ARGENTINA

Questa sezione accoglie discussioni e segnalazioni su articoli usciti dai vari mezzi di informazione

ARGENTINA

Messaggioda domenico.damico » 03/12/2012, 11:24


Ecco ciò che sta accadendo in Argentina in questi giorni.

di Sergio Di Cori Modigliani

Due o tre cosette sull’Argentina e sui media italiani.


Da qualche giorno circola in rete (e sulla stampa mainstream) una enorme eccitazione sull’Argentina e sul suo immediato destino economico. Andrà in default di nuovo? E’ vero che sta per saltare il sistema? Tutta questa improvvisa fibrillazione è relativa a un debito del governo argentino che si riferisce a eventi avvenuti nel 2003 dovuti alla denuncia di un fondo d’investimenti che non ha riconosciuto le modalità di restituzione argentine.
Ma perché in Italia se la prendono tanto per un debito (minimo, davvero minimo, di cifra irrilevante) acceso da un lontano paese sudamericano, circa dieci anni fa? Una nazione che non fa parte dell’euro, i cui problemi non possono avere nessun impatto né tecnico né economico con la nostra situazione? A questo bisogna aggiungere l’enorme diffusione in Italia, sia sulla stampa ufficiale di regime che sui siti on line, delle notizie sulle manifestazioni popolari contro il governo in carica, descrivendo l’Argentina come un paese che sta di nuovo sull’orlo del collasso economico..
Chi segue questo blog ricorderà il post nel quale raccontavo una storia, che allora avevo definito “la guerra tra le due Cristine”, annunciando lo scontro di fine novembre che avrebbe raggiunto la sua punta massima a metà dicembre, visto che il Fondo Monetario Internazionale aveva dato al paese sudamericano la scadenza del 17 dicembre come ultima data per mettersi in linea con i parametri richiesti dai creditori istituzionali.
E, negli ultimi giorni, così, all’improvviso, dovunque si è parlato dell’Argentina e diverse persone si sono rivolte a me chiedendo la mia opinione.
Da cui il motivo di questo post.
“False flag”.
E’ un termine inglese che letteralmente vuol dire “falsa bandiera”, ma che nell’usuale linguaggio della comunicazione sta a indicare, piuttosto, quella che io chiamo “arma di distrazione di massa”.
Tutto questa eccitazione sui problemi economici dell’Argentina sono, per l’appunto, a mio parere, una “falsa bandiera”.
E’ il risultato di questa bulimìa ossessiva, fortemente voluta dagli oligarchi bocconiani, nell’imporre alla gente l’obbligo di parlare continuamente e costantemente di economia e di monete e di teorie, cercando di sottrarre il dibattito (riuscendoci in pieno) alla Politica, al confronto/scontro tra due interpretazioni del mondo, del mercato, dell’economia e della società che sono opposte e antagoniste.
In Argentina è accaduto qualcosa negli ultimi giorni. Sì, è vero.
Ma non ha nulla a che vedere con ciò di cui tutti parlano.
Sì, laggiù, qualcosa è accaduto. E anche di molto grosso. E sta accadendo proprio in queste ore. Ma non riguarda quel debituccio, non riguarda i soldi nudi e crudi, non riguarda provvedimenti di ragioneria economica e di contabilità fiscale.
Riguarda l’economia, questo sì. Ma viene dal mondo della Politica intesa nella sua forma più pura e migliore. E sta avendo un impatto poderoso non soltanto in tutto il Sudamerica, ma anche e soprattutto in Usa dove, non appena è arrivata la notizia, i repubblicani si sono subito scontrati con Obama e hanno interrotto la trattativa sulle manovre economiche rimandando il prossimo incontro di qualche giorno. Ma di tutto ciò, in Italia neppure una parola, neppure un rigo, neppure un accenno, che io sappia.
Non è certo casuale.
Di che si tratta, quindi?
Si tratta dell’approvazione di una Legge dello stato che il senato della repubblica argentina ha votato in maggioranza (voto trasversale) in data 28 novembre 2012 con 43 voti a favore e 19 contrari, diventando “immediatamente operativa con applicazione retroattiva al 1 settembre”. Hanno tecnicamente 30 giorni per renderla applicabile. E la Legge parla molto chiaro: definisce “illegale e immorale” qualunque forma di speculazione finanziaria sui mercati internazionali basata sui derivati; abolisce la possibilità tecnica delle speculazioni finanziarie in borsa perché sottrae a tutte le banche, a tutte le istituzioni finanziarie operanti nel territorio nazionale, la propria autonomia sul mercato. Dal 30 novembre del 2012, il parlamento e il governo argentino si riappropriano della propria economia che individua “legalmente” nella finanza “il braccio operativo dell’economia di cui deve essere subalterna” e impone alla finanza di essere sottoposta al totale controllo dello stato centrale in ogni sua attività.
Così titolava La Naciòn, il più importante quotidiano argentino (moderato conservatore) nel dare la notizia che in Italia non mi pare sia stata né diffusa né diramata.
LA CAMARA DE SENADORES CONVIRTIO EN LEY LA REFORMA DE LA REGULACION DEL MERCADO DE CAPITALES
Estado con más poder para proteger el ahorro


