Banche

Questa sezione accoglie discussioni e segnalazioni su articoli usciti dai vari mezzi di informazione

Banche

Messaggioda Lorenzo Lenzi » 09/12/2011, 11:25


L'Eba: alle banche servono 115 miliardi
Aumentare il patrimonio entro giugno
L'Autorità bancaria europea aggrava le misure di due mesi fa. Bankitalia rassicura: "Le banche italiane possono resistere a forti shock". Ma l'Abi scrive una lettera a Londra criticando i metodi usati. A Unicredit, Mps, Banco popolare e Ubi servono piani di rafforzamento da 15,4 miliardi entro il 20 gennaio

MILANO - L'Autorità bancaria europea non arretra di un millimetro rispetto alle polemiche, anzi rincara la dose. Dopo le stime preliminari di fine ottobre, l'Eba ha analizzato i conti e le consistenze delle prime 71 banche europee e ha innalzato a 114,7 miliardi di euro il fabbisogno di capitale da trovare entro giugno. Si tratta dell'8% in più rispetto alla precedente richiesta, quando era stato introdotto il concetto di "cuscinetto temporaneo" per gli istituti chiedendo loro, a fronte della turbolenza finanziaria in atto, di aumentare il patrimonio Core tier 1 al 9%.

Secondo i dati ufficiali e definitivi, alle grandi banche tedesche mancano 13,1 miliardi (in crescita dai 4,4 miliardi precedenti), a quelle spagnole 26,2 miliardi (dato stabile), alle francesi 7,3 miliardi (in calo da 8,8 miliardi), alle italiane 15,36 miliardi, contro 14,77 miliardi di un mese e mezzo fa. Nel dettaglio, l'esigenza di capitale supplementare per Unicredit sale da 7,38 a 7,97 miliardi, per Mps da 3,09 a 3,26 miliardi, per Banco popolare cala da 2,81 a 2,73 miliardi, per Ubi 1,48 a 1,39 miliardi. Tutti gli istituti hanno tempo fino al 20 gennaio per presentare i piani di rafforzamento patrimoniale.

Bankitalia, che pure aveva votato il pacchetto di rafforzamento dell'Eba, ha cercato di smorzare le polemiche. Così una nota della Banca d'Italia: "La particolare attenzione della vigilanza deve rassicurare sull'effettiva capacità del nostro sistema bancario di resistere a shock particolarmente sfavorevoli. La Banca d'Italia, insieme all'Eba, esaminerà i piani aziendali per ricapitalizzare, con lo scopo specifico che essi non pregiudichino la capacità delle banche di finanziare le economie nell'attuale fase congiunturale. Alcune misure per il rafforzamento dei coefficienti patrimoniali sono già a uno stadio avanzato".

Meno armoniosa la posizione dell'Abi, che rappresenta le banche italiane e che ha scritto una lettera all'autorità di Londra per contestare la difformità dei criteri di valutazione per esaminare il grado di rischio dei singoli istituti di credito europei. Anche le banche italiane hanno, nei loro comunicati stampa, criticato le decisioni dell'Eba, pur annunciando, "con ogni riserva", che adotteranno tutte le misure, tra aumenti di capitale, dismissioni, conversioni di bond e altro, per farsi trovare pronti all'appuntamento di giugno. Ma la strada è in salita, perchè le ripercussioni sui già martoriati titoli bancari saranno immediate, e c'è anche il rischio - anzi, è già una certezza che sta nei dati di impiego - di una riduzione del credito a imprese e famiglie.
(08 dicembre 2011)
Fonte: http://www.repubblica.it/economia/finan ... -26298349/
Lorenzo Lenzi
 
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Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 16/12/2011, 8:44

fonte: sole24ore Draghi: abbiamo un piano per rafforzare i capitali delle banche. Le tensioni sui mercati frenano l'economia

L'affare a 2 tra banche centrali e sistema bancario
Draghi: abbiamo un piano per rafforzare i capitali delle banche. Le tensioni sui mercati frenano l'economia
15 dicembre 2011

Un piano per rafforzare i capitali delle banche: ne ha parlato il presidente della Bce, Mario Draghi, a Berlino sostenendo che al momento c'è «una pressione molto forte sulle banche per mancanza di capitali e fondi». Il piano passa per l'aumento di capitale, la vendita degli asset e la riduzione dei prestiti.

