E se la colpa è nostra?

Discussioni su argomenti che in apparenza possono sembrare lontani dalla questione monetaria, ma che comunque sono ritenuti meritevoli di interesse.

E se la colpa è nostra?

Messaggioda millemondi » 01/08/2012, 15:52


E se la colpa è nostra?

di Ana Silvestre




I


(per strada, davanti ad un vecchio circolo)


(Corrado): Non si può negare la realtà...
Dai, diciamola tutta! Abbiamo perso! Ecco!, abbiamo perso!

(Mario): Shhtt! Parla basso! Se ci sentono ci chiameranno perdenti!

(Davide): Voi pensate che siamo perdenti? Non avete più voglia?

(Mario): Ma non è una questione di non avere più voglia... quella c'è. Però... ormai... ormai non ci sono più idee per risvegliare il popolo pecorone.

(Corrado): Sì, ci stiamo solo rimettendo e basta. Viaggi, sbattimenti, studio, tempo, soprattutto TEMPO, soldi, per...? Per cosa? Per nulla.
Contiamo tanto quanto uno zero a sinistra.

(Davide): Andiamo al sodo: si continua? Sì o no?

(Mario): Mica dobbiamo decidere questa sera.

(Corrado): Sì, ha ragione. Vediamo come va.

(Davide): Come va cosa? Qualcosa che abbiamo organizzato? Qualcosa che succederà nel mondo politico? Cosa dobbiamo vedere come va?

(Corrado): Ma non lo so! Era un modo di dire!

(Davide): Vuoi del tempo per pensare?

(Corrado): Forse mi farebbe bene.

(Mario): Vorrei non aver mai iniziato. Avevo una vita tranquilla e pacata.
Chi me l'ha fatto fare?

(Davide): . C'è chi lo fa per noia della vita, chi perché non può farne a meno. C'è anche chi lo fa per emergere dalla Massa, o chi lo fa per necessità di ordini, per la necessità di essere un bambino che ubbidisce.
Ma dev'esserci per forza qualcosa di simile tra le nostre ragioni.

(Corrado): Io lo faccio perché va fatto. Ma, osservando la scarsità di soci, lo scarso interesse che suscitiamo, beh... devo ammettere che è dura l'avventura.
Il popolo vuole rimanere schiavo. Abbiamo faticato per niente.

(Mario): Che figura che faccio! Oddio!
Se mi fermo, coloro che io prima prendevo per il culo, mi sfotteranno di brutto.
Se continuo... niente. Se continuo cosa succede? La stessa cosa che è successo finora...niente.

(Davide): E se la colpa è nostra? Se abbiamo sbagliato noi?
Parlo di come ci atteggiamo con gli altri. Ci sono cose che, secondo me, sbagliamo. A volte anche in modo abbastanza ingenuo.

(Corrado): Cosa vuoi insinuare? Che siamo fessi?

(Mario): Ma dai! Le solite esagerazioni, voi due!

(Davide): Posso almeno spiegarmi? Posso?

(Corrado): Ecco, fa anche l'offeso! E dai, spiega, no?

(Davide): Insomma, parlavo delle nostre colpe...

(Mario) : Ma sai che hai una strana cera?

(Davide): Sentite, non ho voglia di incazzarmi, quindi ho una brutta cera e faccio l'offeso, va bene?
Toh, vi corrompo pure! Se parliamo tranquilli, vi offro un gelatone!

(Corrado): Ma sei scemo? Ci tratti come bambini? Ti senti bene?

(Davide): Sì, mi sento benissimo! Tra un po' c'è il treno, ci saluteremo e ci rivederemo tra qualche mese.
Et voilà, il ritorno al web.

(Mario): Prenderò un gelato con tre creme. Ti ascolto.

(Corrado): Per me il più grande che ci sia, visto che paghi tu. Quindi... dicevi...?

(Davide): A volte ho la sensazione che per fesserie abbiamo fallito.

(Corrado): Ancora con 'sti fessi?

(Davide): Io per primo! Quando rifletto sulle cose che ho scritto! Mi rivolgevo agli altri chiamandoli schiavi! “ Svegliati, schiavo!”, “Sei uno schiavo che non vuol diventare libero!”. Così scrivevo. Mi comportavo come un superiore, come uno che valeva di più per le idee che aveva. Da supponente e presuntuoso, senza il minimo rispetto per chi voglio “salvare”...

(Mario): Il nostro fallimento non è solo per quello... no, non solo per quello.

(Corrado): Ma se il popolo si comporta davvero come un gregge di pecore, pecorine e pecoroni, cosa fare per svegliarli? Lanciamo bombe a mano?
Era necessario parlare con quei toni. Tanto era a fin di bene.

(Davide): Non credo che faccia piacere sentirsi dare dello schiavo o pecorone dopo un'estenuante giornata di lavoro e impegni vari. Credo che già quello basti come repellente... Sì, è vero che siamo schiavi del sistema, però quel termine va usato con cautela. Il verbo che l'anticipa dovrebbe essere sempre usato nella prima persona del plurale. Non il tu, non il voi. Il NOI. Rischiamo di fare figure da prepotenti e arroganti, e quindi lasciare l'idea di persone poco disposte al dialogo.
Quando abbiamo iniziato il nostro movimento, quei modi di rivolgersi alla gente erano già ben radicati. Noi, nonostante ci considerassimo diversi, abbiamo pian piano preso, o ripreso, queste brutte abitudini.