Da oggi lo Stato si fa garante presso i cittadini, di cautelare i risparmi personali ma si fa soprattutto garante del fatto che le imprese, le società, le industrie, le finanziarie internazionali operanti in Argentina intervengano in borsa e sui mercati dei capitali “con l’unico ed esclusivo intento di trarre profitto da un’attività che però deve avere immediatamente, come riflesso economico, l’apertura di crediti agevolati alle medie e piccole imprese, l’allargamento degli investimenti in industrie nazionali e l’assunzione di nuovo personale per andare all’attacco della disoccupazione giovanile che il governo considera la priorità assoluta in campo politico, economico, sociale”.
Questo è avvenuto.
Per la prima volta in questo nuovo millennio, una nazione capitalista occidentale si assume la responsabilità politica (fotografate per bene questa parola) di imbavagliare la finanza, di metterle le briglia sul collo e di fondare il principio, basato sull’applicazione dello Stato di Diritto, che identifica nello stato centrale, nel governo e nel parlamento, l’arbitro e il garante dell’economia; il vero padrone della finanza non è più il “mercato libero” (l’idea di Zingales, Giannino, Monti, Passera, Draghi, ecc.) bensì il governatore della banca centrale insieme al ministro dell’economia, dell’industria e dello sviluppo. “O la finanza capisce che i soldi servono per sviluppare l’economia allargando il mercato del lavoro, gli investimenti, dando credito alle imprese a interesse minimo e abbattendo la disoccupazione, oppure possono anche andare a investire in Europa, in Italia e in Spagna, se è questo che vogliono. Là li accoglieranno a braccia aperte”. Così ha dichiarato la presidente Kirchner, nel commentare la più grande vittoria politica ottenuta da un governo sudamericano nel combattere il neo-colonialismo dei colossi della finanza al servizio dell’oligarchia planetaria del privilegio. Chi vuole investire nella finanza speculativa lo fa attraverso “banche speciali” che dovranno esporre un avvertimento alla clientela, nel quale si specifica che non esiste nessuna garanzia internazionale su quell’investimento. Le banche correnti devono occuparsi di investire i soldi dei correntisti nell’economia reale, quella delle merci, e non quella della carta straccia; lo Stato garantisce ogni tipo di risparmio e ogni forma di investimento, purchè si riferisca all’economia reale.
La borsa di Buenos Aires (e questa è un’altra bella notizia) ha reagito molto bene; anche quella brasiliana (che si appresta in brevissimo tempo a varare identica legge) grazie alla quale vengono aboliti i principi basilari dell’idea liberista che sta strozzando il pianeta, ovverossia l’egemonia della finanza sul mercato.
Di tutto ciò, in Italia non si è parlato.
Ma non basta, c’è dell’altro.
Ieri, 30 novembre, per tutta la giornata, in Argentina si sono svolti convegni, manifestazioni e discussioni relativi a un’altra legge che va alla votazione alla fine della prossima settimana e che riguarda il secondo pilastro della democrazia e della ripresa economica: la legge sul conflitto di interesse e una nuova legiferazione nel campo della libertà di stampa, dell’informazione e delle comunicazioni. Verranno prese misure specifiche per impedire che possano essere eletti in parlamento soggetti politici legati al mondo dell’informazione, e soprattutto viene impedito a società finanziarie, banche d’affari private e grossi colossi finanziari internazionali di poter aggirare l’ostacolo diventando editori. Chi si occupa di informazione lo fa costituendosi come “editore puro” attraverso il rischio di una impresa privata. Il tutto per impedire che la finanza, in maniera subdola (come avviene in Italia ad es.) usi il proprio gigantesco potere per esercitare pressioni sull’opinione pubblica al fine di salvaguardare interessi finanziari e non il diritto alla libertà dell’informazione.
Anche su questo punto, nessuna notizia in merito.
Sono entrambi due pericolosissimi precedenti.
E’ la dimostrazione che esistono strade diverse percorribili, opposte a quelle volute dalla BCE e dal governo italiano, dal PD dal PDL dall’Udc.
A questo ci potete aggiungere la decisione ufficiale presa dal presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, il quale ha bocciato la richiesta avanzata dalle compagnie petrolifere locali per nuove trivellazioni, destinando i 300 milioni di dollari (per loro una grossa cifra) del budget che le lobby del petrolio erano riusciti a garantirsi e spostando tale cifra per la salvaguardia del territorio idro-geologico dando vita a tre giganteschi parchi naturali, all’interno dei quali verranno fatti investimenti nel settore dell’agricoltura biologica a chilometro zero.
Qui di seguito, in un post scriptum, in copia e incolla, c’è un articolo apparso sul settimanale Pagina ½, la pubblicazione più radicale e colta diffusa in Argentina. E’ un esempio di giornalismo che in Italia non esiste più. Dà la notizia sulla legge della divisione tra banche d’affari e banche speculative, senza nessun commento, senza fornire nessuna opinione, raccontando in che cosa consiste la Legge, come funziona, come si è svolta la votazione, i nomi degli attori e delle fazioni in campo. L’articolo è quello originale ed è scritto dunque in spagnolo, ma è di facilissima comprensione anche per chi non conosce la lingua.