Draghi invita le autorità competenti ad evitare che il previsto rafforzamento dei requisiti di capitale del settore bancario porti a un credit crunch. «Le banche dell'area euro - ha detto Draghi da Berlino - sono recentemente sotto pressione sia riguardo alla loro base di capitale sia per quanto riguarda la loro capacità di finanziamento». E aggiunge: «Il piano per rafforzare la loro base di capitale è un tentativo di rafforzare la loro permanenza sui mercati finanziari, ma non è un processo semplice». A suo avviso gli azionisti non sono sempre ricettivi riguardo all'aumento del livello di capitale, ma ritiene le altre opzioni peggiori per l'economia. «Vendere attività è meno preferibile e ridurre il credito all'economia è ancora peggio. Le autorità pubbliche - spiega Draghi - devono attenuare l'impatto sull'economia reale e le banche devono considerare una riduzione dei dividendi e compensazioni ad hoc per rafforzare i cuscinetti».

Gli acquisti di titoli da parte della Bce non sono «eterni o infiniti», ha poi ribadito il presidente della Bce che ha inoltre definito le agenzie di rating solo «un input addizionale tra altri» e per questo motivo bisogna evitare di agire subito dopo una loro reazione. La strada da intraprendere per uscire dalla crisi - ha aggiunto - è quella di riforme strutturali «procrastinate per troppo tempo dai Paesi europei».

L'intensificazione delle tensioni dei mercati sta frenando l'attività economica dell'area euro, ha ribadito il presidente della Banca centrale europea. Le prospettive economiche dell'Unione valutaria restano soggette a «elevata incertezza», ha aggiunto, secondo quanto riporta un trascritto dell'intervento pubblicato dalla Bce, e a rischi che puntano verso il rallentamento. In questo quadro le dinamiche di costi e salari dovrebbero mantenersi moderate.

«Non penso che il quantitative easing porti a performance stellari dell'economia e non vedo indicazioni che questa politica stia producendo grandi risultati per le economie degli Stati Uniti o dell'Inghilterra». ha detto Draghi che ha colto l'occasione per ribadire nuovamente come gli attuali trattati dell'Unione Europea vietino il finanziamento monetario dei debiti sovrani. «I governi - ha aggiunto - devono annunciare immediatamente passi chiari nel cammino verso il consolidamento fiscale». Se tutti gli stati consolideranno i loro bilanci, ha concluso, allora «la contrazione sarà di breve durata».
...se vuoi ottenere qualcosa di diverso devi cominciare ad agire diversamente.
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Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 16/12/2011, 8:54

interessante questo precedente articolo di Krugman

fonte: sole24ore Lo scandalo non è che lo Stato abbia salvato le banche ma che non abbia fatto lo stesso per la gente

di chi sono il baluardo le Banche Centrali? chi-lo-sa?!
Lo scandalo non è che lo Stato abbia salvato le banche ma che non abbia fatto lo stesso per la gente
di Paul Krugman 9 dicembre 2011

Matt Yglesias e Kevin Drum hanno ragione quando dicono, a proposito delle rivelazioni sulle condizioni estremamente favorevoli riservate alle grandi banche in occasione della crisi finanziaria del 2008, che il vero scandalo non è tanto che lo Stato sia intervenuto in soccorso di quelle banche, quanto il fatto che non abbia fatto altrettanto per il resto della popolazione.

Recentemente, in un articolo sulla rivista online Slate intitolato «La generosità della Fed ha regalato 13 miliardi di dollari alle più grandi banche d'America», Yglesias scrive: «Che la Banca centrale stesse erogando prestiti di emergenza su ampia scala alle banche, in una forma o nell'altra, e che alcune persone non vedessero affatto di buon occhio questi prestiti, giudicati un turpe bailout fatto per consentire alle banche di rimanere sul mercato, è sempre stato chiaro. Ma quello che sta venendo fuori inequivocabilmente ora è che questi prestiti sono avvenuti a tassi tutt'altro che punitivi: le banche hanno ricevuto liquidità a prezzi scontatissimi e questo ha consentito loro di realizzare profitti finalizzati a risolvere, almeno parzialmente, grossi problemi di solvibilità».

