunità richieste assicurano agli attori che spendano i europei con illimitate tasse di solidarietà, illimitate, possono formare un superstato che di fatto non può essere controllato, citato e perseguito legalmente.
L’Art. 17 regola le operazioni di prestito del Mes, avendo il MES diritto di fare ricorso contro tutti gli stati membri, ecco che diventano possibili orge debitorie senza alcun controllo parlamentare e per gli attori dei mercati di capitali, grossi profitti sui crediti, senza che questo comporti per loro alcun rischio! Noi riteniamo che se per qualsiasi motivo i governi volessero aumentare la massa monetaria, dovrebbero invece affidare la creazione della moneta direttamente alla BCE, piuttosto che ottenerla attraverso una doppia intermediazione creditizia a costi più elevati.
Sentite qua: l’indifferenza rispetto alle preoccupazioni e ai problemi dei cittadini e la tesa inflizione dell’Austerity minacciano di portare a una resistenza pubblica, all’abbattimento dei governi e perfino a guerre civili. Quando i cittadini si sveglieranno e si renderanno conto che grossi attori finanziari che chiedono sempre maggiori sacrifici economici a tutti gli altri, non corrispondono di contro a un’adeguata contribuzione, si ribelleranno, ci permettiamo di aggiungere che abbiamo avvisato tutti i politici per tempo, ma siamo stati liquidati come profeti di sventura e altre cose che vi invito a leggere.

L'assenza del dibattito politico

Così in attesa di ratificare il Mes, la prima cosa che si fa è quella di approvare il pareggio di bilancio, la regola del pareggio di bilancio deve essere introdotta in Costituzione,
per introdurre delle modifiche alla Costituzione solitamente è necessario innanzitutto un ampio dibattito politico – nazionale, non si modifica la Costituzione che è il nostro Dna così, l’unico che lo fa notare da noi è un professore dell’università di Genova, di filosofia del diritto che si chiama Paolo Becchi, sentite cosa scrive “con ultima e definitiva deliberazione del 17 aprile 2012 il Parlamento ha infatti modificato gli articoli 81, 97, 117, 119 della Costituzione, introducendo il principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale italiana. La raggiunta maggioranza di 2/3 ha peraltro escluso la possibilità di procedere al referendum di revisione costituzionale, previsto e disciplinato dall’Art. 138, dice: non è la prima volta che la Costituzione subisce modifiche senza il ricorso allo strumento referendario, per semplice “colpo” della maggioranza, nel caso in questione hanno votato a favore il Pdl, PD e terzo polo, nonché personalmente il Senatore Monti, è però la prima volta che alcuni articoli della Costituzione vengono cambiati in un’atmosfera tanto silenziosa, senza alcun coinvolgimento dell’opinione pubblica e senza una reale discussione politica.
Qualcosa che non preoccupa nessuno, Becchi conclude molto ironicamente così “in un romanzo di Brecht, alla fine il capo dei gangster comanda ai suoi seguaci “mi raccomando il lavoro deve essere legale”” che tragiche fine ha fatto la legalità, finisce come parola d’ordine di un gangster, questo per sottolineare che tutto quello che è avvenuto dall’insegnamento del governo Monti fino a oggi è avvenuto in maniera legale!