Sono modalità completamente diverse da quelle seguite in Italia dove la disinformazione, il narcisismo e l’opinionismo lobbista si sono ormai sostituiti alla spiegazione dei fatti reali e oggettivi; e così i lettori, spaesati, confusi, finiscono per non essere mai messi al corrente su ciò che accade in verità, perché vengono spinti a seguire delle tesi già preconfezionate che finiscono tutte con lo stesso identico refrain: non c’è alternativa, non si può fare diversamente.
Non è vero. Non è così.
Non esiste nessun campo dell’attività umana in cui non esistano alternative. E’ una diabolica idea quella di presentare soluzioni come se fossero le uniche a disposizione.
Per ritornare in Europa, mentre l’Italia è scivolata nel consueto imbuto popolato da pecore mediatiche al pascolo, seguendo le vicende delle cosiddette primarie, in Europa si scatenava un furibondo scontro (in Germania) relativo a Unicredit e MPS (la più antica banca italiana, Monte dei Paschi di Siena) anche perché il tutto era relativo alla stessa persona, Alessandro Profumo, già presidente di Unicredit e attualmente presidente di MPS. Accusato, denunciato e sentenziato di evasione fiscale in Europa per la cifra di 3,5 miliardi di euro, Unicredit e Profumo (in quanto mente operativa della questione) se la stanno vedendo con le banche europee per un gigantesco conflitto di interessi. Mentre all’unicredit si chiedono i soldi da pagare e Profumo è stato identificato come un evasore che non rispetta la Legge, Mario Monti, a nome del governo italiano, si è presentato da Mario Draghi chiedendo il consenso a “sforare” dai dispositivi sanciti dal Fiscal Compact per far avere –sempre allo stesso Profumo- un nuovo gettito di 3 miliardi di euro provenienti dalle casse dello stato italiano, dopo i 24 che ha già ricevuto negli ultimi cinque anni. Essendo il titolo della banca considerato in borsa “spazzatura” (il titolo che tre anni fa valeva 2 euro in borsa, oggi vale 0,17 euro in borsa) non è ammissibile neppure per Draghi una cosa del genere. Rischiosissima. Infatti, i greci –giustamente dal loro punto di vista- hanno immediatamente protestato pretendendo una proroga del loro debito. E’ andata a finire come ben sappiamo. Non si sa se Unicredit pagherà o meno ciò che ha rubato e MPS avrà i suoi soldi da investire in nuovi derivati speculativi a rischio sempre più alto, l’unica possibilità rimasta di poter mettere un buco alla voragine di una banca tecnicamente già fallita da un pezzo.
Tutta la gestione dei rapporti tra istituzioni e banche, tra governo e banche, tra BCE e banche, portata avanti da Mario Monti e dal PD dal PDL e dall’Udc finiranno per aumentare nel mese di dicembre il disavanzo pubblico portandolo a un ulteriore aumento e raggiungendo la cifra di 2000 miliardi di euro.
Qui in Italia ci portano via i soldi per darli a banchieri evasori che gestiscono banche già fallite, mentre in Argentina c’è chi ha messo legalmente il bavaglio alle banche, le ha ammanettate e le ha sottoposte a una rigida, attenta regolamentazione sotto la custodia, tutela e attenzione della classe politica al governo in rappresentanza delle istituzioni collettive.
Una bella differenza.
La guerra, quindi, prosegue.
Ed è sempre la stessa, quella tra oligarchi della finanza e i loro oppositori.
Da noi, ci fanno credere che il problema sia se vince Renzi o se vince Bersani oppure se Berlusconi si candiderà oppure no.
Sapete che vi dico? (con il cuore in mano). Se a questo punto c’è qualcuno che pensa possa essere così, allora vuol dire che ce li meritiamo tutti. Questa è la loro forza.
C’è ancora qualcuno che dà loro credito.
Non lamentiamoci, dunque, se le banche non lo danno a noi, il credito.
Perché mai dovrebbero?
Buona domenica a tutti.