Drum, editorialista di un'altra rivista, Mother Jones, ha scritto il 28 novembre che è d'accordo con le osservazioni di Yglesias e che «i grandi crac finanziari producono sempre ingiustizie intrinseche. Per qualche ragione, però, abbiamo chiuso un occhio su queste ingiustizie quando è stata Wall Street che è venuta a mendicare soldi, mentre sono diventate un'ossessione quando alla porta si è presentato il resto della popolazione».

Non c'è dubbio, la Federal Reserve e il dipartimento del Tesoro avrebbero dovuto imporre condizioni più severe, e penso che la situazione politica oggi sarebbe ben diversa (in meglio) se l'amministrazione Obama avesse messo in amministrazione controllata almeno una delle grandi banche. Ma con la crisi era necessario che il denaro circolasse liberamente, e la verità è che i regali ricevuti dai banchieri danno fastidio moralmente, ma non sono una causa dei problemi attuali.

La cosa imperdonabile è il fatto che le autorità (la Fed ma non solo) abbiano sostanzialmente proclamato che la missione era compiuta non appena il panico sui mercati finanziari si è allentato e le Borse hanno ricominciato a salire. A primavera ricorrerà il terzo anniversario di una dichiarazione di Ben Bernanke, il presidente della Fed, sui «germogli» della ripresa che cominciavano a intravedersi (nonostante ci fossero ancora 4 milioni di americani senza lavoro da più di un anno). Ma nessuno sembra aver avvertito l'urgenza di risolvere il problema della disoccupazione: al contrario, la classe dirigente ha passato il tempo a parlare di cose come la necessità di ridurre i trattamenti pensionistici tra dieci o vent'anni.

Come dice Drum, è questo che ha scatenato la radicalizzazione.
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Re: Banche

Messaggioda domenico.damico » 16/12/2011, 12:13

Krugman ha un blog che credo curi personalmente e nel quale si possono inserire dei commenti ai (suoi) post.

http://krugman.blogs.nytimes.com/
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Il paradosso dei prestiti gratis

Messaggioda domenico.damico » 28/12/2011, 12:38


Il paradosso dei prestiti gratis
di Franco Debenedetti
28 dicembre 2011

L'inizio sembrava un pranzo gratis, la fine potrebbe essere un imprevisto paradosso. Pranzo gratis quello delle banche che prendono a prestito dalla Bce liquidità al tasso dell'1%, comperano titoli di Stato al 6% che dànno come collateral alla Bce, lucrando la differenza di rendimento.

C'è moral hazard, né può essere diversamente: i titoli restano sui bilanci della banca, e quindi anche il rischio di default; ma, come osserva il Financial Times, le grandi banche di un Paese che fa default falliscono comunque. In ogni caso, la European Banking Authority, diversamente dalla Bce che calcola al valore nominale i titoli dati come collateral, ha deciso che i regolatori nazionali chiedano alle banche di costituire un cuscinetto a copertura del minor valore dei titoli di debito pubblico, e nello stress test in corso e in quello previsto per l'autunno vàluta a fair value il debito sovrano all'attivo delle banche: fine del pasto gratis.

Le banche piccole non dovrebbero avere problemi a usufruire della liquidità per fare maggiori prestiti a famiglie e imprese: hanno mediamente buoni rapporti capitale/impieghi, possono offrire alla Bce come collateral attivi prima esclusi, sono poco investite in debito pubblico e comunque non devono sottostare agli stress test.

Invece la maggior parte delle grandi banche dovrebbero comunque aumentare il proprio capitale; avendo molto debito sovrano nel loro attivo, dovranno ulteriormente aumentarlo per effetto dei nuovi criteri dell'Eba. La liquidità della Bce consentirebbe operazioni allettanti, ma non senza rischi: ad esempio le banche lucrerebbero un grosso guadagno ricomprando le proprie obbligazioni in circolazione, che oggi quotano molto sotto il valore nominale; sempre che fra tre anni, quando dovranno restituire il prestito alla Bce, il mercato sia liquido.