Tra legale e legittimo c’è una differenza che deve essere colmata e di solito si colma con il dibattito e con l’informazione. E che l’informazione latiti ce ne si accorge facilmente anche dopo l’approvazione del Fiscal compact che segue alla modifica costituzionale per il pareggio di bilancio, il Fiscal compact obbliga i paesi a raggiungere in 20 anni un rapporto debito / Pil del 60%, ora siccome in Italia il rapporto debito – Pil si aggira intorno al 120%, questo significa che in 20 anni dobbiamo risparmiare, non avere un deficit del 3% annuo, il che significa imporre qualcosa come 50 miliardi di Euro all’anno di tassa e tagli per 20 anni, in un paese già martoriato dalla crisi e privo di crescita una situazione come quella imposta dal Fiscal compact è una situazione di una gravità incredibile che si presuppone dovrebbe occupare anche qui le pagine dei giornali.
Allora visto che dovrebbe occupare le pagine dei giornali mi sono permesso all’indomani dell’approvazione del fiscal compact di andare a vedere queste pagine dei giornali di cosa si occupassero e prima di trovare la notizia relativa all’approvazione del Fiscal Compact e del MES devo arrivare a pag. 7 e non soltanto a pag. 7, ma in un piccolo trafiletto in fondo a pag. 7 e scrivo così sul mio blog 5 righe e mezzo, sembra incredibile ma tanto ha dedicato Il Corriere della Sera nell’edizione di oggi all’approvazione del Fiscal Compact e del Mes, 5 righe e mezzo all’interno di un articoletto di fondo a pag. 7, riuscendo perfino a non nominarli né nel titolo che era “sì alle regole di bilancio UE e al fondo salva stati, assalto alla spending review ” né tanto meno nel sottotitolo dove addirittura i due trattati vengono relegati allo stesso rango di migliaia di altri interventi, perché il sottotitolo era “al Senato 1800 emendamenti al taglia spese” e così arriviamo al 12 settembre.
Perché il 12 settembre? Perché non tutti i popoli dei paesi che hanno aderito al MES sono coglioni come noi, abbiamo già visto che alcune eminenti personalità austriache hanno indirizzato delle lettere, ma questa volta tocca ai tedeschi addirittura opporsi a questo trattato inoltrando qualcosa come 37 mila ricorsi alla Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe che doveva esprimersi sulla costituzionalità o meno del Mes, la sentenza sarebbe dovuta arrivare il 12 settembre e così è successo.
La sentenza aveva una certa rilevanza perché nel caso in cui la Corte Costituzionale avesse dichiarato che il MES non era costituzionale, ovviamente il trattato sarebbe decaduto e decadendo il trattato, gli speculatori si sarebbero molto agitati sui mercati, sapendo di non poter più contare su un indebitamento progressivo e garantivo degli stati membri e così gli spread sarebbero saliti e così i mercati perché oggi i mercati decidono, avrebbero determinato la disgregazione dell’Unione Europea e questo non poteva essere concesso.

