Kitegen

Discussioni su argomenti che in apparenza possono sembrare lontani dalla questione monetaria, ma che comunque sono ritenuti meritevoli di interesse.

Kitegen

Messaggioda millemondi » 24/10/2012, 9:15

Milano - L’ultimo articolo tecnico della rubrica Notizie del CIRN ci lasciava con l’augurio di poter sognare un mondo col cielo solcato da aquiloni (variopinti, si presume) prodotti dalla società Kitegen di Chieri, in provincia di Torino, i quali avrebbero il potere di fornire energia a un costo quasi nullo: tutti i produttori di energia al giorno d’oggi sembrano capaci di crearla dal nulla… In particolare si proponeva questa magia come soluzione ai problemi dell’Alcoa in Sardegna, la quale, se non trova un compratore adeguato, è costretta a chiudere (ed è facile profezia che chiuderà, più rapidamente dell’Alfa di Arese). Da circa un mese le prime pagine sono occupate da problemi analoghi dell’ilva e per questo la più recente (e ormai vecchia) notizia sull’Alcoa è che, ritiratosi il possibile compratore svizzero, l’unico possibile salvatore è proprio la società Kitegen che sarebbe più che contenta di vendere il suo MegaWattora anche a meno di 30 euro rispetto ai 57 pretesi dagli Svizzeri. Quindi un’impresa lodevole, soprattutto nata in Italia. La quale però lascia perplessi i tecnici, che in fondo devono poter dire la loro, invece dei sognatori, prima di dare inizio a una infrastruttura dal costo di svariati milioni di euro, che con molta probabilità proverrebbero dalle tasse (o accise sulle bollette elettriche) dei comuni cittadini, come sempre accade. I tecnici hanno trovato notizie del favoloso prodotto, mai venduto, della Kitegen sui siti della ditta stessa (ricchi di filmati) e del Fatto Quotidiano, che saggiamente fornisce dati tecnici relativi all’applicazione specifica del generatore elettrico all’Alcoa. Da questi dati il tecnico ravvisa difetti irrimediabili (e sorprendenti, se i dati provengono dal costruttore), che si spiegano facilmente anche al pubblico non esperto, ma che nessuno ha ancora evidenziato.
Spieghiamo prima in breve come sembra dover funzionare il marchingegno, di cui si dice non sia ancora stato completato il prototipo: Il paragone più semplice è quello di un grosso (soprattutto lungo) yo-yo, che viene srotolato per effetto del vento a velocità relativamente bassa verso altezze rispettabili (da 1000 a 2000 metri) e poi rapidissimamente ritirato (riavvolto, con motori azionati dalla base di controllo) fino a circa 1000 metri di quota, per essere poi di nuovo srotolato dal vento alla massima distanza, e così di seguito, fino a un arresto temporaneo per la normale manutenzione e una ripresa dello stesso processo di: decollo, srotolamento completo, riavvolgimento parziale, srotolamento completo, eccettera.
La produzione di energia avviene per mezzo di grosse dinamo durante lo srotolamento e dura per circa il 90% del tempo di funzionamento, ossia il cavo che sostiene l’aquilone si riavvolge a una velocità 7-8 volte superiore a quella di srotolamento, cosa che si ottiene modificando la forma dell’aquilone, che, salendo, si gonfia come un grande paracadute e scendendo è un sacco floscio, che oppone poca resistenza all’aria. La potenza di picco del singolo impianto è 3 MegaWatt (il doppio di una grande torre eolica) e il tempo annuo di funzionamento è garantito di 5000-6000 ore (sulle 8000 che compongono l‘anno).
L’Alcoa necessita, per un tempo di circa 6000 ore all’anno, di circa 600 MW (la potenza di una piccola centrale nucleare), da cui si desume che le occorrono almeno 200 aquiloni da 3 MW ciascuno, e tanti ne offre e prevede di costruire la KiteGen, la quale promette di sistemarli entro un chilometro quadrato (non si parla dei tempi di installazione, ma si dice siano molto brevi: un anno, due anni?).
Ora, è facile per tutti calcolare che 200 aquiloni in un milione di metri quadrati hanno a disposizione 5000 mq ciascuno, cioè un quadrato di meno di 75x75 metri, insomma un cerchio di circa 30 m di raggio. Dato che il vento si muove in modo capriccioso sia a terra, dove spesso non si muove per niente, ma allora la KiteGen azionerebbe, chissà con quale consumo energetico, potenti ventilatori (!), sia a 2000 m di quota, il tecnico è costretto a immaginare che ogni aquilone si muova, da terra a 2000 m, sempre confinato entro un cilindro, verticale o comunque parallelo a tutti gli altri 199, di 75 m di diametro, eccedendo il quale altrimenti ha un’altissima probabilità di aggrovigliarsi con gli aquiloni circostanti, cosicché entro pochi minuti gli aquiloni funzionanti si ridurrebbero a una decina e per sgrovigliare gli altri ci vorrebbero settimane!
Come KiteGen risolverà questo problema non è dato di sapere dai siti consultati e si auspica che verranno fatti al più presto esperimenti con almeno due prototipi (e non uno solo) a 60 m di distanza l’uno dall’altro.
L’aquilone che è in fase di riavvolgimento si muove, a quanto si riporta, in decine di secondi da 2000 (e più!) metri a 1000 m, cioè alla ragguardevole velocità di (molto) oltre 40 km/h, e comunque in modo che non rischi di cadere a terra: le enormi bobine di riavvolgimento devono essere rapidissime, ma anche conformate in modo che si trasformino subito dopo (invertendo il senso di rotazione) nelle potenti dinamo da 3 MW, e tutto ciò col medesimo rischi di aggrovigliarsi coi cavi degli aquiloni finitimi (o anche non tanto finitimi, visto che l’aquilone centrale del quadrato, per esempio, scendendo a 45°, potrebbe “falciare” quasi la metà degli altri, se ci fosse un’inversione di direzione del vento da 2000 a 1000 metri).
Ai due evidenti (e irrisolvibili) problemi di cui sopra, a meno di non concedere oltre 16 kmq di spazio ad ogni aquilone), si aggiungono quelli, pure facilmente intuibili, della scelta dei materiale e delle giunzioni tra le varie parti dell’impianto: si tratta di “teli” che si gonfiano violentemente, di funi che si tendono fortemente e sono soggette a strappi (soprattutto nel passaggio dallo svolgimento al riavvolgimento), di pulegge che, a detta del costruttore, si scaldano oltre i 250°C; e per finire, speriamo, ecco i problemi di limitazione e stabilizzazione delle velocità delle dinamo, come del resto accade nelle torri eoliche, e infine di impatti ambientali, sia estetici, ovviamente, per quanto affascinanti possano essere queste cineserie, sia ornitologici (visto che si occupano un sacco di kmq fino a 2000 m di quota e oltre), per non parlare dell’occupazione dello spazio aereo.
Insomma, dopo aver tollerato e addirittura favorito lo sviluppo di migliaia di inutili torri eoliche, a beneficio dei mafiosi, a quanto ha cercato di dimostrare perfino Vittorio Sgarbi, non si capisce come si potrebbe promuovere anche la diffusione di questi ancora più ingombranti (anche se a regime meno aleatori) impianti da fiera. Abbiamo gli inventori? Va bene, ma si occupino di cose utili e prontamente fattibili! Giocare coi modellini è roba da pensionati e non da imprenditori o ricercatori!
Ma appena ieri sera ho sentito il nuovo “originale” piano energetico del ministro Clini, che (sorpresa!) favorirà con la massima priorità le fonti “verdi e bianche”: perciò gli amanti degli aquiloni possono continuare a sognare, senza capire quali ulteriori inconvenienti e spese per il cittadino comporterà la loro applicazione!