I tassi dei bond decennali di Stati Uniti, Regno Unito, Germania sono intorno al 2%, e quelli del Giappone sono addirittura all'1%: il rischio che i mercati valutano è la deflazione. Quelli di Italia e Spagna sono intorno al 6%: il rischio che i mercati valutano è il default. Eppure i dati di finanza pubblica non sono così diversi: il Giappone ha un debito pubblico più alto dell'Italia, il deficit del Regno Unito è un multiplo del nostro. Ma gli speculatori, cioè i mercati, non si sognano di scommettere sul default di quei Paesi: perché ognuno di essi ha una banca centrale che se necessario potrebbe stampare dollari o sterline o yen necessari ad evitarlo. La situazione dei Paesi dell'Eurozona è invece simile a quella dei Paesi che si finanziano in una valuta straniera: se i capitali stranieri si ritirano (come nei paesi asiatici nel 1997/98), se la loro valuta si svaluta rispetto al dollaro (come l'Argentina nel 2001), non possono contare su una Fed che presti i dollari necessari per far fronte ai propri impegni. I Paesi dell'euro, se il mercato chiede interessi elevati per comperare il loro debito, non possono contare sulla Bce: questa per statuto non può essere prestatore di ultima istanza, i Paesi fondatori dell'euro hanno voluto la politica monetaria del tutto indipendente da quella di bilancio.

Si può immaginare anche un esito paradossale. Il debito pubblico del proprio Paese è sovrarappresentato negli attivi di tutte le grandi banche: se c'è scarto tra valore di acquisto e valore di mercato dei nostri BoT, le nostre banche soffriranno di più, ma quelle straniere cercheranno di disfarsene. Se nessun operatore straniero si presentasse alle aste del Tesoro, sarebbe irresistibile la pressione sulle banche italiane perché sottoscrivano. Progressivamente tutto il nostro debito pubblico, oggi per quasi metà in mano straniera, finirebbe per essere detenuto da cittadini italiani, come in Giappone. A quel punto, le banche italiane non potrebbero sottrarsi alla moral suasion di sottoscrivere a tassi "ragionevoli".

La nostra capacità negoziale con i partner europei andrebbe a picco: ma crollerebbe pure il pilastro su cui è costruito l'euro. Doveva essere la moneta di un'area di libera circolazione dei capitali, difesa da una banca centrale rigorosamente indipendente dal potere politico; si finirebbe in un mercato finanziario frammentato in mercati nazionali, con banche obbedienti alla volontà dei Governi. Per non avere un Lender of Last Resort europeo indipendente, si potrebbe finire con tanti piccoli lender nazionali obbedienti.


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AaOvYVYE

Importante questo articolo, perché sottolinea come in realtà la scappatoia per agire in altro modo ci sarebbe, ma non viene praticata per precisa volontà politica, anche se non evidenzia il fatto che sarebbe comunque il Govreno ad andare dai banchieri con il cappello in mano; questi ultimi avrebbero - nel caso ipotizzato nell'articolo - meno libertà di decisione politica in merito alla gestione del credito, ma lo farebbero per salvare il LORO PAESE ( un fantasma giuridico può avere mai un Paese di appartenenza?).
Il paradosso è proprio qui: la banca commerciale riesce a svincolarsi da questo potenziale cul de sac attraverso la pressione lobbistica esercitata facendo cartello con le consorelle, facendo pressione istituzionale con la BCE, inserendo "propri" uomini all'interno delle istituzioni.
E' l'ideologia del debito che impedisce che si crei la situazione prospettata nell'articolo, che in questo senso pecca d'ingenuità: il salto quantico è stato fatto e non si torna indietro, a meno di imprevedibili risvolti politici di qualche singolo Paese.
Per inciso: farebbe felici quelli della Modern Money Theory questa scappatoia, ma comunque non risolverebbe il punto centrale:
il fatto che la moneta dovrebbe nascere libera dal debito e gestita come una istituzione al servizio della comunità.
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I grandi azionisti «blindano» l'Lme

