MENTE, CORPO E DENARO

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MENTE, CORPO E DENARO

Messaggioda domenico.damico » 21/10/2012, 12:12

Ottimo articolo di Walter Siti sulla potenza dello strumento denaro.
Questo articolo è anche il prologo al romanzo dello stesso Siti: "Resistere non serve a niente".


Il corpo delle scimmie
Nell’era della prostituzione percepita, che nulla ha a che fare con il passato, la nudità è pubblica, nulla ormai è meno intimo del sesso e la libertà allude al libero mercato

di Walter Siti

Le scimmie cappuccine sono quelle con la faccia nuda, il manto color frate e il cappuccio bianco; Keith Chen, docente di Economia a Yale, ne ha addestrate sette (quattro femmine e tre maschi) all’uso del denaro. Ha cominciato gettando nelle gabbie dei piccoli dischi di metallo con un foro in mezzo: le scimmie li annusavano, li addentavano e poi li buttavano via. Ma pian piano si sono accorte che fin che avevano i dischi tra le dita venivano rifornite di frutta dai ricercatori, mentre la frutta spariva appena gettavano i dischi.

Così hanno imparato a tenersi i dischi in mano finché non ricevevano la frutta, anzi a scambiare la frutta coi dischi (che da quel momento per loro erano diventati denaro a tutti gli effetti). Chen, a quel punto, ha provato a differenziare i prezzi delle banane e delle mele: tre dischi per una banana, un solo disco per una mela – anche i comportamenti si sono differenziati in conseguenza: chi appena avuto un disco lo scambiava subito con una mela, chi amando le banane preferiva aspettare e accumulare tre dischi. Due diverse categorie di consumatori. Dopo parecchi altri esperimenti altrettanto istruttivi (tipo provocare un improvviso rialzo dei prezzi e poi un inspiegabile ribasso), Chen ha voluto vedere come reagissero le scimmie a una ricchezza inaspettata e ha immesso nella gabbia, di colpo, tantissime monete: tutte le cappuccine si sono affrettate ad arraffare più monete che potevano per fare incetta di frutta. Tutte tranne una, un giovane maschio – che invece, dopo aver ammassato un bel gruzzolo, si è avvicinato a una femmina e traendola in disparte gliel’ha deposto ai piedi. La femmina s’è accoppiata subito col donatore, poi ha raccolto il gruzzoletto e si è avviata anche lei a comprare la frutta. Primo caso sperimentale, tra gli animali, di sesso offerto in cambio di denaro.

Questa parabola etologica, estranea com’è a troppo frettolosi e ingombranti parametri morali, può dimostrarsi un buon punto di partenza; soprattutto perché il comportamento ha avuto luogo in un contesto di abbondanza e non di privazione (la giovane femmina avrebbe potuto procurarsi i dischi di metallo da sola, e comunque nessuno stava soffrendo la fame). Da qualche tempo, assecondando un’indignata spinta a “chiamare le cose col loro nome”, molti hanno insistito che le cosiddette escort non sono altro che prostitute (o troie, o mignotte); le parole hanno un peso, in genere quando una parola nuova si afferma è segno che è accaduto qualcosa di nuovo nella realtà. Come i pendolari stipati sui treni locali sembrano ormai incomparabili per natura ai manager che interrogano i loro iPad sul Frecciarossa, così le prostitute di strada e i loro clienti hanno l’aria di appartenere a una diversa umanità rispetto al variegato e sfumatissimo panorama delle (e degli) escort, o delle offerte ‘love’ e ‘contact’ che pullulano in Rete. A mondi separati, parole separate. Le riflessioni che seguono si riferiranno soltanto al mondo ricco o comunque benestante, perché la miseria e il bisogno (oltre a pretendere pietà e rispetto) introducono troppo rumore di fondo nella già complicata faccenda del corpo e del desiderio.