(Mario): Hai ragione. Infatti quel tipo di atteggiamento non è bello. Però, come ho detto prima, il problema non è solo quello. Anch'io a volte penso alle cose che facciamo e mi viene qualche dubbio...

(Corrado): Guardate che anch'io ci penso...

(Davide): Perché non abbiamo mai parlato di queste cose? Era bisogno rimanere totalmente demoralizzati con i risultati del nostro evento di oggi? Era bisogno che ci stancassimo a fare ancora questo? Sapevamo il risultato ma l'abbiamo fatto lo stesso! Se non lo facevamo, rimaneva il senso di colpa di non averlo fatto, vero?

(Corrado): Sì, è vero. Non fare mai niente insieme è... triste e sconsolante. Ma oggi è stato triste e sconsolante lo stesso, tanto valeva non averlo fatto.

(Davide): Io sono invece contento che siamo insieme. Così possiamo parlare faccia a faccia. Mi dispiace che gli altri due non ci siano.

(Mario): Hanno detto che non potevano per ragioni economiche. Come darli torto? Tanto sapevano che non sarebbe niente di speciale, quindi si risparmiano i soldi. Hanno fatto bene, tanto non cambiava niente.

(Corrado): Sono anch'io contento di vedervi. Parlo sul serio.

(Mario): Non metterti a piangere, dai...

(Corrado): Fai lo spiritoso?

(Mario): No, sennò piango anch'io, davvero...

(Corrado): Ah, scusami, io...

(Mario): Ci sei cascato! Ah ah! Dovevi vedere la faccia che hai fatto!
La misericordia in persona!

(Davide): Voglio che restiamo insieme, che rivalutiamo le nostre azioni e comportamenti.



(continua)
Ultima modifica di millemondi il 11/08/2012, 0:24, modificato 4 volte in totale.
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Re: E se la colpa è nostra?

Messaggioda millemondi » 10/08/2012, 2:09


(continuazione)



(Corrado) A che ora avete il treno?

(Davide) Alle undici e cinquanta...

(Mario) Mezzanotte e trentacinque...

(Corrado) Io alle due di notte... che palle.
Ho sentito qualcuno che parlava di gelati... eri mica tu, Davide?

(Davide) Ero io, ero io... Andiamo a mangiare il gelato e parliamo...

(Mario) Che ora è? Cavolo, sono ancora le nove e dieci!
Non lo so voi, ma io ho una fame da lupo! Andiamo a mangiare una pizza?

(Corrado) Ci sto. Però voglio lo stesso il gelato come dessert.
Presumo che sarà una cena condita di discorsi amari, quindi metto le mani avanti e mi assicuro
un bel gelato per addolcirmi la bocca.

(Mario) Rimaniamo qui impalati per strada?

(Davide) Hai ragione, incamminiamoci.
Conoscete una pizzeria decente qui nei dintorni?

(Corrado) C'è una pizzeria affianco alla Fontana dell'acqua bollente.

(Davide ) Allora siamo vicini. Prendiamo tutto e andiamo.

(Corrado) Davide,vuoi una mano con il cartellone?

(Davide) Ce la faccio , tanto non pesa. Grazie lo stesso.

(Mario) Camminiamo più svelti! Chissà se c'è tanta gente e ci tocca aspettare.
Sono già le nove e mezza! Voglio mangiare con calma e arrivare in stazione a mezzanotte.

(Corrado) Sennò svanisce l'incantesimo?

(Mario) Più o meno...

(Davide) Eccola là! C'è parecchia gente...

(Corrado) Entriamo. Ho fame e non ho voglia di cercare altrove.
La pizzeria è carina e c'è posto fuori. Quindi voto sì.

(Mario) Ti prego! Votazioni per decidere se entriamo... no!
Entriamo e spariamoci questa pizza con una rossa ben fresca.
Fa un caldo tremendo! Sono tutto sudato!

(Davide) Va bene anche per me. Così non rimandiamo la nostra conversazione.
Peccato che gli altri due non ci siano. Pardon, gli altri tre.

(Corrado) Non mancano tre, bensì due!! Non c'è un terzo!
A ben vedere non manca invece proprio nessuno...

(Davide) Parleremo anche di quello.

(Mario) Io vado a mangiare. Voi fatte quello che volete.



II


(alla pizzeria)


(Corrado) Sediamoci lì, al tavolino nell'angolo.

(Mario) Oltre sudato sono anche stanco morto.

(Davide) Cameriera!

(cameriera) Buona sera. Eccovi il menù.
Cosa vi porto da bere?

(Mario) Per me una rossa, media.

(Davide) Anche per me.

(Corrado) Preferisco le bionde.

(cameriera) Una media ?

(Corrado) Anche una eccezionale va bene.

(cameriera) Come?

(Davide) Niente. Lascia perdere. Portagli una media chiara.