Fonte: http://www.alessandriaoggi.it/component ... zendo.html

Questo progetto è la quinta essenza dell'energia pulita .

L'ex sindaco di Silvano d'Orba (al) Giuseppe Coco, anche impiegato della Unicredit, mi parlò di questo progetto quando lo invitai a partecipare alla Fiera delle Verità fatta dal PRIMIT (ed infatti partecipò).

In quel periodo era in ballo il come e a chi chiedere finanziamenti per il Kitegen.

Giuseppe Coco è amico del progettista ed era molto entusiasta anche lui del progetto, vuoi perché è sensibile alle nuove energie pulite (lui stesso mi diede i permessi per l'installazione di fotovoltaici nel centro storico di Silvano d'Orba) o vuoi perché ha un grande intuito per nuovi investimenti, il fatto sta che gli devo fare i complimenti per la tenacia con la quale ha abbracciato questo progetto che potrebbe essere la svolta della provincia di Alessandria.

Qui bisognerebbe davvero integrare questa nuova realtà energetica in un nuovo concetto di economia, ossia un'economia ove i soldi sono, appunto, uno strumento e non la ricchezza stessa.

Uno dei punti che viene criticato in questo progetto è la vasta occupazione dello spazio aereo... dimenticando però che una centrale atomica occupa ancora di più ed è più pericolosa.

