STAR SYSTEM, BUSINESS E TERZO MONDO

Discussioni su argomenti che in apparenza possono sembrare lontani dalla questione monetaria, ma che comunque sono ritenuti meritevoli di interesse.

STAR SYSTEM, BUSINESS E TERZO MONDO

Messaggioda domenico.damico » 08/07/2013, 14:47

Sempre di più queste super star della musica, del cinema, dello sport si fanno - consapevolmente o no -
soggetti politici delle campagne occidentali ' favore del terzo mondo', della fame di quei popoli etc.

In questo articolo del Guardian, viene descritto Bono Vox, voce e leader del gruppo rock degli U2, come il cavallo di troia delle politiche occidentali, del pensiero dei think thank filantropici tipo quello di Bill e Melinda Gates (citato nell'articolo come principale finanziatore della onlus di Bono Vox);
gli anni passati ad accreditarsi come portavoce delle cause degli ultimi si traducono infine in pubblicità per le politiche agricole delle grandi corporations, in azioni propedeutiche al capitalismo predatorio delle aziende farmaceutiche, agroalimentari/chimiche, all'industria estrattiva, turistica, bellica e infine - come cappello onnisciente - per l'industria bancaria, la fabbrica dei soldi a debito crescente per chi invece ci si vanta di voler salvare.

Voglio anche dar per scontata la buona fede; la lezione da imparare - in caso di buona fede - è che il buonismo male informato fa più danni di una guerra.
In caso di mala fede, c'è da dire poco invece, se non le solite cose di andreottiana memoria.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree ... voice-poor



BONO TOGLIE LA VOCE AGLI AFRICANI

Era stato imbarazzante già nel 2005. Quell’anno, in Scozia al vertice del G8 , i musicisti Bono Vox e Bob Geldof ricoprirono di elogi l’allora primo ministro britannico Tony Blair e l'allora presidente statunitense George W. Bush, che all’epoca erano ancora impantanati nella guerra in Iraq. Gli attivisti del continente africano accusarono Bono e Geldof di aver annacquato una campagna per la giustizia globale trasformandola in un’iniziativa di beneficenza.
All’ultimo vertice del G8 in Irlanda del Nord, invece, Bono sembrava voler riabilitare le politiche delle grandi potenze mondiali in Africa attraverso la sua ong One. L’anno prima negli Stati Uniti era stata lanciata la New alliance for food security and nutrition, un’alleanza con l’obiettivo di spingere i governi africani a fare affari con aziende straniere decise a sfruttare le loro terre, brevettare i loro semi e monopolizzare i loro mercati alimentari.

Ignorando l’opinione pubblica dei rispettivi paesi, sei governi (Burkina Faso, Tanzania, Ghana, Etiopia, Mozambico, Costa d’Avorio) hanno stretto accordi con colossi come Monsanto, Cargill, Dupont, Syngenta, Nestlé e Unilever, in cambio di promesse di aiuti (debito probabilmente, nota di M@P) da parte del Regno Unito e altri paesi industrializzati. Molti attivisti, sia africani sia europei, hanno duramente criticato la New alliance. Invece i portavoce della campagna One, di cui Bono è cofondatore, l’hanno difesa. E non era la prima volta: Bono aveva già elogiato la New alliance in un discorso al G8 del 2012.
I finanziamenti dell’ong One arrivano in gran parte dalla Bill and Melinda Gates foundation.
Due dirigenti della fondazione sono nel consiglio direttivo di One.
La Gates foundation ha lavorato con l’azienda biotecnologica Monsanto e con il gigante del commercio delle sementi, Cargill, e possiede una grossa partecipazione azionaria in Monsanto.
Bill Gates risponde alle accuse di land grabbing in Africa sostenendo, contro ogni evidenza e contro la resistenza degli agricoltori africani, che “molti accordi sulla terra sono vantaggiosi e che sarebbe terribile se qualcuno si tirasse indietro a causa del modo di vedere le cose di alcuni gruppi di occidentali”.

Ma questo episodio fa parte di una storia più lunga. In un libro appena uscito nel Regno Unito, The frontman: Bono (in the name of power), lo studioso irlandese Harry Browne scrive che “in quasi trent’anni di vita pubblica Bono non ha fatto altro che amplificare i discorsi dell’élite”. Il suo approccio all’Africa è “un misto scivoloso di atteggiamento missionario e colonialismo commerciale”. Bono, scrive Browne, è diventato “il volto compassionevole della tecnocrazia globale” che, senza nessun tipo di mandato, ha assunto nel tempo il ruolo di portavoce dell’Africa, e ha usato poi quello stesso ruolo per fornire una “copertura umanitaria” ai leader occidentali. Il fatto che Bono abbia permesso all’occidente di presentarsi come salvatore dell’Africa, evitando di discutere i danni causati dai paesi del G8, ha indebolito le campagne per la giustizia e la responsabilità. Bono sostiene di voler “rappresentare i più poveri e vulnerabili”. Ma gli attivisti, sia di paesi poveri sia di paesi ricchi, ripetono la stessa lamentela: Bono, e altri come lui, hanno occupato uno spazio politico che avrebbe potuto essere occupato dagli africani.

Nel momento in cui i leader mondiali considerano Bono il rappresentante dei poveri, i poveri non sono invitati a parlare. Il consiglio direttivo di One è composto in gran parte da multimiliardari, importanti personalità del mondo dell’economia e sostenitori degli Stati Uniti. Ci sono Condoleezza Rice, ex consigliera per la sicurezza nazionale e segretaria di stato di George W. Bush, Larry Summers, ex capo economista alla Banca mondiale, Howard Bufett, che è stato nel consiglio d’amministrazione del gigante delle sementi Archer Daniels Midland, della Coca-Cola e delle aziende alimentari ConAgra e Agro Tech. Solo due membri del consiglio sono africani: uno è un ricco imprenditore del settore della telefonia mobile, l’altra la ministra delle inanze della Nigeria. One vorrebbe essere un’organizzazione “dal basso”, ma sembra piuttosto una proiezione del potere degli Stati Uniti e delle multinazionali.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
Ennio Flaiano
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