(cameriera) Torno subito da voi.

(Davide) Ora parliamo.

(Mario) Ragazzi, questa è una riunione?

(Corrado) A quanto pare sì.

(Mario) Però mancano gli altri tre. Va bene lo stesso farla?

(Corrado) Anche tu con questi tre! Cosa avete? La nostalgia?

(Davide) Beh, sì, possiamo chiamarla riunione. Comunque parleremo poi anche con gli altri.
Avete scelto? Sta arrivando la cameriera.

(cameriera) Ecco le birre! Avete deciso?

(Mario) Pugliese con scaglie di grana. Scaglie di grana, non grana grattugiato. Scrivilo e dillo al pizzaiolo.

(cameriera) Ok, fatto.

(Davide) Io l'ortolana.

(Corrado) Per me questa con i porcini, senza mozzarella.

(cameriera) Se avete bisogno di qualcosa, non esitate a chiamarmi.

(Mario, Davide, Corrado) Grazie!

(Mario) Portaci un altro giro di birre, per favore.

(Davide, Corrado) Sì sì!

(cameriera) Certo!

(Davide) Ora siamo più rilassati e freschi. Si sta bene qui, vero?
L'aria è lievemente tiepida... aaah... che bello!

(Corrado) L'aria è tiepida e puzzolente dell'odore della tua sigaretta.
Spara quello che hai da dire.

(Davide) Cosa ci sta succedendo? Cosa ci tormenta? Cosa vogliamo ottenere?

(Mario) Vacci piano! Una cosa alla volta!

(Davide) Cosa ci sta succedendo?

(Corrado) In che senso? Bah, spiegati meglio e fai meno l'enigmatico, altrimenti diventi pesante.

(Davide) E va bene, va bene! Ti rendo il discorso il più semplice possibile.
Perché ognuno di noi ha preso il treno la notte scorsa e ha fatto una media di duecento, duecento cinquanta km a testa per fare un inutile evento al circolo, pur sapendo che sarebbe un altro buco nell'aria?
Cosa ci succede? Abbiamo visto e provato che quello che facciamo non funziona.
Potevamo averlo fatto diversamente, o anche non averlo fatto. Le persone sono ancora le stesse, con gli stessi atteggiamenti...

(cameriera) Eccovi le pizze! Vi porto subito anche le birre. Buon appetito!

(Mario, Davide, Corrado) Grazie!

(Corrado) La cameriera è molto carina, vero?

(Mario) Hai ragione. Anche molto efficiente. Ci sono le scaglie!

(Davide) Lasciate stare la cameriera. Ora ci porta le birre e poi rimaniamo tranquilli.

(Corrado) Buonissima la pizza.

(Mario) Sarà anche la fame, però mi sembra squisita.

(cameriera) … e le birre..

(Mario, Davide, Corrado) Grazie!

(Davide) Per ora è tutto, grazie.

(cameriera) Prego!

(Davide) Dunque, dicevo... ho perso il filo del discorso... aspetta...

(Mario) Se non lo sai tu cosa stavi dicendo...

(Corrado) Se io non fossi venuto all'evento mi sarei sentito... boh... ridicolo.

(Davide) Ecco, sì... cosa ci sta succedendo? Perché ti sentiresti ridicolo?



(continua)
Ana Silvestre


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Re: E se la colpa è nostra?

Messaggioda millemondi » 06/11/2012, 0:43


(continuazione)



(Corrado) Perché non faccio altro che parlare con le persone del nostro ideale, cercando di convincerle ad aprire gli occhi sull'importanza delle nostre questioni. Le torturo con i miei discorsi!
Se non venivo era come ammettere a loro e per primo a me stesso che non ci credo neanch'io.
Io voglio essere un uomo libero, ma questo mondo è per gli schiavi. L'unica cosa che so è che non ce la faccio più a vivere in un mondo così.

(Mario) Così come?

(Corrado) Così com'è da sempre, ove non siamo liberi di fare quello che veramente abbiamo voglia di fare. Io voglio un mondo libero! Un mondo libero! Questo voglio!

(Davide) Quindi per te un mondo libero vuol dire un mondo ove ognuno fa quel che vuole?

(Corrado) Sì! Aspetta, proprio tutto no... oppure sì! Perché no?

(Mario) Guarda che tutto vuol dire... tutto... Mi sembra una nozione nichilista di Libertà...

(Davide) Non addentriamoci in discorsi filosofici sulla Libertà, altrimenti non la finiamo più.
Come possiamo del resto saper cosa significa la Libertà? Torniamo indietro nei nostri discorsi.

(Corrado) Cameriera!

(Davide) Che cosa ci sta succedendo? Cosa?

(Mario) Ma cosa intendi con “cosa ci sta succedendo”?

(Davide) Ancora! Ti pare poco essere consapevoli di agire come sfigati e continuare tale e quale, come se fossimo stati unti da dio in persona?

(cameriera) Posso levare i piatti? Le pizze erano buone?

(Mario) Io sono molto soddisfatto.

(Davide) Anch'io. Anche il posto è bello.

(Corrado) La pizza era buona. Complimenti al pizzaiolo. Ci porteresti la lista dei dessert?