Questo è il sito dove potete informarvi di più a riguardo:

http://kitegen.com/
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Kitegen e l'Alcoa

Messaggioda millemondi » 05/11/2012, 8:08

Alle 6.30 del 2 novembre sono state spente le celle 1124 e 1126 dello stabilimento Alcoa di Portovesme. Erano le ultime rimaste attive, adesso la fabbrica è ufficialmente ferma. La chiusura era annunciata dopo la rinuncia all’acquisto da parte della multinazionale svizzera Glencore, una soluzione che molti accreditavano come l’unica capace di garantire un futuro alla produzione di alluminio nell’isola.

Una multinazionale affidabile, già proprietaria della Portovesme srl e che di recente ha perfezionato la fusione col colosso delle miniere Xstrata, dando vita a una società da 86 miliardi di euro.

In pochi però hanno ricordato la storia di Glencore e del suo fondatore, Marc Rich, un personaggio con tanti lati oscuri, condannato per crimini contro gli Stati Uniti e graziato da Bill Clinton nel 2001. Rich non dirige più l’azienda dalla metà degli anni ’90, ma anche col nuovo corso aziendale (l’a.d. ora è il sudafricano Ivan Glasenberg) Glencore ha avuto i suoi problemi. Nel 2011 la Banca Europea degli Investimenti (Bei) ha sospeso i finanziamenti a Glencore «a causa di serie preoccupazioni legate alla governance». Le accuse – una presunta evasione fiscale ai danni dello Zambia e danni ambientali – erano state sollevate da un gruppo di organizzazioni non governative in relazione alla gestione della Mopani Copper Mines, società che produce rame e cobalto in Zambia.

Perché ricordiamo questi fatti? Glencore aveva chiesto di pagare l’energia elettrica 25 euro a MWh per dieci anni, una condizione definita provocatoria da molti organi di stampa, tra cui il Sole 24Ore. Noi però andiamo controcorrente. Nessuno in America o in Canada si è stracciato le vesti quando Chrysler ha ricevuto prestiti milionari dai governi. Si sapeva che prima o poi li avrebbe restituiti, e lo ha fatto addirittura in anticipo. Ma quella è un’altra storia, gestita da un governo con una seria politica industriale.

Queste invece le cifre della vicenda Alcoa. Tre miliardi di aiuti pubblici in 15 anni senza garanzie su occupazione e futuro dei siti produttivi, senza contropartite. Un business puro e semplice per chi quei soldi li ha presi e ora lascia l’Italia per lidi più favorevoli.

E allora, quale la soluzione per garantire un futuro alla Sardegna e ai lavoratori? L’inserimento nella trattativa di acquisto da parte dell’azienda torinese KiteGen Research potrebbe rappresentare una svolta. La KiteGen è attiva nell’ambito delle energie rinnovabili, in particolare sta sviluppando una nuova tecnologia per la trasformazione dell’energia del vento di alta quota, utilizzando un grande aquilone tipo parapendio. L’azienda avrebbe promesso di acquisire il sito di Portovesme senza riduzioni di personale e di alimentarlo con un 100% di energia da fonte eolica. Sembra un’offerta da prendere in considerazione visto che si tratta di un progetto valutato positivamente anche dai media di mezzo mondo (ecco il video su Corriere.tv)

Il 13 novembre è previsto un incontro coi ministri Passera e Barca, che saranno in Sardegna per un confronto complessivo sulla situazione del Sulcis. E’ il momento delle decisioni. Certo, si può anche scegliere di rimandare ancora la soluzione del problema, continuando a scaricarne il peso sulle generazioni successive. Ma gli errori del passato pesano e peseranno ancora sulle tasche di tutti noi. Alla Corte di Giustizia europea è aperta una procedura d’infrazione per l’Italia, con l’accusa di non aver recuperato dalla stessa Alcoa quelle somme che sono state, secondo la Commissione europea, scontate illegittimamente: circa 250 milioni di euro nei periodi gennaio 2006-gennaio 2007 per lo stabilimento sardo di Portovesme e gennaio 2006-novembre 2009 per quello di Fusina in Veneto, oltre agli interessi. Soldi che venivano presi dalle bollette di tutti noi, ed è praticamente certo che in caso di multa milionaria a pagare saranno di nuovo tutti i cittadini italiani. E allora, continuare a perseverare con questi errori o tentare una nuova via verde? Per chi pensa che questo sia il momento delle scelte coraggiose la risposta è scontata.



Fonte: http://www.linkiesta.it/blogs/officine- ... a-italiana
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