Nell’universo delle escort, e nella zona di alta gamma della Rete, è davvero il corpo quello che si vende? Molti pensano che sia piuttosto l’immagine, tant’è vero che il medesimo corpo, quando è valorizzato da foto o passerelle o tivù, aumenta di prezzo; e le donne (o gli uomini) che si vendono lo sanno talmente bene che affollano le palestre per migliorare la loro immagine assai più che le loro prestazioni sessuali. Il valore d’uso della merce (l’atto sessuale) è largamente superato dal suo valore di scambio, come icona del lusso e status symbol. E dunque si paga il lavoro che è stato necessario per produrre la merce, compreso il trasporto (vedi il successo di molte escort esotiche, che portano con sé il brivido di lingue e paesi lontani).

Con la pan-sessualizzazione degli ultimi trent’anni, anche il sesso è diventato un mediatore universale esattamente come il denaro; entrambi portano con sé un riflesso d’assoluto – il denaro per l’infinità di cose in cui riesce a trasformarsi (“divinità che congiunge gli impossibili e li costringe a baciarsi”, lo definisce Shakespeare nel “Timone d’Atene”); il sesso perché, sganciato dall’amore, ne ha conservato tuttavia un profumo d’infinito. Molti imprenditori, lo sappiamo, pagano i politici direttamente in russe, o lituane; più che una merce, il corpo diventa moneta – e se diventa esso stesso, come il denaro, l’equivalente generale di molti specifici beni, allora non deve avere caratteristiche troppo individuanti; di qui l’omologazione estetica, ottenuta con la chirurgia o con mezzi più soft come l’abbigliamento e il trucco. Se il corpo diventa moneta, che cosa compra esattamente il cliente quando cerca la compagnia di una escort? Con tot euro, o dollari, compra un altro tipo di moneta che può eventualmente scambiare per ottenere più ambiziosi e immateriali favori. La prostituzione, in questo caso, somiglia a un commercio di valuta.

***
Se il corpo si disincarna così, diventando simbolo di se stesso, il legame con la fisiologia si ottunde e si attenua; le metafore millenarie sul “possedere” si confondono. Nell’esempio delle scimmie cappuccine chi possiede offre ancora denaro a chi è posseduto – ma ormai sono parecchi i casi in cui chi sarà posseduto offre denaro a qualcuno che lo possiederà. Scempiaggini linguistiche, d’accordo, coincidenze a dominante fallocratica; ma coincidenze che dissolvendosi rendono ancora più incerto il tema di che cosa precisamente si compra, di che cosa è tuo dopo l’acquisto. La signora che si paga un escort compra davvero soltanto il piacere dell’atto sessuale, o non anche il piacere di contemplarsi vincente mentre rovescia un luogo comune, servita a puntino da un bell’uomo?

Il gioco di specchi delle proiezioni si allea con la tecnologia nel dilatare lo spazio tra prostituzione reale e prostituzione percepita; se l’immagine è più importante del corpo, la ragazzina che si fotografa seminuda e vende i propri scatti al telefonino dei compagni di scuola, lo capisce o no che sta prostituendosi? E se si riprende con una webcam? Se guadagnare denaro ballando la lap-dance è socialmente e moralmente lecito, farsi toccare da un cliente durante una sessione a porte chiuse di table-dance si configurerà come prostituzione o no? Guardare e non toccare? O solo carezze intime, senza penetrazione? Distinzioni bizantine o gesuitiche: vendere la propria immagine significa svendere l’ideale di sé o realizzare pulsioni segrete? O magari secondo il pensiero selvaggio significa davvero vendere l’anima, forse più di chi si limita a concedere il proprio corpo figurandosi altrove? Accettare soldi da un giornale per incastrare un calciatore facendoci l’amore gratis, è un ruolo da attrice o da prostituta? Una pratica che comincia a diffondersi nelle discoteche, di versare una cifra alla ragazza per “velocizzare il corteggiamento”, senza obbligo di consenso finale, a che punto sta della scala? Pigrizia, orrore della fatica inutile; e se l’immagine di un prodotto di lusso è più glamour dell’immagine di sé, essere parificata a quel prodotto non sarà invece una promozione?