Una sentenza spartiacque

Così questa sentenza è diventata un po’ uno spartiacque, il 12 settembre questa sentenza della Corte Costituzionale è arrivata e i maggiori quotidiani nazionali si sono affrettati a dire che la Corte Costituzionale tedesca aveva dato il via libera
al MES e quindi che avremmo avuto finalmente il nostro fondo salva stati che nessuno si azzarda mai a chiamare con il suo secondo e forse vero nome, cioè fondo salva banche, peccato però che quella della Corte Costituzionale tedesca non sia esattamente una sentenza che dà il via libera, ma una sentenza che riporta pesantemente nell’alveo del solco costituzionale, una sentenza che limita, il MES perché? Vi ricordate che noi abbiamo il 17,9% che per noi questo rappresenta una quota capitale all’interno del MES di 125 miliardi, bene allo stesso modo la Germania ha una quota del, mi pare, 27% o qualcosa del genere e si traduce fisicamente in soldoni in 190 miliardi di Euro, come vi ho spiegato prima il MES una volta ratificato, così per come è stato scritto comporta che una volta che i 17 supergovernatori determinino nuovi aumenti di capitali, ad libitum, all’infinito a seconda di quello che ritengono opportuno, gli stati devono adeguarsi e conferire le loro quote parti, la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che per la Germania questo non sarà possibile, la Germania è autorizzata a contribuire con i suoi 190 miliardi, ma non di più, se una contribuzione maggiore dovesse essere richiesta questa dovrà passare dal voto esplicito del Parlamento tedesco, quindi la Germania ha rivendicato il fatto che è incostituzionale firmare un assegno in bianco dove si autorizza con cambiali illimitate e infinite il prelievo dai nostri conti correnti di una qualunque somma di denaro a piacere e ci voleva la Corte Costituzionale tedesca per stabilire questo principio che non mi sembra un principio così da poco, perché il MES basava la sua potenza di fuoco proprio sul fatto che poteva, come un usuraio, un aguzzino qualsiasi richiedere fonti illimitatamente agli stati membri e questo garantiva agli speculatori che avrebbero potuto fare dei guadagni e dei ricavi all’infinito garantiti, garantiti dallo Stato che poi vengono a dire che Keynes non va bene, ma questa è la stessa cosa, si stampa moneta anziché darla ai popoli li diamo agli speculatori per i loro accumuli e i loro interessi privati.
Ma la Corte costituzionale tedesca ha sancito un principio che se vogliamo è ancora superiore e più importante a quello che vi ho appena detto, ovvero che in una democrazia la trasparenza è il principio più importante e che quindi la parte del trattato del MES che riguarda l’opacità totale di tutte le operazioni organizzative interne, di raccolta fondi, di deposito, di concessione, prestiti, tutte le organizzazioni finanziarie interne al MES che secondo il trattato deve avvenire in maniera assolutamente inviolabile, questo è incostituzionale, tutte le operazioni del MES devono avvenire a cielo aperto, tra l’altro in un momento in cui si discute per la BCE dell’opportunità di pubblicare tutte le minute delle riunioni dell’assemblea del Consiglio, per la Fed e per la Bank of England è un’operazione di ordinaria amministrazione perché non dimentichiamoci mai che queste istituzioni dai nomi altisonanti in ultima analisi anche se non sono direttamente elette dai cittadini, in qualche maniera rappresentano il popolo e devono e sono tenute a rispondere al popolo e conseguentemente è necessario che il popolo abbia gli strumenti per valutare se il loro operato è positivo, è orientato al benessere ancora una volta dei popoli oppure no e quindi la segretezza in una democrazia compiuta non è una qualità discutibile, non si può mettere in gioco, bene da noi questi principi non sono stati rivendicati da nessuno, il MES che comporta che non soltanto quel governo che aderisce non può tirarsi indietro, ma che nessun governo, neanche successivo può tirarsi indietro da questo trattato, perché questi trattati così come l’adesione all’Euro non comportano dei meccanismi di uscita, non vengono appositamente contemplati, cosa succede se noi non paghiamo una rata? E non abbiamo i soldi per pagarla? Ci invadono? Non so, per esempio questa è una domanda a cui bisognerebbe rispondere, i nostri parlamentari non lo sanno, ma non sanno neanche cos’è il Mes! Sappiate che una volta ratificato questo trattato e l’autorizzazione è già stata concessa dal Parlamento in luglio, non potremo più recedere dallo stesso, se non probabilmente con i carri armati, da noi questa cambiale in bianco di contribuzione infinita e questo problema di legittimità dovuto all’opacità con cui questi signori vorranno operare da qui all’infinito, non è stato minimamente messo in discussione, in Germania hanno fatto 37 mila ricorsi alla Corte Costituzionale tedesca e tra l’altro il Presidente della Corte Costituzionale, in apertura di conferenza stampa si è lasciato anche sfuggire che questi ricorsi erano fondati, è vero che da noi vige una normativa, una regolamentazione diversa per cui non i singoli cittadini possono fare ricorso alla Corte Costituzionale, come magari avvi1ene in Germania, da noi possono farlo però i politici, i partiti politici, bene sappiate non c’è stato un solo partito politico che nonostante una grande movimentazione di alcune persone che hanno cercato di fare del loro meglio per fare un battage e spiegare alle persone cos’era il MES e perché lo stavamo firmando, a cosa saremo andati incontro, tra questi io con il mio blog, ma vorrei citare anche ?Lidia Undiemi? che si è fatta promotrice addirittura di un volantino, non c’è stato un solo movimento politico, sappiatelo che ha accettato non dico di rifiutare la firma del MES che avrebbe potuto portare conseguenze nell’immediato, magari indesiderabili dal punto di vista politico, ma perlomeno che abbia accettato di accogliere questi ricorsi e di manifestare la volontà di cambiare alcuni punti.