(cameriera) Certo!

(Davide) Il dessert lo offro io.

(Corrado) Lo so. Quindi siamo sfigati e lo sappiamo pure? Bravo! Sono belle parole che ci fanno stare meglio!

(Davide) Perché, non è vero? Dobbiamo invece continuare a raccontarci balle?

(Mario) Balle no, però dire sfigati è troppo! Se le prossime parole che pronuncerai sono simili a questa allora inizio ad incamminarmi verso la stazione.

(cameriera) Eccovi la lista. Mi permetto di suggerirvi le nostre belle coppe di gelato, con frutta di stagione.

(Corrado) Bingo. Era proprio destino che gelato fosse!

(Davide) Ah ah ah! Veramente! Dunque, vediamo...

(Mario) Per me sorbetto di ananas e rum. Lo potete fare anche se non c'è nella lista?

(cameriera) Sì, non c'è nessun problema. E voi?

(Corrado) La passione di fragole con l'amaretto.

(Davide) Ehm... va bene la macedonia con una pallina di fior di latte.

(cameriera) Ok!

(Mario) Davide, modera i toni, per piacere e cerca di sbrigarti con quei discorsi.

(Davide) Che ora è?

(Mario) Sono quasi le venti alle undici.

(Davide) Io non ho nessun tono da moderare. Voglio solo che noi siamo realisti a discutere la nostra situazione. Tutto qui. Ammetti che ci comportiamo come sfigati!

(Corrado) Io l'ammetto! Anzi, ti dico di più, sono anche uno sfigato in ogni cosa della mia vita! Sei contento ora?

(Davide) Perché dovrei essere contento? Secondo te ci godo in saperlo?

(Corrado) Suvvia! Tanto lo sapevi già!

(Mario) Ecco, mi sa che stasera facciamo il botto...

(Corrado) Oggi sono venuto anche per scappare un attimo di casa. Non ce la faccio più!

(cameriera) Scusatemi se v'interrompo, vi ho portato i dessert.

(Davide) Fa niente. Che bei dessert!

(cameriera) E sì! Non avete scampo, dovete ritornare qui!

(Corrado) Magari con una compagnia migliore.

(cameriera) Gli amici sono sempre una buona compagnia. Scusate, mi chiamano. Fatte pure con comodo, tanto non chiudiamo mai presto e la notte è ancora una bambina. Permesso.

(Davide) Ragazzi, io rimanerei sveglio tutta la notte a parlare con voi.

(Mario) Perché? Hai qualcosa da confessarci?

(Davide) Eh... co... cosa stai dicendo? Ma figurati! Che buono questo dessert...

(Corrado) Sono uno sfigato. Punto.

(Davide) Non esser felici non vuol dire essere sfigati. Però non essere felici ed andare a cercare ulteriori infelicità con il lanternino... beh, quello è già da sfigati o quantomeno da masochisti.

(Mario) Questo sorbetto è una meraviglia!

(Davide) Se siamo venuti oggi qui nonostante lo sapessimo che sarebbe stato l'ennesimo fallimento, allora o siamo diventati pazzi, o abbiamo la scimmia di questi andazzi, mettendo da parte la propria volontà, o facciamo per scappare della propria vita frustrante, oppure...

(Corrado) Oppure...?

(Davide) Oppure siamo fermamente convinti della validità di quel che vogliamo trasmettere però non sappiamo organizzarci.

(Corrado) Sono d'accordo per l'ultima, anche se sospetto che anche le altre tre sono, in un certo senso, parte della realtà.

(Mario) Eh già...

(Davide) Ci siamo fatti sopraffare così tanto dai nostri problemi privati e del nostro fallimento come associazione che ormai siamo stanchi e basta. Non reggiamo più.
Mario, non considerati uno sfigato. Tutti passano per brutti momenti.

(Corrado) Ho chiesto il divorzio a mia moglie. Sai cosa mi ha risposto?

(Davide) Non lo so. Cosa ha detto?

(Corrado) Ha detto di no.

(Mario) Sarà perché ti ama ancora, no?

(Corrado) No. L'ho creduto anch'io per qualche secondo, finché ha aggiunto “altrimenti cosa pensano di noi?” e ancora “ tutti i nostri amici, parenti e conoscenti parleranno di noi!”.

(Mario) Quindi ti vuole ancorato a lei per le apparenze?

(Corrado) Sì.

(Davide) Quindi che cosa farai?

(Corrado) Rimango ancora a casa, come appunto uno sfigato.

(Davide) Hai voglia di parlare di questo? Ti farebbe stare meglio?

(Corrado) No, preferisco di no. Tanto questa è solo una parte del mio malessere. Quanto meno ne parlo meglio è.

(Mario) Davide, cosa ci vuoi raccontare invece tu?

(Davide) Eh? Di cosa parli?

(Mario) Non lo so, però ho la sensazione che hai segreti da svelarci.

(Davide) Ritorniamo ai nostri discorsi di prima...

(Mario) Vedi? Cambi discorso?

(Davide) Ma cosa vuoi da me?

(Mario) Hai un'aria strana, mi sembri teso.

