Geronzi si confessa

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Geronzi si confessa

Messaggioda millemondi » 04/12/2012, 8:24

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Il libro intervista di Cesare Geronzi, in libreria dal 28 novembre (Confiteor, Feltrinelli, 18 euro) è una lettura imperdibile, un inedito assoluto nella triste storia delle memorie dei potenti raccolte dal giornalista compiacente. Fin dall’inizio Massimo Mucchetti, firma economica del Corriere della Sera, dichiara la sua avversione per l’intervistato, che di cuore contraccambia. E il volume si apre così con un dialogo un po’ surreale. Mucchetti rinfaccia a Geronzi di aver chiesto a Carlo De Benedetti (all’epoca suo editore) di cacciarlo dall‘Espresso. Geronzi nega. Mucchetti insiste. “Me l’ha detto de Benedetti”. Geronzi non fa una piega: “È una balla”. Inutile proseguire nella lettura se cercate una soluzione all’enigma. Perché l’autocelebrazione di Geronzi è perfettamente interpretata dal titolo del libro: “Confiteor”. Il vecchio ex banchiere, che va a messa tutte le domeniche, ha maturato nella sua lunga cavalcata ai vertici del potere finanziario una granitica sicurezza di sé: “Grandi demeriti, in verità non me li riconosco”. E soprattutto: “Le mie parole coincidono con la verità”. Ma è proprio il titolo, riferito al rito cattolicissimo della confessione, a segnalare al lettore la natura meramente soggettiva del suo concetto di verità. Infatti, per oltre 350 pagine di racconto Mucchetti non perde occasione per segnalare che lui non crede quasi a niente della versione di Cesare. E Geronzi accetta lo scontro e lo aggredisce: “Signor Mucchetti, la malizia l’acceca”. Solo su due cose i due trovano un punto d’intesa.

Il primo, di portata circoscritta, è la comune avversione per l’ex direttore del Corriere, Paolo Mieli. Mucchetti lo accusa di non avergli dato sufficiente spazio e apprezzamento (“Capisco la sua ironia”, sottolinea Geronzi, stavolta complice), il banchiere rivendica di aver contribuito decisivamente a silurarlo dalla poltrona di via Solferino per rimettere al suo posto Ferruccio de Bortoli: “Se adesso può scrivere tanto e con tanta evidenza, lo deve in larga misura a me”. Quando il banchiere spiega che il cambio al vertice del Corriere lo hanno determinato “il signor Geronzi insieme con il signor Nanni Bazoli” (non essendo laureato, il ragioniere che ha inanellato in successione le presidenze di Capitalia, Mediobanca e Assicurazioni Generali predilige un mondo popolato da signori), ci illumina sul secondo punto d’intesa con Mucchetti: lui e il presidente di Intesa San-Paolo non sono, come da letteratura, “i duellanti”, ma due amici, alleati, legati da reciproca stima, che hanno retto finché hanno potuto “il sistema”. Cioè quel reticolo di poteri finanziari collegati che avevano in Mediobanca la cabina di regia. Un mondo che ha cominciato a scricchiolare con la senescenza di Enrico Cuccia (fondatore e dominus per mezzo secolo della banca d’affari milanese) e il cui declino è stato solo rallentato, nell’ultimo decennio, dai due “arzilli vecchietti” (copyright Diego Della Valle), almeno fino a quando mister Tod’s non è riuscito, insieme ad altri giovani congiurati capitanati da Alberto Nagel di Mediobanca, a far fuori dalle Generali. Per il vecchio banchiere è la rivincita che conta: ribaltare una pubblicistica che lo ha visto spesso contrapposto, come uomo avvezzo al compromesso, alla cristallina purezza riconosciuta al collega di Brescia: “Lei che è di Brescia e conosce Bazoli da tanto tempo…”, ricorda all’intervistatore, e stavolta è l’intervistato a sembrare accecato da un lampo di malizia, e l’intervistatore sembra condividere la grande armonia Roma-Milano-Brescia.

In quell’amichevole “Nanni” c’è il senso profondo dell’autodifesa di Geronzi. Io, sembra voler dire, non sono il burino, nato ai Castelli e protetto da Giulio Andreotti prima e Silvio Berlusconi poi, da confrontare con i raffinati dottori e professori del Nord. E così si alternano notizie gustose a dissimulazioni quasi spudorate. Il banchiere abituato a navigare nei palazzi del potere romano ci spiega che quando c’era da scegliere il direttore del Corriere, nel 2003, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni si consultarono con lui prima di dare l’informale via libera agli azionisti. “Il Colle entrava nella designazione del direttore del Corriere?”, chiede Mucchetti. Geronzi replica soave: “Per quanto ne so, non è sempre stato così”.

E poi notizie o notiziette, alcune nuove e interessanti sulle trame del potere economico, altre di futile cattiveria, come quella di replicare alle incalzanti domande sui rapporti con il piduista Luigi Bisignani ricordando che anche Michele Santoro ha collaborato con il piduista Maurizio Costanzo, altre ancora di puro veleno. Per esempio quando spiega il suo stretto, costante, amichevole rapporto con Massimo D’Alema, non manca di notare che quando l’allora segretario dei Ds gli chiedeva aiuto per sistemare i debiti del partito (oltre 500 milioni di euro) una delle ragioni del disastro economico del Bottegone erano i risultati fallimentari dell’Unità diretta da Veltroni, che indebitava il partito per allegare le videocassette al giornale.