Messaggioda Lorenzo Lenzi » 05/01/2012, 11:13

I grandi azionisti «blindano» l'Lme
LONDRA. Dal nostro corrispondente
Non si può ancora parlare di grandi manovre, ma qualcosa si muove attorno al London metal exchange, storica borsa britannica che in settembre ha svelato d'essere al centro di molti interessi. Si muovono le banche che sono clienti e proprietari del listino controllando il 75% delle azioni di tipo A. In altre parole senza il consenso di buone parte di loro la cessione di un pezzo di storia della finanza anglosassone sarà molto difficile.
Nei mesi scorsi l'Lme aveva annunciato che almeno 10 gruppi avevano manifestato generico interesse per rilevare un exchange che potrebbe costare un miliardo di sterline. Fra essi spiccano i nomi del Cme group, il colosso di future e derivati con sede a Chicago, Intercontinental exchange che scambia prevalentemente future e prodotti Otc in energia e materie prime e il Singapore Exchange. Le banche che controllano Lme temono che i potenziali compratori finiscano per importare regole rigide e penalizzanti per il lucroso business che il boom delle materie prime ha generato.
La Fed e le autorità di controllo europee stanno mettendo a punto norme che rendono più stringenti e meno remunerative le operazioni connesse al trading di metalli, mentre la britannica Financial service authority ha mantenuto, fino ad ora, un approccio molto più morbido. E questo le banche vorrebbero preservarlo. Così, secondo i rumors della City, stanno pensando di alzare le barricate contro il rischio di limitazioni nel trading di contratti sui metalli e soprattutto sullo scambio di quantità reale, fisiche, di alluminio e oro, rame e argento. Le sole operazioni di deposito di metalli garantisce alle banche utili molto significativi. Tanto importanti da aver convinto Goldmand Sachs e Jp Morgan a moltiplicare gli investimenti nei settore. Jp Morgan è andata anche più in là diventando il maggior azionista di Lme con l'acquisizione della quota del 4,7% che faceva capo al broker MF Global.
Una minoranza di blocco appena sopra il 25% delle azioni di tipo A basterebbe a far fallire scalate indesiderate, secondo molti analisti della City. Goldman e Jp Morgan hanno insieme poco meno del 20% e in linea di massima non dovrebbero aver grandi difficoltà a mettere insieme altri partner per mandare in fumo progetti di takeover. Le banche per ora evitano di commentare ma operatori del settore ritengono che «qualsiasi cosa capace di alterare il modello di business negli aspetti di fondo sarà inaccettabile per gli istituti di credito.
Resta solo da capire per quanti istituti e soprattutto restano da vedere le offerte. Se saranno davvero più consistenti del previsto la difesa inalberata dalle banche potrebbe entrare in crisi.

Fonte: Leonardo Maisano - Il Sole 24 Ore - http://24o.it/PPnwt
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Re: Banche

Messaggioda Lorenzo Lenzi » 08/01/2012, 11:29

Intesa Sanpaolo ha paura del “crac” dell’Ungheria
Intesa Sanpaolo a Piazza Affari sta cedendo il 5% nella seduta odierna. La causa del forte calo è da individuare nella debolezza del settore bancario italiano, innescata dal tracollo di Unicredit che, anche oggi, sta pagando i dettagli dell’aumento di capitale diffusi ieri.
INTESA SANPAOLO IN UNGHERIA – Intesa Sanpaolo paga però anche la sua esposizione in Ungheria dove la seconda banca italiana controlla CIB Bank, istituto nato dalla fusione di CIB (Comit, poi Intesa) e Inter-Euròpa Bank (Sanpaolo). Cib Bank è la seconda banca dell’Ungheria e ha una rete di sportelli diffusa su tutto il territorio.

Fonte:http://www.investireoggi.it/news/intesa-sanpaolo-ha-paura-del-crac-dellungheria/
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Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 09/02/2012, 10:21

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-02-08/bankitalia-frenata-prestiti-dicembre-113707.shtml?uuid=AaEUChoE

tassi che scendono, ma solo per le banche
Bankitalia: frenata dei prestiti a dicembre, volano i tassi8 febbraio 2012

Brusca frenata dei prestiti, tassi di interesse in forte rialzo e sofferenze stabili. E' quanto emerge dall'analisi mensile dei principali indicatori bancari effettuata dalla Banca d'Italia. Nel dicembre 2011, infatti, i prestiti al settore privato hanno registrato un aumento del 2,3% contro il 3,5% di novembre. Il rallentamento ha colpito sia le società non finanziarie (2,6% dal 4,4%) sia le famiglie (3,4% dal 3,9%) che vedono il denaro scarseggiare e il suo costo aumentare.