(Davide) Semplicemente ultimamente sto dormendo poco. Tutto qui.
Non ero io che avevo una brutta cera? L'avevi detto tu prima, giusto?

(Mario) Sì, l'avevo detto io...

(Davide) Tra un po' devo prendere il treno, che ora è?

(Corrado) 'E ora che ti compri un orologio, ah ah!

(Mario) Sono le ventitré e dieci.

Davide) Tra quaranta minuti ho il treno, ed è rimasto tutto da parlare, come sempre.

(Corrado) Cameriera!

(Davide) Perché dobbiamo andare avanti così? Perché?
Non riesco a farmi una ragione, ve lo giuro. Non ci riesco. Voglio capire cosa sta succedendo, lo voglio capire! C'è un urgente bisogno di cambiamento, di sterzare da un'altra parte, liberarci dei nostri pesi che ci attanagliano la mente! 'E bisogno agire! 'E bisogno...

(cameriera) Prego, ditemi. Volete il caffè, il digestivo...?

(Corrado) Anche voi volete il caffè?

(Mario) Per me sì, grazie.

(Davide) Anche per me, grazie.

(Corrado) Portaci anche tre grappe. La grappa di queste zone è rinomata, quindi assaggiamola.
Ve la offro io.

(Davide) Ma sì, dai!

(Mario) In realtà non dovrei...

(Corrado) Per favore, portaci quindi tre caffè e tre grappe. Grazie.

(Mario) Ma...!

(Davide) Però si fa davvero tardi, ci metto dieci minuti ad arrivare alla stazione.

(Mario) Ma di quagli sterzi parlavi? Altroché sterzare, qui si barcolla.

(Corrado) Ma cosa diavolo dobbiamo fare ancora? Mi rendo conto che in parte la colpa è anche nostra, di quello che abbiamo fatto, però come si può rimediare senza rimetterci la reputazione?

(cameriera) Ecco a voi!

(Mario) Grazie...

(cameriera) Permesso...

(Davide) Io non prendo il treno stasera.

(Corrado) Ma guarda che ce la fai ancora a prenderlo.
Mancano quasi venti minuti. Hai fiato per correre?

(Davide) Certo che ho fiato. Se vuoi corro anche con la sigaretta in bocca.

(Corrado) Un durone... bah! Sbrighiamoci.

(Mario) Sì, sbrighiamoci. Io vado via insieme a te.

(Davide) Non avete capito bene. Io non prendo il treno stasera perché non lo voglio prendere.

(Corrado) Ah! Quindi...?

(Davide) Dopo vedrò gli altri orari disponibili. Abbiamo quindi ancora tempo per parlare.

(Mario) Oltre la brutta cera hai anche una bella faccia tosta!
Per oggi basta con questi discorsi! Cin-cin!

(Corrado e Davide) Cin-cin.

(Mario) Ragazzi, andiamo a pagare. Ancora un attimino e devo andare via.

(Davide) E già, tu devi essere alla stazione alla mezzanotte.
Come mai con trentacinque minuti di anticipo?

(Mario) E come mai ti devo raccontare i fatti miei?

(Corrado) Roba privata segretissima?

(Mario) Sì, e allora? Davide, tu rimani con Corrado, giusto?

(Davide) Tranquillo, non ci sarò nella stazione con te.
Tu non vuoi che io stia con te in stazione alla mezzanotte. Interessante.
Chi mai conosci tu da queste parti? Chi devi trovare?

(Mario) Sono affari miei, l'ho già detto.
Cameriera!

(Davide) E tu, Corrado, cosa intendevi col rimetterci la reputazione?

(cameriera) Sì?

(Mario) Quel discorso lo continuate voi.
Facci il conto e metti da parte le birre, i dessert e le grappe. Le birre offro io,
Corrado le grappe e Davide i dessert. Pago alla cassa, devo correre.
Alla prossima, ragazzi. Tanto ci sentiamo.

(Davide) A presto, Mario.

(Corrado) Ci sentiamo. Ciao!

(Mario) Ciao, scappo!

(Davide) Tra un po' devo comunque andare a vedere gli orari.
Tu parti alle due?

(Corrado) Sì, quindi ho ancora tempo.

(Davide) Stiamo ancora qui un po' e verso l'una meno un quarto ci avviamo verso la stazione.

(Corrado) Per me va bene. Ma sai che mi sento un po' ubriaco?

(Davide) Ti senti bene?

(Corrado) Sto benissimo!

(Davide) A dire il vero anch'io sono un po' brillo.

(Corrado) Hai qualcosa da nascondere?

(Davide) Ancora con queste storie? No, non ho niente da nascondere, o quantomeno che importi a te o agli altri.

(Corrado) Volevo solo fare una battuta!

(Davide) Ma quale battuta?

(Corrado) Tu mi rispondevi “No” e io ti rispondevo “ Allora possiamo bere un altro bicchierino di grappa”.

(Davide) Insomma, vogliamo davvero fare il botto stasera.

(Corrado) Allora hai davvero qualcosa da nascondere e hai quindi paura di rilassarti troppo e parlare.

(Davide) Ma cosa dici?

(Corrado) Dico che forse è vero che tu nascondi qualcosa.