Conclusioni

In Germania che è il paese dell’austerità, del rigore, nella Merkel che recentemente si è accorta, viva Dio, in una recente conferenza ha dichiarato che i mercati sono contro al popolo,
va beh, meglio tardi che mai! In Germania l’approvazione di questo trattato ha dato vita a un dibattito pubblico e politico estremo anche molto intenso che ha portato a 37 mila ricorsi, da noi ha originato unicamente 5, 4, 5 righe di nuovo a pag. 7, a pag. 11 dei più importanti e referenziati quotidiani nazionali e non c’è stato uno straccio di politico che abbia sollevato una questione o abbia pensato di informare utilizzando i media di massa, certamente non delle piccole conferenze a uso e consumo degli invitati, che abbia pensato di informare sulle tragiche conseguenze dell’approvazione di un trattato che ci sottrarrà la sovranità popolare senza consentirci più in alcun modo di recuperarla! Tutto quello per cui io personalmente mi batto, guardate, non è tanto l’approvazione di questo o di quel trattato o la sua mancata approvazione, quanto l’esigenza di tornare a informare i cittadini in maniera che autonomamente possano esprimersi sulla questione del trattato e sulla questione dell’Unione Europea e guardate, non è ancora troppo tardi per informarsi, è possibile, specialmente dopo questa sentenza della Corte Costituzionale tedesca ancora fare qualcosa, se ci si mobilita insieme e soprattutto se ci si abitua a informarsi anche in luoghi come questi, grazie al blog, grazie a tutti!"
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
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Messaggioda domenico.damico » 27/09/2012, 17:17

Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
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Re: Stati e Mercati

Messaggioda ChristianTambasco » 02/10/2012, 12:24

http://www.ilsole24ore.com/art/economia ... d=AbqrO5gG

lo stato come strumento per...pochi!
Mitt e i profittatori

di Simon Johnson, 21 settembre 2012

WASHINGTON, DC - Il partito repubblicano americano ha argomenti potenzialmente convincenti per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Gli americani sono da sempre scettici nei confronti dello Stato, essendo per tradizione resistenti all'ingerenza governativa sin dai tempi della nascita del Paese. Questa tradizione ha trasmesso ai cittadini di oggi un senso di rifiuto per i finanziamenti pubblici e un'avversione culturale alla "dipendenza" dallo Stato.

Tuttavia, il candidato repubblicano Mitt Romney e gli altri esponenti del suo partito si sono giocati questa carta molto male. Romney sembra affascinato dall’idea che molti americani, il cosiddetto 47%, non paghino la tassa federale sul reddito, e pensa che considerino se stessi delle "vittime" e siano diventati "dipendenti" dal governo.

Questo modo di pensare, però, non coglie due aspetti evidenti. In primo luogo, gran parte del 47% di cui sopra paga fior di tasse sui propri guadagni, sulle proprietà, e sui beni acquistati. Inoltre, questi contribuenti lavorano sodo per guadagnarsi da vivere in un paese in cui il reddito familiare medio è sceso a un livello che non si registrava dalla metà degli anni ‘90.

In secondo luogo, nell'America attuale le sovvenzioni davvero importanti confluiscono verso una ristretta cerchia della sua élite finanziaria, ovvero i pochi privilegiati che si occupano delle più grandi società di Wall Street.

Vista in una prospettiva storica più ampia, questa non è una situazione insolita. Nella loro recente e acclamata storia dell'economia, , Daron Acemoglu e James Robinson citano molti casi del passato e del presente, in cui individui potenti arrivano a controllare lo Stato e sfruttano questo potere per arricchirsi.

In molte società pre-industriali, ad esempio, il controllo dello Stato era il modo migliore per garantire la ricchezza. E in molti paesi in via di sviluppo, ricchi di risorse naturali, lottare per acquisire il controllo sullo Stato si è rivelata una strategia molto popolare. (Io stesso ho lavorato con Acemoglu e Robinson su temi correlati, pur non avendo preso parte alla stesura del libro).

In gran parte del mondo, il meccanismo tradizionale teso alla conquista di uno Stato è la violenza. Questo, però, non è il caso degli Stati Uniti dove, fra l’altro, non si può neppure parlare di funzionari governativi palesemente corrotti, tranne per alcune eccezioni importanti.