Infatti, i tassi d'interesse sui prestiti alle imprese sono saliti al 4,18% dal 3,86 di novembre, quelli sui mutui per l'acquisto di abitazioni comprensivi delle spese accessorie sono balzati al 4,26% dal 3,98% di novembre ( un anno prima erano al 3,18%) e quelli sul credito al consumo al 9,11% dal 9,07% del mese precedente. Sostanzialmente stabili le sofferenze bancarie che passano al 22,2% dal 22,1% di novembre.

Sul versante della raccolta, ll tasso di crescita annuale dei depositi del settore privato é risultato ancora negativo (-0,5%), anche se in lieve miglioramento rispetto a novembre (-0,7%), mentre la raccolta obbligazionaria é salita al 12,8% dal 6,5% del mese precedente, anche per effetto delle emissioni obbligazionarie con garanzia statale emesse ai sensi del Decreto Legge "salva-Italia".

Infine, i tassi di interesse sui nuovi depositi con scadenza prestabilita sono aumentati al 2,88% dal 2,62% di novembre. I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono cresciuti all'1,08% dall'1,05% del mese precedente.
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Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 15/02/2012, 14:06

fonte http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-02-13/allarme-credit-crunch-25mila-213553.shtml?uuid=AaBqKQrE

la banca campa, imprese e famiglie mica tanto
Allarme credit crunch: 25mila Pmi a rischio
di Paolo Bricco, 14 febbraio 2012

Quest'anno, secondo il Centro Europa Ricerche, ci saranno duecento miliardi di impieghi in meno. E, nella stima di Prometeia, 25mila imprese falliranno finendo tecnicamente in default e bruciando 625mila posti di lavoro.

Una prospettiva drammatica, che è il risultato di una tensione crescente nel rapporto fra banca e impresa, sintetizzata dal peggioramento riscontrato negli ultimi due anni dall'Istat che ha fissato nel 12% la quota di imprese che non ha ottenuto credito dalle banche, mentre il 33% ha visto diventare più onerose le condizioni.

«Io non so nemmeno con quanti zeri si scrive 500 miliardi di euro - dice un imprenditore piemontese ("niente nomi, ho già abbastanza problemi") - so solo che, a me, non è arrivato un centesimo dei finanziamenti della Bce agli istituti italiani. Prima la banca mi ha dato l'ok per l'acquisto di un nuovo macchinario da due milioni di euro, poi mi ha triplicato lo spread. Alla fine ho dovuto ricapitalizzare l'azienda».

Poco importa se sono 116 e non 500 i miliardi che Francoforte ha prestato, al tasso dell'1%, ai nostri istituti di credito. «Il credit crunch - osserva Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma - produce un avvitamento finanziario che danneggia la fisiologia interna delle Pmi, minandone la residua base patrimoniale».

Allo sportello, però, non si è ancora visto nulla. «È plausibile - spiega il capoeconomista del Cer, Stefano Fantacone - uno scenario da vero credit crunch, con un doppio shock sia sulla quantità di credito erogata sia sui tassi praticati». Nella simulazione del Cer, che è basata su una ipotesi di flessione complessiva nel 2012 del 5% e di una ulteriore riduzione di un punto e mezzo nel 2013, l'andamento degli impieghi esprime una dinamica violenta: ad aprile andrà per la prima volta sotto zero, a luglio precipiterà a -5%, a ottobre a -9% fino a sprofondare, a dicembre, a -11 per cento.

Al di là delle ragioni di fondo di questi avvitamenti, tutti si stanno accorgendo del rapido peggioramento del clima. L'"ultraprudenza" trasformata in condizione strutturale e permanente appare un elemento sistemico. «Ormai - racconta Massimo Pelizza, direttore finanziario della Socotec - la parola d'ordine è: nessun rischio. Non ho avuto problemi con la banca, ma con il consorzio di garanzia fidi». Il caso della sua azienda di famiglia, che si trova a Lentate sul Seveso ed è specializzata in impianti elettrici e meccanici per ospedali pubblici, rappresenta bene il contagio. Una sfiducia trasversale che orienta i comportamenti di tutti: i funzionari di banca, ma anche gli impiegati dei confidi. «Il 3 agosto abbiamo trasformato la nostra srl in spa - dice l'imprenditore - facendo un aumento di capitale da 1,2 milioni di euro. Soldi di famiglia, buoni per sostenere una crescita che, dai 4,4 milioni di euro di fatturato del 2008, arriverà quest'anno a 23,5 milioni. In estate succede il finimondo. Io sono tranquillo. Abbiamo appena messo quasi due miliardi e mezzo delle vecchie lire nella società. Vado a chiedere un affidamento da 400mila euro. La banca dice di sì, il confidi dice di no, la banca fa un passo indietro».