Ecco l’articolo, a firma Sebastian Premici, celebre giornalista e intellettuale argentino.
Màs poder para proteger el ahorro
La ley se aprobó con 43 votos a favor y 19 en contra. El Frente para la Victoria y el FAP respaldaron la iniciativa en general, mientras que el peronismo disidente y los radicales se opusieron. La CNV tiene 180 días para reglamentarla.
Por Sebastián Premici
El Senado convirtió en ley el proyecto que modifica la regulación sobre el mercado de capitales y le otorga a la Comisión Nacional de Valores mayores atribuciones de control. El Frente para la Victoria consiguió 43 votos afirmativos, mientras que 19 senadores votaron en contra. Como viene sucediendo en las últimas sesiones, el oficialismo consolidó un núcleo de votos con sus aliados tradicionales, el Movimiento Popular Neuquino, los legisladores por Tierra del Fuego que representan a Nuevo Encuentro, y se sumó una senadora del PJ de La Pampa y otra de Santa Fe. El único bloque opositor que acompañó al oficialismo en la votación en general fue el FAP, que luego rechazó tres artículos.
Por su parte, la UCR y el peronismo disidente votaron en contra. Los senadores radicales mantuvieron una postura diferente a la de sus colegas de la Cámara de Diputados, quienes habían acompañado en general al FpV. Su argumento fue que con la introducción de un cambio durante la votación en particular en la Cámara baja –la posibilidad de que la CNV designe veedores en caso de gravedad institucional, en defensa de los inversores minoristas, como el propio Estado–, se estaba desvirtuando el objetivo central del proyecto. En el recinto estuvieron presentes el ministro de Economía, Hernán Lorenzino, y el titular de la CNV, Alejandro Vanoli.
El proyecto del Ejecutivo había logrado la media sanción el miércoles de la semana pasada (184 a 24). Sin mediar dilaciones, el proyecto pasó al Senado donde fue tratado en comisión al día siguiente. Una semana después, fue convertido en ley. “La Bolsa no desaparecerá. La idea es que haya cada vez más jugadores. Es imperioso romper el contraste entre tasa de interés y tipo de cambio y la desesperación por el acceso al dólar como atesoramiento. El Estado garantizará los ahorros con una mayor regulación de la CNV. La idea es poder canalizar el ahorro hacia las inversiones productivas en las provincias”, sostuvo Aníbal Fernández, titular de la Comisión de Presupuesto.
Durante la sesión de Diputados se introdujeron varios cambios al proyecto original, muchos de ellos consensuados con la oposición e incluso con los actores del mercado. Pero hubo una modificación que llamó la atención de la oposición. En el artículo 20 se agregó el siguiente texto: “Cuando, como resultado de los relevamientos efectuados, fueren vulnerados los intereses de los accionistas minoritarios y/o tenedores de títulos valores sujetos a oferta pública, la CNV podrá designar veedores con facultad de veto de las resoluciones adoptadas; y separar a los órganos de administración de la entidad por un plazo máximo de ciento ochenta (180) días hasta regularizar las deficiencias encontradas”.
Así como existe un núcleo duro que acompaña al oficialismo, el núcleo de la UCR y el PJ disidente tiene cada vez más coincidencias, al menos desde lo discursivo. Ambos cuestionaron al Gobierno sobre la posible “discrecionalidad” en la manera de aplicar la nueva regulación sobre el mercado de capitales. En definitiva, las críticas apuntan a la capacidad de regulación del Estado. “Este es un gobierno con sello anti inversión. El mercado no es otra cosa que un lugar de reunión, donde el Estado debe tener el mínimo interés de que no haya fraude. Nadie pertenecerá a un club para que le peguen. Los que ya están, están, pero no habrá nuevos jugadores en estas condiciones. La intromisión en la actividad privada logra el desaliento”, sostuvo Juan Carlos Romero (PJ Salta).
Por su parte, el radical Gerardo Morales –quien tuvo un cruce con la pampeana María de los Angeles Higonet (ver aparte)– afirmó que el proyecto “vulnera la seguridad jurídica”. Su correligionaria, Laura Montero, fue un poco más específica. “La regulación del mercado quedará en manos del Ejecutivo que podrá tener atribuciones discrecionales. Hubiéramos querido que haya participación de la oposición en el directorio de la CNV”, manifestó la mendocina, aliada de Julio Cobos.
La modificación en el artículo 20 contempla el hecho de que muchas empresas que cotizan en la Bolsa tienen inversiones provenientes del “ahorro público”. Según explicaron a Página/12 desde la CNV, se incluyeron en el articulado “herramientas legales para actuar rápidamente ante situaciones graves que puedan alterar el normal desarrollo de la operatoria diaria y la estabilidad del mercado”.
La capacidad de intervención del Estado apunta a “salvaguardar” las inversiones realizadas que surgen en su mayoría del Fondo de Sustentabilidad de la Anses, que se nutre con los aportes de los trabajadores. Desde esta perspectiva, se habría incluido el artículo para “proteger” dichas inversiones, dato que la oposición pasó por alto.
“Algo de lo que se habló poco en el debate es el rol de las calificadoras, que están cuestionadas en todo el mundo. Las universidades le darán un aspecto totalmente diferente a esta cuestión. Lo otro que no se dijo fue la desmutualización (salvo por una mención de Montero). Para ser socio de la Bolsa había que pagar cinco millones de pesos. Se eliminó ese requisito”, manifestó Miguel Angel Pichetto, titular del bloque del FpV.
Otro aspecto relevante de las modificaciones incluidas durante la sesión de la Cámara baja tiene que ver con una cláusula que sostiene que “en ningún caso se podrán disponer despidos por causa de las disposiciones de la presente ley”. La oposición quería incluir la obligación del Estado de tomar a cualquier empleado de las Bolsas que eventualmente fuese despedido. Los trabajadores de la Bolsa de Comercio estuvieron en la puerta del Senado repartiendo volantes, para que se les garanticen sus fuentes laborales. “No puede haber despido alguno por esta ley. Por eso pedí que la reglamentación sea lo más clara posible en este punto”, sostuvo Fernández al comienzo de su exposición.
La ley será promulgada en los próximos 30 días. Las distintas Bolsas y mercados del país ya comenzaron su lobby para tratar de incidir en esta instancia.


fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot ... ntina.html
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
domenico.damico
 
Messaggi: 748
Iscritto il: 21/09/2011, 21:45
Località: Padova

ARGENTINA e banca centrale

Messaggioda domenico.damico » 15/12/2012, 13:59

Articolo di marzo scorso:

http://cambiailmondo.org/2012/03/20/arg ... mia-reale/


Argentina: cambiano le regole, il Banco Centrale è patrimonio pubblico e sociale; si torna all’economia reale

di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)

L’Argentina ha abbattuto un altro pilastro delle politiche neoliberiste sancendo la fine dell’autonomia della Banca Centrale dalla politica. Questa settimana è prevista la conferma al Senato della Repubblica del nuovo Regolamento Organico della BCRA, approvato lo scorso mercoledì alla Camera de Deputati. La modifica dello status dell’istituzione era stato il principale annuncio politico fatto dalla presidente Cristina Kirchner nell’inaugurazione dell’anno legislativo del 2012, agli inizi del mese di marzo.

L’autonomia delle banche centrali è stata uno dei capisaldi delle politiche imposte dal FMI e dagli organismi internazionali negli anni ’90, sotto il paradigma del Consenso di Washington in America Latina. Riforme in questa direzione sono state promulgate in Cile (1989), Argentina (1992), Venezuela (1992), Messico (1994), con l’argomento che la politica monetaria – ovvero la preservazione del valore della moneta – è una funzione eminentemente tecnica che deve essere staccata dalla politica economica di un paese e lasciata in mano dei tecnici.

In Argentina la norma seguiva e completava la “legge sulla convertibilità” (1991), che aveva stabilito la parità cambiaria del peso con il dollaro e l’obbligo di mantenere delle riserve in valuta statunitense equivalenti alla massa monetaria circolante, conducendo in pratica alla dollarizazzione dell’economia.

Entrambe le leggi nascevano con la finalità di stabilizzare l’economia e mettere fine all’enorme inflazione che creava nere prospettive per la giovane democrazia riconquistata negli anni 80. Non occorre soffermarci sui risultati delle politiche di aggiustamento strutturale e deflazione promosse dal FMI, che hanno avuto come sbocco la enorme crisi finanziaria del 2001 in Argentina e episodi similari nel resto dei paesi dell’America Latina.

D’ora in poi, dunque, la missione primaria e fondamentale della Banca Centrale argentina non sarà soltanto “preservare il valore della moneta” ma includerà anche “lo sviluppo economico con giustizia sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”. Finalità analoghe hanno le banche centrali di diversi altri paesi, a cominciare degli Stati Uniti, e abbondano anche gli esempi internazionali sull’uso di riserve per investimenti produttivi.