Se davvero ciò che il cliente compra è una sensazione (non si osa dire un sentimento) immateriale, allora non sarà più concreta (e quindi più prostitutiva) la vendita della propria forza-lavoro? Il padrone mercifica il tuo corpo e talvolta lo fa ammalare, mentre come escort sei tu che scientemente ti modifichi e puoi perfino illuderti di esercitare un potere su chi ti paga. Praga o Venezia si prostituiscono nel momento che si imbellettano per compiacere i turisti, tradiscono il loro cuore segreto per agghindarsi di falsi ori e di luci pacchiane. Il corpo come paesaggio o come opera d’arte kitsch; chi lo vende può pensare di stare eventualmente peccando contro il buon gusto, non certo contro la morale. Molte ragazze scherzano autoironiche su come si vestono quando si recano negli hotel per un “cena e dopocena” – nella vita di tutti i giorni, quella che conta, stanno in jeans e maglietta. Sono madri affettuose, figlie che hanno un buon dialogo coi genitori. L’idea non è più quella del marchio infamante che dura una vita, la lettera scarlatta o la Traviata dell’opera lirica: anche la prostituzione è precaria, come tutto. I ricchi e potenti non ti comprano, al massimo ti prendono in leasing finché il rapporto qualità-prezzo gli converrà, e finché il loro desiderio non si rivolgerà altrove. Ma anche le ragazze (o i ragazzi) pensano di vendersi fin che gli conviene: anche il loro non è un vendersi ma un affittarsi (“rent dolls” o “boys” è la dizione americana), in una fluidità di mercato che equipara il corpo a una cedola, a una promessa di valore che se sei abbastanza brava puoi anche moltiplicare senza che qualcuno effettivamente la riscuota. Non più merce e forse nemmeno denaro ma piuttosto un derivato, un future.

“Tu non sei una merce, sei un regalo”: questa la frase consolatoria di molti mediatori; ma alle più intelligenti e risolute la dinamica del dono appare più umiliante del franco ed esplicito contratto commerciale. Nel rimpallo confuso di piaceri sempre più arzigogolati, ce n’è almeno uno che non distingue tra prostituta e cliente ed è la possibilità di esimersi dalle relazioni troppo coinvolgenti – il risparmio di energia emotiva è già un piacere in sé. Il cliente sa che la ragazza se ne andrà via prima di diventare noiosa o importuna, e la ragazza (se è disincantata e un po’ cinica, come succede spesso) troverà una triste pace nel veder confermata ogni volta la sua opinione sulla piccineria e sull’aridità dei maschi. La vera merce che l’escort acquista coi soldi del proprio compenso è in questo caso l’indifferenza; merce preziosa in certi ambienti, utilissima a sopravvivere. Il denaro è un necessario passaggio intermedio per una transazione psicologica più essenziale ed eticamente neutra: “io ti faccio sentire padrone, tu mi fai sentire libera”. Il denaro è ridotto a mezzo servile – molte (e molti) escort scoprono il gusto di prostituirlo, sprecandolo e sottomettendolo allo shopping più scriteriato.
***
La libertà è l’ambiguo concetto su cui tutto si gioca: ci può essere libertà in un rapporto che recita la schiavitù? “Il corpo è mio e io sono libera di farne quello che voglio”; così rivendicano molte ragazze, prendendo a prestito uno slogan delle loro nonne. Prescindendo dalla religione, per cui il corpo è un tempio che deve essere riconsegnato al creatore a tempo debito, la residua dignità del corpo consiste nel suo essere il punto d’incontro tra il biologico e lo psichico, anzi la faccia più visibile di un unico congegno psicosomatico. Ogni atto sessuale è anche un atto psichico e conoscitivo, ma è proprio su questo piano che le cose sono cambiate di più. Sempre più si conosce in orizzontale invece che in verticale, e la psiche si squaderna in un pulviscolo di emozioni irrelate invece che presentarsi come un edificio ordinato e conseguente. All’interno di quel conglomerato complesso che è il corpo, le pulsioni e le censure dimenticano le vecchie gerarchie: concetti come l’interiorità e l’intimità davano al corpo una prospettiva, distinguevano tra prima e dopo, tra fondamentale e accessorio. C’era il sospetto che, sottoposto a carezze mercenarie, il corpo si chiudesse e non fosse più in grado di accogliere le carezze spontanee e gratuite. Questi concetti cominciano a saltare, nulla ormai è meno intimo del sesso, la nudità è pubblica e la spontaneità è considerata una posa. La passione va e viene, non è pietra angolare di nulla. Altri criteri prevalgono, si invertono forma e contenuto: se la bellezza fisica era una forma effimera e la volontà di crearsi una famiglia era un contenuto, ora può accadere che la famiglia sia semplicemente una forma presa in prestito dalla società per legittimare un successo pubblico che ha nello splendore fisico di chi lo ottiene il suo contenuto principale. Più che di “sporcare” il corpo facendolo godere da molti, si teme di castrare le proprie potenzialità non facendo fruttare le proprie doti migliori. La dignità, più che un dialogo interiore con se stessi, si misura con la capacità di affermarsi nel mondo.