Dunque, per ragioni di sistema, escono sempre meno gocce da tutti i rubinetti del credito. C'è poca acqua (la liquidità bancaria). Ma anche il cavallo (il sistema industriale) non beve, in un intorpidimento anoressizzante che ha nel razionamento del credito uno degli elementi principali, anche se non l'unico. «Secondo le nostre stime - dice Alessandra Lanza, capoeconomista di Prometeia - quest'anno 25mila società di capitale, non finanziarie, finiranno in default. È chiaro che questi fallimenti saranno dovuti al combinato disposto del razionamento del credito e di una crisi generale dei mercati che mette sotto pressione tutto il nostro manifatturiero».

Ogni società di capitale italiana ha 25 addetti (media calcolata dal Ceris Cnr): dunque, a causa della crisi finanziaria originata dalla recessione sui mercati e dal credit crunch, si può stimare che quest'anno si ritroveranno senza lavoro 625mila italiani. Un fenomeno profondo, dunque. Qualcosa in grado di mutare il paesaggio industriale e di condizionare gli equilibri sociali del nostro Paese. Per il Cer un razionamento del credito di questa portata avrà effetti sui consumi (mezzo punto in meno quest'anno e un punto in meno l'anno prossimo) e sul Pil (circa un punto in meno all'anno, per due anni). Le importazioni caleranno del 4,9% e le esportazioni resteranno inchiodate a un irrilevante +0,1 per cento. E gli investimenti lordi delle aziende scenderanno dell'11,3 per cento. «Così - osserva Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo economisti di impresa - il processo di selezione virtuosa innescatosi con l'ingresso nell'euro nel sistema industriale italiano rischia di arrestarsi».
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Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 23/02/2012, 8:21

fonte http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-02-22/troppo-grandi-finire-prigione-161510.shtml?uuid=AaE5QjvE

che vuoi che sia, che vuoi che sia...
Troppo grandi per finire in prigione
di Simon Johnson, 22 febbraio 2012

WASHINGTON, DC – Tra i principi fondamentali di qualsiasi sistema giuridico funzionante rientra il seguente: non testimoniare il falso davanti a un giudice o falsificare documenti sottoposti a un tribunale, o finirai in prigione. Violare un giuramento è spergiuro, e mentire in documenti ufficiali è sia spergiuro che frode. Si tratta di violazioni gravi, che però tali non sono se ci si trova nel cuore del sistema finanziario americano. Anzi, qui i soggetti coinvolti sembrano essere ben retribuiti per i loro crimini.

Come ha argomentato , il recente accordo di robo-signing, le pratiche con cui i dipendenti della banca firmano in automatico i documenti di pignoramento senza controllare le informazioni contenute, e che ha visto cinque grandi banche regolare la propria responsabilità da atti illeciti per ottenere pignoramenti fraudolenti sui mutui – si è rivelato un totale successo per il settore finanziario.

Innanzitutto, non è stata intentata alcuna azione legale seria – e quindi nessuno sarà incriminato e nessuno andrà in carcere. L’unica cosa che conta sono i possibili effetti sugli incentivi dei dirigenti.

Anche la terminologia utilizzata per articolare la discussione è errata. Kelleher, avvocato con ampia esperienza nelle pratiche private e nel settore pubblico, la mette in questi termini: robo-signing è una condotta massiccia, sistematica, fraudolenta, criminale. In alternativa, aggiunge, si potrebbe semplicemente parlare di mentire, truffare e rubare.