Lo ha fatto il Brasile nel 2008-2009 per soccorrere imprese in difficoltà e per finanziare le esportazioni; la Cina per creare nel 2007 un grande fondo sovrano per gli investimenti; l’Ecuador nel 2009 per riattivare l’economia mediante la creazione di opere pubbliche e programmi d’impiego; il Giappone per aiutare la Toyota a altre sue imprese nel 2009.

Una novità importante è la capacità che avrà l’organismo, di orientare e promuovere il credito, che oggi rappresenta soltanto il 14% del PIL (il livello più basso a livello regionale) ed è concentrato nel consumo e nel commercio estero. Si cerca così di incidere su uno dei fianchi deboli dell’economia, promuovendo lo sviluppo produttivo mediante la regolazione dei tassi d’interesse e il sostegno alle imprese per accedere al credito.

Si incorporano anche nuove funzioni in riferimento alla regolazione e supervisione del sistema finanziario e alla protezione degli utenti. “L’attuale Carta Organica della Banca Centrale è dissociata dal modello produttivo. La nuova norma sancisce ciò che si sta facendo negli ultimi anni”, ha spiegato la presidente della BCRA Mercedes Marcò del Pont.

Due sono i punti contestati dall’opposizione ed entrambi riguardano la quantità di riserve trasferibili all’Erario e i vincoli all’utilizzo di fondi da parte del Governo. Le nuove regole sanciscono nella Carta Organica – ma al contempo modificano – disposizioni promulgate durante il governo di Nestor Kirchner . L’ex presidente aveva inaugurato l’uso di riserve da parte dello Stato allo scopo esclusivo di saldare il debito con gli organismi di credito internazionali, quando introdusse, mediante un decreto del 2005, il concetto di “riserve di libera disponibilità” che stabiliva che quando le riserve superassero il 100% della base monetaria, in condizioni di surplus della bilancia commerciale, gli eccedenti potevano essere utilizzati con questo fine.

In questo modo sono stati rimborsati 10.000 milioni di dollari al FMI e cancellato il debito con questo organismo, seguendo la politica di “desindebitamento” portata avanti pure dal Brasile nello stesso periodo.

La Riforma attuale incrementa i fondi disponibili per lo Stato. Per fare ciò abolisce l’obbligo del 100% di copertura in dollari – retaggio della politica di convertibilità – e stabilisce che è competenza delle autorità monetarie fissare nuovi parametri fondati sul livello di riserve ottimale alla politica economica e al modello di sviluppo attuale. In aggiunta – ma soltanto in condizioni eccezionali per l’economia nazionale o internazionale – si duplica l’ammontare che il Banco può anticipare in forma transitoria al Governo e si prolungano i tempi per il suo reintegro (dal 10 al 20% delle entrate fiscali del precedente anno e da 12 a 18 mesi).

L’opposizione di centro-destra mette in guardia sul rischio di un innalzamento dell’ inflazione vista la discrezionalità con la quale l’Esecutivo potrebbe ricorrere all’ emissione monetaria. Il Governo – affermano – cerca soltanto di aumentare gli introiti in previsione della crisi e del termine della fase di crescita e di risultati positivi nell’interscambio commerciale, in modo di continuare ad incrementare la spesa pubblica e pagare i debito estero.

Questo ultimo punto è il bersaglio delle critiche dell’opposizione di centro-sinistra, dal momento che lo scopo principale della misura ufficiale non sembra tanto essere l’ampliamento della capacità produttiva del paese quanto piuttosto la negoziazione del debito con i paesi creditori riuniti nel forum conosciuto come “Club di Parigi”, un tema che ha subito diverse dilazioni e che la Presidente vuole concludere entro il 2012.

E’ requisito indispensabile per il Governo disporre di dollari per avanzare nella politica adottata dai tempi di Kirchner riguardo al debito estero: pagare sì, ma alle proprie condizioni, in primo luogo con l’esclusione del FMI nelle negoziazioni.

Comunque sia, è indubbio che la riforma rappresenta un cambiamento di paradigma e implica un ritorno alla politica e all’economia reale. La sovranità della politica economica torna allo Stato, che recupera la guida delle variabili macroeconomiche indispensabili per orientare qualsiasi strategia di sviluppo. Perché, come ha sostenuto un’analista locale[1], “separare le riserve accumulate da un popolo, grazie al suo lavoro, dal resto delle risorse nazionali e lasciarle alla volontà di un gruppo di tecnocrati senza voti è uno sproposito ed è antidemocratico”, si guardi come si guardi.

[1] Mario Wainfeld, “Movidas en el Congreso”, Pagina 12, 11 marzo 2012.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
domenico.damico
 
Messaggi: 748
Iscritto il: 21/09/2011, 21:45
Località: Padova

Re: ARGENTINA

Messaggioda Vito Zuccato » 15/12/2012, 15:48

Il signor paolo baffi rossi ringrazia.

Per riassumere: oltre all'amplificazione dello strumento degli anticipi monetari (cioè prestiti) concessi dal Banco Centrale al Governo e da utilizzarsi solo in casi eccezionali, si consente al Governo di utilizzare le riserve del Banco rimuovendo per quest'ultimo il vincolo precedente di tenere riserve in dollari pari al circolante in pesos.

Praticamente è la visione opposta rispetto a quella bundesbankista che prevede totale indipendenza della banca centrale dagli altri organi statali e/o pubblici, sulla quale si basano il Trattato di Maastricht e la BCE e a cui vennero adeguate GIA' nella prima metà degli anni '90 tutte le banche centrali della Comunità Europea; nel caso della Banca d'Italia, la sua definitiva separazione dal Tesoro avvenne con la legge 483 del 26 novembre 1993.