Geronzi si ritiene esente da colpe, e si difende cristianamente. Quando Mucchetti gli rinfaccia di aver chiesto all’allora amministratore delagato della Rcs, Vittorio Colao, di fare una telefonata di scuse al governatore della Sicilia Totò Cuffaro per un libro della Bur che lo attaccava, Geronzi non fa una piega: “Avevo le mie ragioni per chiedere che si facessero quelle scuse, Colao avrà avuto le sue per non farle”. Segue, fulmineo, il rito della penitenza: mandar via Colao “è stato un errore gravissimo”. Amen.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11 ... te/431371/
Ana Silvestre


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Re: Geronzi si confessa

Messaggioda millemondi » 04/12/2012, 8:28

Ieri sera Geronzi era da Gad Lerner... che puntata, ragazzi.

Segnaliamo questo giorno:-)
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L'AGGIO DEL SIG. GERONZI & C.

Messaggioda domenico.damico » 05/12/2012, 15:26

Eccellente e pratica dimostrazione di cosa SIA realmente il signoraggio oggi: non numeri, non contabilità, ma
gestione dell'AD del sistema di tutte le vicende del sistema.

La puntata si può vedere qui (per ora):

http://www.la7.it/infedele/puntate.html

Poi credo sarà in archivio qui:
http://www.la7.tv/ricerca/?qs=infedele&sa=

Per chi da anni parla e ragiona di queste cose, è stata una goduria sentire certe confessioni, certi ragionamenti.
Alcune finezze possono sembrare insignificanti, ma invece danno
la visione generale di tutta una modalità di vedere e gestire il sistema.

Breve riassunto, ma consiglio a tutti di vedere CON ATTENZIONE TUTTA la registrazione, perché ne vale veramente la pena.

Hanno parlato tutta la sera del concetto di BANCHIERE DI SISTEMA, oltre ai fatti e fattarelli del sistema Italia;
c'era un prof. della Bocconi che insisteva sul fatto che l'unico interesse che un banchiere deve tenere in considerazione
è il valore dell'azione e per l'azionista: in studio bollavano questa visione come anglo-americana, diciamo
Goldman Sachs per fare qualche nome. La critica a questa visione era che così si arriva a generare crisi come quella attuale, considerando che su quella falsariga i banchieri operano come un'azienda qualsiasi che prende a parametro solo profitto e azionisti: ecco quindi i CDS, i mutui SUBPRIME, i CDO etc.
La visione di Geronzi, Fazio (c'era un dirigente ex spalla destra di Fazio che ne esponeva in parte il pensiero) e soprattutto Enrico Cuccia, è che il banchiere fa un lavoro di sistema, un lavoro che tesse trame e rapporti, tiene in piedi equilibri, fa in modo che il sistema Paese vada in una certa direzione: sì il valore, ma anche altri importanti parametri da tenere in considerazione, specialmente per preservare il lungo periodo.
Questa la traccia dei discorsi, con una serie di indiscrezioni (che il libro riporta) che costruiscono un quadro definitivo di rapporti, conflitti d'interesse, potere reale.

Il concetto di aggio del signore (banchiere) esce definitivamente confermato da quanto sopra, e descritto nei dettagli.
C'è veramente da ringraziare Geronzi e Mucchetti per quanto emerge.

In realtà la verità va letta, come sempre, su più livelli.
Quella del potere personale e della gestione geronziana o cuccesca o faziosa è solo la parte quasi folcloristica della faccenda.
Quella che emerge è una verità che solo chi non vuol vedere può permettersi d'ignorare: il banchiere (come figura istituzionale) condiziona a tutti i livelli la vita politica-sociale-economica di una comunità: ne disegna i confini, ne determina i sussulti, le cadute, gli entusiasmi, le paure, ne condiziona il presente e il futuro.
La condiziona quindi in modo profondo, incisivo, determinante.

Quel professore della Bocconi è apparso come il più ingenuo di tutti, con la sua fiducia cieca nel mercato e nel valore da consegnare all'azionista. Sembrava non capire, se non in superficie, il vero mestiere di banchiere.
Un confronto impietoso tra la teoria e la pratica.
Anche il modus operandi che egli ritiene giusto per il suo banchiere tipo, è in realtà funzionale a una gestione del sistema di un certo tipo, a una predazione più veloce, rapace, funzionale a un disegno di sistema a più ampio raggio, rispetto a quello che può avere un banchiere di sistema nazionale alla Cuccia.
Ecco che il banchiere anglo-americano, ragionando su scala planetaria e in termini di dominio assoluto, si fa più rapace e cattivo di chi pensa al mantenimento di un piccolo sistema (l'Italia per esempio) all'interno del mondo.
E sceglie come facile barra di navigazione (quella anche più adatta), la crescita di valore per l'azionista, cioè per se stessa (banca).
Su questo punto che definirei "epistemologia dell'attività bancaria e ideologia del banchiere" mi è sembrato esserci reticenza da parte di tutti i protagonisti della serata o comunque poca volontà di affrontare la questione fino a quel livello di profondità; ma non ho ancora visto tutta la puntata per bene, e devo comunque acquistare il libro per giudicare in modo più completo.

p.s.

rientra nel discorso la questione della responsabilità: più l'AD del sistema è vicino a ciò che crea e cura, più il suo modus operandi tenderà necessariamente ad accogliere le istanze di giustizia di tutte le parti in causa, badando soprattutto a non scontentare troppe persone: se non altro per un senso di autoconservazione.
Quest'aspetto è molto meno curato da chi invece spara bombe atomiche da quota 15mila metri, girando velocemte la punta dell'aereo.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
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