In secondo luogo, le sanzioni civili previste da questo accordo (una sorta di multa) sono minuscole rispetto alle dimensioni delle società coinvolte. Come ha detto sarcasticamente Shahien Nasiripour, uno dei migliori reporter di questo caso: Nessuno dei cinque prestatori ha detto di aspettarsi delle spese materiali dovute all’accordo. In altre parole, da una prospettiva societaria, la sanzione è un dettaglio trascurabile.

In terzo luogo, tali multe vengono in ogni caso pagate dagli azionisti delle società e non dai dirigenti o dagli amministratori delegati (tutti coperti da assicurazione). Nei rari casi in cui le multe sono state riscosse sui singoli, o le polizze assicurative si sono accollate gran parte del conto, o le sanzioni erano futili rispetto alla retribuzione monetaria che i dirigenti hanno ricevuto mentre commettevano i loro crimini – oppure si sono verificati entrambi i casi.

Come se tutto ciò non bastasse, le , che equivale a sovvenzionarli per pagare le loro insignificanti multe.

L’amministrazione Obama e i suoi alleati hanno lavorato duramente per far passare il loro accordo con le banche da circa 20 miliardi di dollari come un accordo che avrebbe avuto un impatto significativo sul mercato immobiliare. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Come sostiene Kelleher, negli Stati Uniti ci sono oltre 10 milioni di case under water (letteralmente sott’acqua, ossia i debiti sono superiori al valore dell’abitazione). Venti miliardi di dollari non riescono nemmeno a scalfire il problema: si tratta di una riduzione di mutuo pari a 20.000 dollari per 1 milione di case.

Di fatto, l’accordo dell’amministrazione Obama con i mutuanti è coerente con le precedenti politiche prese per il settore finanziario, nonché sconcertanti. Per quale motivo l’amministrazione continuerebbe a voltarsi indietro per assecondare i top banker in queste circostanze?

Onestamente non credo che la posizione dell’amministrazione rifletta una qualche forma di corruzione – pagamenti fatti a singoli o persino a campagne politiche. E nel nostro caso non sembra nemmeno riflettere il potere di lobbying dei grandi attori finanziari. Questo tipo di pressioni spiegano certamente perché le riforme finanziarie Dodd-Frank varate nel 2010 non sono state più rigorose, e perché ora c’è così tanta opposizione sull’effettiva implementazione di quella normativa (è in corso un forte dibattito sulla Volcker rule, che limiterebbe il trading esclusivo delle megabanche). Altra cosa sono però le attività criminali dei mutuanti.

Nell’accordo sui mutui sono in gioco le violazioni fondamentali e sistematiche dello stato di diritto – falsa testimonianza e frode su scala economica. Senza dubbio, il Dipartimento di giustizia ha tutto il potere che serve per perseguire in toto questi presunti crimini. Eppure, in America le massime autorità preposte all’applicazione della legge si sono fermamente (e ora completamente) tirate indietro.

La principale motivazione dietro l’indulgenza dell’amministrazione per le gravi azioni criminali è evidentemente la paura delle conseguenze che potrebbero sorgere qualora venissero intraprese dure azioni sui singoli banchieri. E forse le autorità fanno bene ad aver paura, considerate le massicce dimensioni delle banche in questione rispetto all’economia. Queste banche sono effettivamente più grandi ora di quanto non fossero prima della crisi, e come abbiamo dettagliatamente documentato io e James Kwak nel nostro libro , sono di gran lunga più vaste di 20 anni fa.

I top banker vogliono fare un sacco di soldi. E vogliono stare fuori dal carcere. I leader politici possono affannarsi all’infinito, ma senza una credibile minaccia di povertà e un periodo dietro alle sbarre, i banchieri non saranno motivati a rispettare la legge. Per loro, si tratta di affari – si può credere a una politica pubblica con la stessa ingenuità con cui chi si crede a un singolo contratto di mutuo.

Il messaggio che oggi arriva ai dirigenti bancari è semplice: costruite una banca quanto più grande possibile e fatela crescere. Se riuscite a diventare abbastanza grandi, voi e i vostri dipendenti non sarete solo troppo grandi per fallire, ma anche troppo grandi per finire in prigione.

L’amministrazione Obama ci ha reso dei gran creduloni.
...se vuoi ottenere qualcosa di diverso devi cominciare ad agire diversamente.
ChristianTambasco
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