NB: fu Guido Carli da Ministro del Tesoro a spingere per la separazione totale tra banca centrale e governo e per l'adeguamento dell'Europa e dell'Italia (prima con l'Art. 104 del Trattato di Maastricht e dopo con la legge italiana 483/93) a questo tipo di politica monetaria da sempre peculiarità della tedesca Bundesbank, lo stesso Guido Carli che nel 1975 si dimise da Governatore della Banca d'Italia pochi mesi dopo la modifica della prassi dei prestiti erogati dalla Banca d'Italia al Tesoro con la novità dell'acquisto automatico dei titoli di Stato non assorbiti dal mercato; però nel 1973 fu lo stesso Guido Carli da Governatore della Banca d'Italia a far introdurre i c.d. vincoli di portafoglio in titoli di Stato per le banche commerciali, quasi a voler suggerire che l'espediente antitetico alla sua ideologia bundesbankista escogitato a maggio 1975 e conclusosi a giugno 1981 fosse in realtà sempre farina del suo sacco e non solo del suo collaboratore e Direttore Generale Paolo Baffi, che di lì a poco prese il suo posto di Governatore.

Un mio post di commento di qualche mese fa allo stesso articolo sulla riforma della banca centrale argentina sul forum di signoraggio.info:
http://www.signoraggio.info/index.php/forum/5-economia-internazionale/14-argentina-e-banca-centrale#17
Vito Zuccato
 
Messaggi: 830
Iscritto il: 01/12/2011, 20:57
Località: Pordenone

ARGENTINA: svalutazione

Messaggioda domenico.damico » 26/01/2014, 11:40


Argentina, la moneta ai minimi storici
“Stop ai controlli sugli scambi di dollari”

Svalutazione record del peso: mai così male dal 2001, l’anno del grande default. Il governo Kirchner: da lunedì ok all’acquisto di soldi Usa per «persone fisiche» Ma l’inflazione schizza: più 20 per cento sui prodotti, non solo quelli importati

di Paolo Manzo
BUENOS AIRES

Se ieri è stata la peggior giornata per l’economia argentina dal default di fine 2001, con una svalutazione del peso nei confronti del dollaro che sembrava irrefrenabile – da 7,15 fino ad 8,60 quando la Banca Centrale di Buenos Aires è intervenuta vendendo in pochi minuti 180 milioni di US$ e facendo rientrare il cambio a quota otto – oggi è stata la giornata degli annunci “misteriosi” e dell’inflazione galoppante.

AUTORIZZATI I DOLLARI «PER LE PERSONE FISICHE»

Erano infatti da poco passate le 8 del mattino a Buenos Aires quando Jorge Capitanich, il capo di Gabinetto di Cristina Kirchner – che per la cronaca stanotte vola a Cuba nel suo primo viaggio aereo dopo l’operazione di ottobre - faceva una comunicazione di appena un minuto, pochissimo per lui, solitamente, molto ciarliero.«Abbiamo deciso di autorizzare l’acquisto di dollari per le persone fisiche d’accordo con i redditi da loro dichiarati. Contemporaneamente abbiamo deciso di abbassare la tassazione sulle spese all’estero con carte di credito dal 35% al 20%. La decisione è stata presa perché il Governo ritiene che il prezzo del dollaro abbia raggiunto un livello accettabile a 8 pesos per 1 dollaro per i nostri obiettivi della politica economica. Queste misure entreranno in vigore da lunedì». Capitanich non ha risposto a nessuna domanda dei tanti giornalisti presenti mentre il ministro dell’Economia Axel Kicillof che lo accompagnava ha detto, visibilmente nervoso, una sola frase: «Gli stessi che ci hanno detto per dieci anni che un dollaro valeva un peso, oggi vogliono convincerci che un dollaro vale 13 pesos. Traete voi le vostre conclusioni».

PREZZI IN SALITA VERTIGINOSA

Poco dopo, nella capitale argentina iniziava un fenomeno preoccupante, ovvero alcune grandi catene di elettrodomestici, mobili ed utensili vari, hanno iniziato ad aumentare, in tutta fretta, i prezzi. E, si badi, non solo dei beni importati e, dunque, legati al dollaro. Un piccolo impianto di aria condizionata di un celebre marchio che produce nel paese del tango, ad esempio, «ha avuto il prezzo aumentato del 20% rispetto a ieri», mi spiega il commesso. E, sempre da stamane, è sempre più comune vedere al posto dei prezzi esposti nelle vetrine dei cartoncini bianchi, sinonimo della grande incertezza del momento. Aumenti anche per lavatrici e cucine componibili, per lavastoviglie e frullatori, in alcuni casi anche del +25% rispetto a lunedì.

ASPETTANDO LUNEDì

Pochi mesi fa il governo Kirchner - all’epoca all’Economia c’era Lorenzino - aveva affermato che il suo cambio ideale del peso con il dollaro era a quota 6 mentre Moreno, responsabile del Commercio interno all’epoca, aveva annunciato “prezzi fissi” per una serie prodotti, negando che in Argentina fosse alle porte un problema inflazionario. E mentre i commercianti, anche quelli degli alimentari, oggi non sanno come rinnovare i listini e le agenzie di viaggio si basano su un dollaro turismo quotato a 9,5 con il peso, le case di cambio ufficiali aspettano lunedì per vedere che succederà. Sarà la fine del “cepo”, come gli argentini hanno ribattezzato il controllo del governo sul dollaro e come sostengono alcuni o la burocrazia (dell’Afip, l’ente preposto ad autorizzare l’acquisto di dollari, ndr) limiterà al massimo l’acquisto di dollari da parte delle “persone fisiche”? Non lo sa nessuno. L’unica cosa certa è che se venisse liberalizzato davvero il dollaro, la Banca Centrale che sta perdendo in media 80 milioni di dollari al giorno di riserve per limitare la svalutazione ulteriore del peso, rischia di trovarsi a secco in poco, pochissimo tempo. Per la cronaca, in questo momento chi cambia (illegalmente) nel microcentro di Buenos Aires vende dollari a 13 e li compra a 12 pesos. I cosiddetti “dolar blue” insomma sono già a 13 e non ad 8, la quota definita “accettabile” poche ore fa da Capitanich.