(continua)
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Re: E se la colpa è nostra?

Messaggioda domenico.damico » 29/10/2013, 18:01

Questo articolo tradotto e pubblicato da come don chisciotte mi piace; l'unica cosa che stona è il finale.
Finora con le rivolte a forconi non si è combinato mai niente.
Forse è l'ora di un piano ben ragionato?




DI CHRIS HEDGES
truthdig.com

Fonte:http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12517

“I ricchi sono diversi da noi” si dice abbia detto F. Scott Fitzgerald a Ernest Hemingway, il quale così replicò: “Oh sì, loro hanno più soldi”.

Questo scambio, anche se probabilmente non è mai avvenuto davvero, descrive una saggezza di Fitzgerald che Hemingway non coglieva. I ricchi sono diversi. La bonanza di ricchezza e privilegi consente al ricco di circondarsi di lavoratori ubbidienti, servi, adulatori e sicofanti. Il benessere genera, come ha illustrato Fitzgerald nel “Grande Gatsby” e nel suo breve racconto “Il Ragazzo Ricco”, una classe di persone che considera gli altri esseri umani dei beni di consumo.

Colleghi, soci, impiegati, cuochi, servi, giardinieri, tutori, personal trainer, anche gli amici e la famiglia, devono pendere dalle loro labbra, oppure farebbero meglio a levarsi di torno. E nel momento in cui degli oligarchi raggiungono il potere politico ed economico, come è accaduto negli Stati Uniti, anche i cittadini diventano beni di consumo.

Il volto pubblico della classe di oligarchi non ha nulla a che vedere con il suo volto privato. Io, come Fitzgerald, fui gettato tra le braccia dei “ricchi” fin da giovane. Fui spedito con una borsa di studio all’età di 10 anni in un’esclusiva scuola privata del New England. I miei compagni di scuola avevano dei padri – che raramente vedevano – che arrivavano a scuola con le limousine, accompagnati da un fotografo personale (e, a volte, anche dalle loro amanti di turno), in modo che la stampa potesse immortalarli nel ruolo dei bravi papà che accompagnano i loro figli a scuola. Ho passato diverso tempo nelle case degli straricchi e degli strapotenti, e ho visto i miei compagni di scuola, allora bambini, dare con aria di superiorità ordini a destra e a manca a quelli che lavoravano nelle loro case, cuochi, tate, autisti e camerieri.

Se poi i figli e le figlie dei ricchi si mettono nei guai, ci sono sempre degli avvocati, dei personaggi pubblici e dei politici pronti a difenderli. La vita di George W. Bush ne è un classico esempio. Il ricco ha quel disprezzo snob per i poveri – nonostante i loro ben-pubblicizzati atti di filantropia – e per la classe media.

Queste classi inferiori sono viste come fastidiosi parassiti che vanno sopportati, che ogni tanto bisogna tenere buoni, ma sempre sotto controllo, in modo da poter continuare ad accumulare ricchezza e denaro. Il mio odio per l’autorità, insieme al mio profondo disprezzo per l’inganno, per l’insensibilità e per quel senso di superiorità che traspira dai ricchi, proviene proprio dal fatto che ho vissuto tra i privilegiati. E’ stata un’esperienza profondamente spiacevole, che mi ha esposto al loro insaziabile egoismo ed edonismo. Ho imparato subito, fin da piccolo, chi erano i miei veri nemici.

L’incapacità di cogliere la patologia dei nostri governanti oligarchici è una delle nostre colpe più gravi. Siamo stati resi ciechi alla profonda depravazione della nostra classe dirigente, dall’inesorabile propaganda delle società di pubbliche relazioni e d’immagine che curano gli interessi delle grandi aziende e dei ricchi. Politici compiacenti, ignari intrattenitori e la nostra insulsa cultura popolare alimentata dalle grandi imprese, una cultura che che erige i ricchi a leader assicurandoci che se siamo bravi e lavoriamo sodo un giorno lo diventeremo anche noi, tutto questo ci impedisce di vedere la realtà.

“Tom e Daisy, erano due sconsiderati” scriveva Fitzgerald della coppia ricca attorno alla quale ruotava la vita di Gatsby. “Erano capaci di distruggere cose e persone e poi si ritiravano incuranti nel loro denaro e nella loro incuranza, o qualsiasi altra cosa che li tenesse insieme, e lasciavano agli altri il compito di rimediare ai loro disastri”.

Aristotele, Niccolò Machiavelli, Alexis de Tocqueville, Adam Smith e Karl Marx, tutti sono partiti dal presupposto che esiste un naturale antagonismo tra i ricchi e le masse. “Quelli che hanno troppa fortuna, forza, salute, ricchezza, amici e altro, non sono nè disposti nè capaci di sottomettersi all’autorità.” Scrisse Aristotele in “Politica”. “Il male comincia in famiglia; poichè quando sono fanciulli, a motivo della ricchezza in cui sono stati allevati, non imparano mai, neanche a scuola, l’abitudine dell’obbedienza”. Questi filosofi sapevano che gli oligarchi crescono abituandosi al meccanismo della manipolazione, nell’abitudine di reprimere e sfruttare in modo subdolo e sfacciato chiunque, allo scopo di proteggere ricchezza e potere a nostre spese. E primo fra tutti questi meccanismi di controllo, c’è il controllo delle idee. Gli “eletti” al potere si assicurano che la classe intellettuale dominante sia pervasa da un’ideologia – in questo caso il capitalismo del libero mercato e della globalizzazione – che giustifichi la loro avidità. “Le idee al potere non sono che l’espressione ideologica delle relazioni materialistiche dominanti” scrisse Marx, “le dominanti relazioni materialistiche che assurgono a ideologia”.