L’aspetto che non ho ancora sottolineato, a proposito dell’esperimento di Chen sulle scimmie cappuccine, è che comunque si svolgeva dentro un gabbia: non sappiamo se le scimmie si sarebbero comportate allo stesso modo nel loro habitat naturale, dove avrebbero avuto molte altre cose da fare e non si sarebbero annoiate come presumibilmente si annoiavano a Yale. La libertà a cui le ragazze alludono citando il famoso slogan femminista è quella del libero mercato: libertà di movimento e di azione all’interno di regole rigidamente, impersonalmente fissate e ormai indiscutibili. Le escort gestiscono il loro capitale con la stessa flessibilità con cui la finanza gestisce gli azzardi e le insicurezze, e non si percepiscono come prostitute esattamente come i maghi della finanza non si percepiscono come truffatori pur evitando i controlli e mettendo in circolazione prodotti dal contenuto non limpido. Non è un caso se alcune (e alcuni) escort, parlando del proprio corpo, dicono “lui”: quel che è cambiato, dall’epoca del femminismo storico, è che il corpo non è più un bene intimo da difendere contro repressioni ed espropri patriarcali ma un prodotto ad alto valore estetico da scambiare prima che deperisca, e di cui è meglio non sapere l’esatta composizione per non farsi troppi problemi. L’unica opzione non moralistica pare quella di rispondere al libero mercato della finanza col libero mercato delle idee: sfruttando l’occasione globale di poter confrontare simultaneamente molte tradizioni che nel tempo hanno dato del corpo, e della prostituzione stessa, molte diverse (e talvolta sorprendenti) declinazioni.


Fonte: http://www.ilfoglio.it/soloqui/9047


COMMENTO:

La parte finale dell'articolo coglie l'aspetto più importante di tutta la questione analizzata: la gabbia e i comportamenti che essa induce.
Le domande che nascono sono tante, la prima è la più ovvia: come si comporterebbe l'essere umano in un contesto diverso dalla "gabbia del debito"?

Quello che manca è la capacità di immaginare un futuro diverso, un mondo possibile, un mondo privo di gabbie.
Per questo qualsiasi ipotesi riformistica che non includa la totale rivoluzione dello strumento monetario rimane un esercizio di stile:
perché la nostra gabbia è proprio fatta di quel debito, e sono le regole che il debito stesso ci impone.
Solo sciogliendo le catene del debito si aprirebbero le porte della gabbia.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
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Re: MENTE, CORPO E DENARO

Messaggioda domenico.damico » 05/09/2013, 15:09

Evidenze scientifiche che contraddicono la base del pensiero economico liberista,
cioè quello dell'individuo che naturalmente fa scelte economiche razionali.