NON SIAMO NEL 2001

Per descrivere queste ore in Argentina molti impropriamente stanno rispolverando il default del 2001. Scordatevi questa analisi perché l’attuale crisi è di tutt’altro genere. Piuttosto, se proprio volete fare dei parallelismi con il passato, segnatevi questa parola: Rodrigazo. Era infatti il 4 giugno del 1975 quando l’allora ministro dell’Economia argentino Celestino Rodrigo passò tristemente alla storia annunciando una svalutazione del 150% del peso rispetto al dollaro, controbilanciato da un aumento dell’80% degli stipendi dei lavoratori. Il risultato, oltre a causare una crisi irreversibile nel già pessimo governo di Isabelita Perón, portò Buenos Aires ad un’inflazione che a fine 1975 sfiorò il 200%. La speranza di tutti è che la storia non si ripeta. Molto dipenderà da cosa deciderà e riuscirà a fare nei prossimi giorni l’équipe economica di Cristina Kirchner, a cominciare dal ministro Axel Kicillof e dal presidente della Banca Centrale, Juan Carlos Fábrega. Il rischio di una spirale svalutazione-inflazione, comunque, c’è e già la sua esistenza è una iattura per l’Argentina perché, ça va sans dire, ha già un costo. La Bolivia, non la Svizzera, riesce ad esempio a raccogliere finanziamenti dall’estero ad un tasso poco superiore al 4%. Una percentuale che Buenos Aires oggi può solo sognare.


Fonte: http://www.lastampa.it/2014/01/24/econo ... agina.html
Ultima modifica di domenico.damico il 26/01/2014, 11:52, modificato 1 volta in totale.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
domenico.damico
 
Messaggi: 748
Iscritto il: 21/09/2011, 21:45
Località: Padova

ARGENTINA: svalutazione

Messaggioda domenico.damico » 26/01/2014, 11:44

L'Argentina torna a far paura, svalutazione shock per il Peso. Tango Bond al 17%

L'Argentina ha deciso ieri una brusca svalutazione del peso, la valuta nazionale, che ha riportato sui mercati i timori di una crisi finanziaria nella seconda economia per importanza in America Latina. Il calo di oltre il 15% accusato dalla valuta argentina nei primi scambi ieri ha costretto la Banca centrale a ritornare sul mercato per vendere dollari, limitando cosi' il ribasso a fine seduta all'8% che rappresenta, comunque la perdita piu' ampia per il peso su base giornaliera dal default da 95 miliardi di dollari e dalla pesante svalutazione del 2002. La valuta argentina ha superato ieri la soglia simbolica di 8 peso per un dollaro dopo aver sfondato il giorno prima quella dei 7 peso, uno choc per gli argentini che negli anni '90 vivevano nella parita' tra peso e dollaro.

La valuta ha toccato un minimo giornaliero di 8,34 peso per un dollaro ieri per poi chiudere a quota 8,01. La svalutazione, nemica di risparmiatori e investitori, accumulata in due giorni e' del 13,9% e quella delle prime tre settimane del 2014 e' pari al 18,6% contro il 24% di tutto il 2013. Il Governo argentino, per tramite del premier, Jorge Capitanich, ha annunciato l'allentamento delle restrizioni in vigore da oltre due anni sugli acquisti di valuta estera, e cioe' di dollari, da parte di cittadini privati, sottolineando come "il prezzo del dollaro abbia raggiunto un livello di convergenza accettabile con gli obiettivi di politica economica" del Paese.

Un brusco cambiamento di rotta dopo che dall'ottobre 2011 l'amministrazione della presidente Cristina Kirchner aveva 'razionato' con parsimonia la quantita' di dollari a disposizione di privati e imprese nel tentativo di proteggere le riserve internazionali del Paese. La stessa Kirchner aveva affermato il 6 maggio scorso che il peso non sarebbe stato svalutato ma una mossa in questo senso veniva reclamata da tempo dalle imprese, in particolare da quelle export. Dopo aver speso oltre 4,5 miliardi di dollari nel 2013 per difendere la valuta nazionale, la Banca centrale e' intervenuta per almeno 100 milioni di dollari ieri per limitare il crollo del peso e le valute internazionali del Paese hanno terminato la giornata a un nuovo minimo da oltre sette anni di 29,3 miliardi contro un picco di 52,6 miliardi a inizio 2011. Da quando Kirchner ha deciso un ampio rimpasto, nominando uomini nuovi a capo del ministero dell'Economia e della Banca centrale il 18 novembre scorso, il peso si e' svalutato del 25%, un record a livello mondiale. Intanto, l'inflazione ha raggiunto il 25-30% in Argentina nel 2013, secondo stime private (10,9% secondo il Governo) e viene prevista in ulteriore aumento quest'anno.
Nel solo mese di dicembre, sempre secondo stime private, potrebbe toccare il 5%.

Il ministro argentino dell'Economia, Axel Kicillof, nel corso di una intervista a Radio Continental, ha dichiarato: «C'é stato un attacco speculativo molto forte. C'è stata una domanda di acquisto di 3,5 milioni di dollari a 8,40 peso da parte della Shell, che avrebbe potuto comprare a 7,20 peso».