La diffusione capillare dell’ideologia del capitalismo attraverso i mezzi d’informazione, e la soppressione, soprattutto a livello accademico, delle voci critiche, hanno permesso ai nostri oligarchi di orchestrare la più grande disuguaglianza di reddito del mondo industrializzato. L’1% negli Stati Uniti possiede il 40% della ricchezza nazionale, mentre l’80% ne possiede solo il 7% , come ha scritto Joseph E. Stiglitz ne “Il Prezzo della disuguaglianza”. Per ogni dollaro che lo 0,1% più ricco ha accumulato nel 1980, ha avuto 3$ in più nel reddito annuale del 2008, ha spiegato David Cay Johnston nell’ articolo “9 Cose che i ricchi non vogliono che si sappia sulle tasse” (1). Il 90% della popolazione Americana, ha detto Johnson, nello stesso periodo di tempo ha accumulato solo un centesimo in più. Metà del paese è ora considerato povero o a basso reddito. Il valore reale del salario minimo è sceso di $2.77 dal 1968. Gli oligarchi non credono nel sacrificio per il bene comune. Non lo hanno mai fatto. Non lo faranno mai. Sono il cancro della democrazia.

“Noi Americani non siamo normalmente considerati un popolo sottomesso, ma in realtà lo siamo eccome.” Scrive Wendell Berry. “Per quale altro motivo, infatti, stiamo permettendo che il nostro paese venga distrutto?” “Per quale altro motivo, infatti, stiamo ricompensando i nostri stessi distruttori?” “Per quale altro motivo, infatti, tutti noi abbiamo partecipato a questa distruzione – delegando i nostri poteri ad avide imprese e politici corrotti? La maggior parte di noi siamo ancora abbastanza lucidi da non urinare nella propria cisterna, eppure consentiamo ad altri di farlo e li ricompensiamo anche. E li ricompensiamo talmente bene che quelli che urinano nelle nostre cisterne sono molto più ricchi di noi. Quand’è che diventiamo sottomessi? Quando non siamo abbastanza radicali. O quando non siamo abbastanza integri, che è la stessa cosa.”

Secondo Aristotele, la nascita di uno stato oligarchico offre ad una nazione due strade: o le masse impoverite si ribellano per tentare di ristabilire l’equilibrio di potere e di ricchezza tra le classi, o gli oligarchi instaurano un brutale regime tirannico per mantenere le masse assoggettate in modo coatto. Noi abbiamo scelto la seconda delle due opzioni di Aristotele. Quei piccolo progressi raggiunti all’inizio del 20° secolo attraverso i sindacati, le regolamentazioni, il New Deal, la magistratura, la stampa alternativa e i movimenti popolari, sono stati annientati. Gli oligarchi ci stanno trasformando – come già fecero nelle fabbriche tessili e dell’acciaio nel 19° secolo – in esseri umani “di consumo”. E stanno anche mettendo a punto il sistema di sorveglianza e di controllo più capillare della storia per tenerci sottomessi. Questo squilibrio non sarebbe molto dispiaciuto alla maggior parte dei Padri Fondatori. I Padri Fondatori, per lo più ricchi proprietari di schiavi, temevano la democrazia diretta. Hanno manipolato il nostro processo politico in modo da impedire il governo delle masse e proteggere la proprietà privata e i privilegi aristocratici. Le masse dovevano essere tenute a bada. Fin dall’inizio della nostra repubblica, i membri del Collegio Elettorale (l’organo originario che eleggeva i senatori), i suffragisti, i nativi americani, gli afro-americani e gli uomini senza proprietà: la maggior parte di questa gente fu tagliata fuori dal processo democratico. Abbiamo dovuto duramente lottare per far sentire la nostra voce. Centinaia di lavoratori sono stati uccisi e migliaia feriti nel corso delle nostre lotte sindacali. Tale fu la violenza di questi scontri da far impallidire qualsiasi altra lotta di lavoratori in altri paesi industrializzati. L’apertura democratica che abbiamo raggiunto è stata possibile grazie alla strenua resistenza e al sacrificio degli abolizionisti, degli afro-americani, dei suffragisti, dei lavoratori e di tutti i movimenti pacifisti e dei diritti umani.