Perché siamo irrazionali con i nostri soldi
Le difficoltà a valutare rischi e benefici

La perdita di una somma, quale che sia, pesa nella nostra mente, soggettivamente, assai più della vincita della stessa somma

Fonte: http://www.corriere.it/salute/neuroscie ... 9b2b.shtml

Per meglio comprendere l'importanza e l'originalità di un lavoro scientifico pubblicato ieri sul prestigioso The Journal of Neuroscience da otto neuroscienziati cognitivi dell'Università San Raffaele di Milano, occorre fare qualche passo indietro. È ovvio che contabili, ragionieri, commercialisti e amministratori sempre calcolano il risultato finale di guadagni e perdite mediante somme e sottrazioni. Un introito di 10 e una perdita, o spesa, di 2, rappresentano un guadagno netto di 8. Le cose, però, non vanno così nella nostra testa. Innumerevoli esperimenti di laboratorio e una robusta teoria, chiamata «teoria del prospetto», che è valsa allo psicologo cognitivo Daniel Kahneman il premio Nobel per l'economia nel 2002, confermano che la perdita di una somma, quale che sia, pesa nella nostra mente, soggettivamente, assai più della vincita di quella stessa somma.

Poniamo che al mattino ci si sia accorti di aver perso, non si sa come, 100 euro. Il nostro stato psicologico di sconforto non verrà veramente cancellato anche se poi, nel pomeriggio, ci cadono dal cielo 100 euro inaspettati. Per la maggioranza di noi, la bilancia soggettiva torna all'equilibrio, cioè ritroviamo la serenità economica, per questa particolare vicenda, solo se la somma piovuta dal cielo è tra 225 e 250 euro. In circa 35 anni di ricerche nelle scienze cognitive applicate all'economia, questo dato, cioè un'asimmetria di un fattore tra 2,25 e 2,50 tra guadagni e perdite, è tra i più consolidati. Il fenomeno psicologico va sotto il nome di «avversione alle perdite» ( loss aversion ). Si noti, nessuno psicologo, nemmeno un premio Nobel, sarebbe autorizzato a criticarci per il fatto che perdere denaro «fa male» e che vincere denaro, invece, «fa bene». L'intoppo, cioè l'irrazionalità economica, si manifesta nella nostra tendenza a rifiutare una scommessa nella quale c'è il 50% di probabilità di perdere 10 e il 50% di guadagnare 15 o 18 o perfino 20. Eppure così siamo fatti.

Le dinamiche dei mercati internazionali di investimenti, ritorni e aspettative mostrano molti comportamenti poco razionali. Non è un caso, quindi, che la ricerca del San Raffaele sulle basi cerebrali dell'avversione alle perdite ha avuto il supporto finanziario della Schroders, il più grande gruppo al mondo di fondi di investimento e risparmio gestito, con sede nella City di Londra. Da alcuni anni si è cominciato, infatti, a sondare i processi cerebrali fondamentali che sorreggono e producono le scelte (o le non-scelte) economiche. Spiega uno dei principali autori del lavoro, Matteo Motterlini, fondatore e direttore del Centro di ricerche Cresa di psico-economia al San Raffaele: «Il nostro cervello non traffica con guadagni-perdite allo stesso modo. Li tratta come fenomeni distinti. Non è «progettato» per fare quello che vuole la teoria economica neoclassica, cioè soppesare razionalmente la combinazione di probabilità, in particolare di rischio, e rendimenti attesi. Il cervello non fa naturalmente tale tipo di operazione, ma tratta il rendimento come anticipazione di guadagno - il centro cerebrale responsabile è il nucleo accumbens -; e elabora il rischio con altre aree, tipicamente aree della corteccia frontale e l'incertezza con l'insula».

In ogni processo psicologico legato al timore, o addirittura alla paura, spicca come protagonista un'area cerebrale molto antica chiamata amigdala. La ritroviamo molto attiva, ora, anche nell'avversione alle perdite. Recentemente un neuropsicologo italiano emigrato prima al California Institute of Technology e poi all'University College a Londra, Benedetto de Martino, ha esaminato due soggetti che avevano subito una lesione focale, simmetrica e bilaterale all'amigdala. Tali pazienti fanno scelte economiche diverse da voi e me. Uno di questi era incline a mosse economicamente rischiose, mostrando un tipo inverso di irrazionalità. Il primo autore dell'articolo, Nicola Canessa, ricercatore al Centro di Neuroscienze cognitive del San Raffaele, spiega il coinvolgimento dell'amigdala registrato nei (sanissimi) soggetti sperimentali: «Il sistema dopaminergico si attiva per anticipare i guadagni e si deattiva per anticipare le perdite, mentre un sistema "emotivo e somatosensoriale" centrato sull'amigdala si attiva per le perdite e si deattiva per i guadagni. A parità di somma in gioco, le risposte associate alle perdite sono più intense di quelle associate alle vincite, e la forza di questa asimmetria, che varia da persona a persona, riflette la propensione individuale all'avversione alle perdite. Ma quest'ultima è anche correlata al volume di materia grigia nell'amigdala.