Fmi: «Saremmo felici di aiutare l'Argentina»
Il Fondo monetario internazionale sarebbe «felice» di aiutare l'Argentina, che si trova ad affrontare una forte svalutazione della sua moneta. In ogni caso, non si sono relazioni ufficiali tra Fmi e le autorità di Buenos Aires. Lo ha dichiarato Zhu Min, direttore aggiunto del Fondo, parlando al Forum di Davos. Il Fmi sarebbe «più che felice di aiutare» l'Argentina, «ma come voi sapete non abbiamo relazioni ufficiali dal 2004», ha detto Zhu Min, aggiungendo che il Fondo «sorveglia molto attentamente» la situazione.

Crollano i Tango Bond del 4,7%
La tempesta valutaria del peso si è riflessa ovviamente anche sui titoli del paese sudamericano. I tango bond con scadenza 2017 hanno perso oggi il 4,7%, con un calo a 79,5 da 83,5 cents, facendo impennare i rendimenti al 17%. «There's nothing to scoff at», «Non c'è più niente da ridere» dice un operatore, facendo riferimento al cambio di scenario in corso: l'anno scorso i titoli di Stato argentini si erano rivalutati del 19%. E c'è chi ora considera di acquistare a questi prezzi: Ezekiel Bidau di ACP Securities dice che sta lentamente aumentando l'esposizione del suo portafoglio di titoli argentini a scadenza 2015; scesi anch'essi a 92.5 cents dai 97c di ieri.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... 2857.shtml
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
domenico.damico
 
Messaggi: 748
Iscritto il: 21/09/2011, 21:45
Località: Padova

L'AVVOLTOIO DI NEW YORK

Messaggioda domenico.damico » 01/08/2014, 12:00

Nello specifico di quello che è accaduto tra Fondo speculativo avvoltoio e Argentina,
con risvolti importanti sul futuro:

L'AVVOLTOIO DI NEW YORK
di Alfredo Somoza
fonte: http://alfredosomoza.com/2014/07/31/lav ... -new-york/


Lo statunitense Paul Singer, 69 anni, ha una fortuna personale valutata in 1,2 miliardi di euro grazie alla proprietà del Fondo Elliott Capital Management, gestore di 11 miliardi di dollari. Attraverso la Elliott, Singer opera sul mercato del debito sovrano in sofferenza, acquistando quando i bond sul debito sono sottovalutati per poi tentare la causa contro lo Stato emittente per incassare il valore nominale più gli interessi. Grazie a questa “specialità”, il suo fondo è stato battezzato “avvoltoio”, nel senso che si ciba di cadaveri, cioè di debiti di paesi falliti, dando il colpo finale a economie già duramente provate. Ovviamente a questo campione e grande finanziatore del Partito Repubblicano statunitense, sensibile solo ai diritti dei gay per motivi familiari, non preoccupa aggiungere sofferenza a sofferenza togliendo risorse utili alla ricostruzione di una società. Non sono questi i problemi che si pone Paul Singer che ha un carniere ricco di prede. Negli anni ‘90 acquisì debiti dello stato peruviano per 8 milioni di euro riuscendo, tramite una causa, a farseli pagare 43. E non solo America Latina, anche uno dei paesi più disperati al mondo, il Congo, ha dovuto rimborsare a Singer 67 milioni su fondi pagati 15. Con l’Argentina, questo avvocato laureato a Harvard ha fatto il colpo grosso. Nel 2008 il suo fondo NM Capital rastrella sul mercato secondario titoli argentini “spazzatura”, svenduti cioè da creditori che non volevano aderire al concambio offerto da Buenos Aires, per un controvalore di 48,7 milioni. Poi denuncia il paese davanti al Tribunale federale di New York del suo amico, il Giudice Thomas Griesa (84 anni, nominato da Richard Nixon), insieme ad altri due fondi come il suo. Dopo anni di dibattimenti, rinvii, tentativi di mediazione si arriva alla sentenza del 2013 nella quale l’Argentina viene condannata a pagare ai fondi l’intero capitale nominale più gli interessi dei titoli in loro possesso. Sentenza che viene confermata dalla Suprema Corte statunitense due mesi fa. A questo punto, i circa 50 milioni di dollari diventano 832 (+ 1608%). Un affare tondo per il fondo di Singer e una sentenza che crea giurisprudenza in un paese che si basa sul diritto consuetudinario. Una sentenza che dal punto di vista tecnico, crea un precedente pericolosissimo perché rende impossibile ristrutturare un debito in default. Oggi l’Argentina, forse a brevissimo il Porto Rico (Stato libero associato agli USA dell’area dollaro) e poi la Grecia, l’Italia… Dal punto di vista politico, questa vicenda premia i fondi speculativi considerati una delle principali cause della crisi economica nella quale il mondo è precipitato dopo il 2008. Un mercato finanziario deregolamentato, di mani libere per intervenire sull’economia spingendo l‘acceleratore sul rischio e sfruttando le disgrazie altrui. Se c’è una riforma urgente da fare ora è la chiusura del mercato secondario del debito sovrano ai fondi speculativi e soprattutto non emettere più debito sotto la giurisdizione statunitense. Ma come sappiamo, le riforme sono sempre difficili quando anche la politica dipende dalla grande massa di risorse e di mezzi che sposta la speculazione. Paul Singer può essere contento, il suo motto “mettere la massima pressione sulla preda” è funzionato. Ha piegato uno Stato e anche il 93% dei creditori dell’Argentina che avevano accettato le condizioni, rispettate dal paese sudamericano, per riavere indietro almeno una parte dei loro risparmi. Le ripercussioni sociali, economiche, politiche e umane di questo nuovo default al quale spinto l’Argentina non sono un problema di Singer, lui fa parte a pieno titolo di quel famoso 1% dell’umanità.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
domenico.damico
 
Messaggi: 748
Iscritto il: 21/09/2011, 21:45
Località: Padova


Torna a Rassegna Stampa

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 4 ospiti

cron