Furono proprio i nostri movimenti radicali, repressi e ignobilmente schiacciati nel nome dell’anti-comunismo, i veri motori dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Lo squallore e la sofferenza inflitti ai lavoratori dalle classi oligarchiche nel 19° secolo, la ritroviamo speculare nel presente, ora che siamo stati privati di qualsiasi difesa. Il dissenso è di nuovo un crimine. I Mellons, i Rockfeller e i Carnegie, all’inizio del secolo scorso, tentarono di creare una nazione fatta da padroni e da servi. L’incarnazione moderna del dominio delle grande imprese del 19° secolo, ha creato un neo-feudalesimo globale, dove i lavoratori di tutto il pianeta versano in miseria mentre gli oligarchi continuano ad accumulare centinaia di milioni in ricchezze private.

La lotta di classe ha permeato quasi tutta la storia dell’uomo. Marx aveva indovinato. Prima ci rendiamo conto di quanto siamo inevitabilmente in contrasto con la classe padrona, prima capiremo quanto sia necessario rovesciarla dal suo trono. Negli Stati Uniti, gli oligarchi dei grandi gruppi imprenditoriali hanno preso possesso di tutti i sistemi di potere. Politiche elettorali, sicurezza interna, sistema giudiziario, il mondo accademico, le arti e la finanza, e praticamente tutte le varie forme di comunicazione, sono nelle mani dei grandi gruppi d’impresa. La nostra democrazia, con quei falsi dibattiti tra due diversi gruppi politico/imprenditoriali, non sono che teatrini senza senso. Non c’e’ modo, all’interno del sistema, di sconfiggere le pretese di Wall Street, le industrie dell’energia fossile e dei commercianti d’armi. L’unica strada che ci è rimasta, come sapeva Aristotele, è la rivolta. Non è una storia nuova. I ricchi, in tutta la storia dell’umanità, hanno sempre trovato il modo di soggiogare le masse ancora e ancora. E le masse, durante tutta la storia umana, si sono ciclicamente risvegliate, alzate in piedi e hanno spezzato lo loro catene. L’eterna lotta nelle società umane tra il potere dispotico dei ricchi e le rivendicazioni di giustizia e di uguaglianza sono proprio l’essenza del racconto di Fitzgerald, che utilizza la storia di Gatsby per lanciare un’aspra condanna del capitalismo. Mentre scriveva Il Grande Gatsby, Fitzgerald stava leggendo “Il tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler. Spengler aveva predetto che, mentre le democrazie occidentali si calcificavano e crollavano, una nuova classe di “ricchi strangolatori” avrebbe preso il posto delle tradizionali classi al potere. Spengler aveva visto giusto.

“Ci sono solo due o tre storie umane” scrisse Willa Cather “e continuano a ripetersi e ripetersi ancora, e ogni volta in modo sempre più forte, come se non fossero mai accadute prima”.

L’altalena della storia ha portato nuovamente gli oligarchi alle stelle. E noi siamo ancora una volta giù per terra, sconsolati, umiliati e distrutti. E’ una vecchia battaglia. Ed è stata combattuta tante e tante volte prima di noi. Sembra che non impariamo mai. E’ giunto il momento di riprendere in mano i forconi.

Chris Hedges scrive regolarmente per Truthdig.com. Hedges si è laureate alla Harvard Divinity School e per circa venti anni è stato corrispondente estero per il The New York Times. E’ autore di molti libri, tra cui: War Is A Force That Gives Us Meaning, What Every Person Should Know About War, e American Fascists: The Christian Right and the War on America. Il suo lavoro più recente: Empire of Illusion: The End of Literacy and the Triumph of Spectacle.

Fonte: www.truthdig.com
Link: http://www.truthdig.com/report/item/let ... d_20131020
20.10.2013
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì.
I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.
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LE CATENE

Messaggioda domenico.damico » 11/03/2015, 20:02

A un disgraziato, se gli raddoppi i castighi, gli cresce la voglia di fuggire e di fare del le carognate. E poi hai un
bel legarli! Quelli incatenati per i piedi segano l'anello con la lima, o con un sasso sradicano il chiodo.
Roba da ridere. Se vuoi tenerlo stretto, uno, che non ti scappi, devi legarlo con la pappatoria. Tiengli il becco a
tavola imbandita. Finché gli dai da pappare e trincare a volontà, ogni
giorno che passa, puoi giurarci che non la taglia, la corda, fosse anche
in gioco la sua testa. Lo tieni facile se lo tieni così. Perché queste
catene magna magna sono così elastiche che, più le molli, più stringono forte.


Menecmi - I ATTO (Plauto)
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Plauto anticipa Keynes di 22 secoli

Messaggioda Vito Zuccato » 11/03/2015, 23:08

Insomma Plauto aveva previsto con 22 (ventidue) secoli di anticipo il keynesismo bancario, ossia, con efficace slogan noto ai frequentatori di vecchi forum di monetarismo alternativo, "Catene più comode rendono lo schiavo più docile".

E la stessa economia monetaria basata sull'indebitamento col sistema bancario viene definita "a catena tirata" dagli stessi libercoli degli economisti-sacerdoti del Regime, quindi estendendo dinamicamente e meccanicamente il concetto di catena come strumento di prigionia-schiavitù.
Basta allungare - keynesismo - o accorciare - friedmanismo, bundesbankismo - la catena aggiungendo o togliendo maglie a seconda dell'indole del subalterno.
Vito Zuccato
 
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