Le differenze individuali nella dimensione dell'amigdala, invisibili a occhio nudo, emergono con le analisi assai sofisticate che abbiamo condotto». Canessa illustra anche la storia evolutiva di questo organello cerebrale, simile a una mandorla: «L'amigdala è una struttura cerebrale profonda, essenziale per le capacità di apprendere i pericoli intorno a noi, riconoscerli e preparare l'organismo a una risposta, ad esempio "combatti o scappa". Oggi sappiamo che l'amigdala riconosce anche i possibili pericoli insiti nelle nostre stesse azioni, e che la sua attivazione ci spinge, più spesso di quanto sarebbe razionale, ad evitare di agire. Questo "freno" al comportamento ci può salvare la vita, ma se non è a sua volta tenuto sotto controllo ci impedisce di cogliere le opportunità offerte dall'ambiente».
Negli esperimenti i soggetti, tutti volontari, venivano posizionati nell'apparato di risonanza magnetica funzionale ed erano liberi di accettare o rifiutare, una dopo l'altra, numerose lotterie simili a un «testa o croce».

Quelle accettate avrebbero portato a vincere o a perdere, con probabilità 50%, somme di denaro. Poiché queste somme variavano tra le diverse lotterie, le scelte dei soggetti hanno consentito di stimare un indice individuale di «avversione alle perdite» che rivela quanto ciascuno, nel prendere decisioni, sovrastima il peso delle possibili conseguenze negative rispetto a quelle positive. Questo indice è stato messo in relazione all'intensità dell'attività cerebrale «anticipatoria» durante la scelta e al volume di materia grigia nelle singole regioni cerebrali, in particolare quelle cruciali per le emozioni, come l'amigdala. In altre parole, si sono misurate le differenze individuali nell'avversione alle perdite e nella stima (direi piuttosto il timore) del rischio. Motterlini è lapidario: «I presupposti dell'economia della razionalità sono neurobiologicamente falsi o irrealistici. Possiamo imparare a essere razionali nelle scelte economiche, ma non lo siamo naturalmente, quando si attivano i processi automatici e in larga parte inconsci. Ciò non può non avere conseguenze su come progettiamo interventi di politica economica e sulle nostre istituzioni finanziarie».

L'autore senior del gruppo, il neurologo clinico e neuroscienziato cognitivo Stefano Cappa, sottolinea: «Il nostro studio mette su basi solide la ricerca sulle differenze individuali. Il futuro è la comprensione dei fattori genetici, epigenetici e dell'apprendimento nel modulare i profili di attivazione e la macro e micro anatomia e le loro conseguenze su scelte e comportamenti: il tutto con misure obiettive». Per concludere, un piccolo consiglio: se vi offrono una scommessa in cui si perde 10 ma si vince anche solo 11 o 12 con la stessa probabilità, mettete a tacere la vostra amigdala e accettate.

Fonte: http://www.corriere.it/salute/neuroscie ... 9b2b.shtml
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
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EPIGENETICA E BIOPOLITICA

Messaggioda domenico.damico » 15/05/2014, 9:15

Profondo articolo sul rapporto tra potere, moltitudine, malattie, genetica.
Metteteci la matrice del debito, e tutto risulta coerente.

Fonte: http://www.euronomade.info/?p=2153

Epigenetica e biopolitica di Carlo Romagnoli
Allegati
Epigenetica_e_biopolitica.pdf
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