Al contrario, le lobby fanno a gara per avere un’influenza, sostenendo campagne elettorali e attraverso altre forme di donazione. Inoltre, esse portano avanti campagne mediatiche vaste e sofisticate, tese a convincere i politici e l'opinione pubblica che ciò che è buono per il loro interesse particolare è un bene anche per il Paese.

Nessuno è riuscito meglio nel moderno gioco politico americano delle maggiori banche di Wall Street, le quali, dopo aver spinto per la liberalizzazione nei trent'anni precedenti la crisi del 2008, hanno fatto marcia indietro contrastando quasi qualunque tipo di riforma finanziaria.

Tale successo ha ripagato profumatamente. I dirigenti di quattordici società finanziarie leader nel settore hanno ricevuto un indennizzo in contanti, sotto forma di stipendi, bonus e/o diritti di opzione esercitati, per un totale di circa 2,5 miliardi di dollari nel periodo 2000-2008, di cui due miliardi destinati a cinque persone soltanto.

Ma questi padroni dell'universo non hanno guadagnato quel denaro senza un enorme aiuto da parte dello Stato. Essendo percepite come "troppo grandi per fallire", le loro banche beneficiano di una protezione governativa o garanzia contro il rischio di downside. In tal modo, sono in grado di assumersi rischi maggiori, come gestire un'impresa con più capitale di prestito e meno capitale azionario. In tal modo, guadagnano di più quando le cose vanno bene e approfittano del sostegno statale quando la fortuna volta loro le spalle: chi è ai vertici vince e noi, che siamo l'ultima ruota del carro, perdiamo.

E le perdite derivanti da questo meccanismo sono enormi. Secondo un sulle conseguenze della crisi del 2008, realizzato da Better Markets, un gruppo di pressione che chiede riforme finanziarie più incisive, per l'economia degli Stati Uniti il costo della crisi finanziaria - causata da una sconsiderata assunzione del rischio da parte degli istituti finanziari - ammonta ad almeno 12.800 miliardi di dollari. Una parte notevole di questa cifra si è presentata sotto forma di posti di lavoro persi e vite rovinate per il 47% appartenente alla fascia di distribuzione del reddito più bassa.

L'ex governatore dello Utah e candidato repubblicano alle presidenziali. Jon Huntsman, ha più volte affrontato questo problema con chiarezza, mentre cercava, invano, di ottenere dal suo partito la nomina a sfidante del presidente Barack Obama. Per tagliare le sovvenzioni statali bisogna smantellare le banche, ha dichiarato, e il modo per farlo è ridimensionarle fino al fallimento, per poi lasciare che sia il mercato a decidere quali debbano affondare e quali salvarsi.

Questo è un argomento intorno al quale tutti i conservatori dovrebbero mobilitarsi. Dopotutto, l’ascesa delle megabanche mondiali non è stata un risultato del mercato; queste banche sono imprese sponsorizzate e sovvenzionate dallo Stato, quindi sostenute dai contribuenti (questo vale oggi tanto per l'Europa quanto per gli Stati Uniti).

Romney ha ragione a sollevare la questione delle sovvenzioni statali, ma travisa completamente quanto è successo negli Stati Uniti negli ultimi quattro anni. Le grandi sovvenzioni poco trasparenti e pericolose sono potenziali passività fuori bilancio, generate dagli aiuti statali a enti finanziari troppo grandi per fallire. Tali sovvenzioni non compaiono in nessuno stanziamento annuale, e non sono misurate in modo accurato, che è ciò che le rende così interessanti per le grandi banche e così dannose per tutti gli altri.

Se solo Romney avesse canalizzato il disprezzo popolare per le sovvenzioni statali contro le megabanche mondiali, ora navigherebbe col vento in poppa verso la Casa Bianca. Invece, colpendo quel 47% dell'America che si trova già con l'acqua alla gola, cioè i contribuenti più danneggiati dall'incauto comportamento delle banche, la sua prospettiva di vittoria a novembre è stata gravemente compromessa.
...se vuoi ottenere qualcosa di diverso devi cominciare ad agire diversamente.
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